Facciamo un po’ di chiarezza con Alessio Jacona, Tech Journalist, Curatore Osservatorio Intelligenza Artificiale di ANSA.it
Dopo mesi di dibattiti su come regolamentare aziende come OpenAI, l’Unione europea ha approvato l’AI Act, il primo pacchetto di regole a livello regionale sull’intelligenza artificiale. Parlamento e Consiglio europeo hanno raggiunto dopo 36 ore di negoziati un accordo che dota i 27 Stati dell’Unione del primo quadro normativo giuridico comune per lo sviluppo del settore. Si tratta di una legge fondamentale che, negli auspici dei legislatori europei, potrebbe diventare un modello per il resto del mondo.
Al di là della portata storica del nuovo regolamento, quanto ne sappiamo veramente? Abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza con Alessio Jacona, giornalista tech, Curatore Osservatorio Intelligenza Artificiale di ANSA.it.
Partiamo dal principio, nello specifico cosa si intende per Intelligenza Artificiale?
«La stessa definizione “intelligenza artificiale” è abbastanza fuorviante. Coniata per la prima volta dal matematico statunitense John McCarthy nel 1956, essa ci
spinge in qualche modo a pensare che le macchine possano pensare come noi. Non è così: noi per primi non abbiamo capito come funzionino davvero l’intelligenza umana, il pensiero e la coscienza, figuriamoci se possiamo replicarli sotto forma di hardware e software. Quello che invece siamo stati capaci di fare è creare delle macchine in grado di imitarci e di svolgere compiti che richiedono intelligenza umana come l’apprendimento, il ragionamento, la percezione, la comprensione del linguaggio e la creatività. Inoltre, è bene ricordare che “Intelligenza artificiale” è una definizione molto ampia sotto cui ricadono diversi tipi di sistemi automatici. Le categorie principali in cui dividere questa tecnologia sono l’IA debole o stretta (Narrow AI), e l’IA Forte o generale (General AI): la prima, progettata per svolgere compiti specifici, è quella che usiamo già da diversi anni, per esempio ogni volta che facciamo una ricerca su Google e otteniamo il risultato che cercavamo tra milioni di altri. Poi c’è l’IA forte o generale, che per ora esiste solo nella teoria o nei film di fantascienza, ma che in molti stanno cercando di creare. Oltre ad avere le caratteristiche già elencate (ragionamento, comprensione e apprendimento), essa si distingue per la capacità di
apprendere qualcosa in un contesto e applicarlo in un altro diverso, come fanno gli esseri umani. Andando ancora più nello specifico, possiamo semplificare l’IA in tre categorie: quella che funziona seguendo un insieme di regole predeterminate per prendere decisioni o risolvere problemi; quella basata sull’apprendimento automatico, che impara dai dati e migliora nel tempo (machine learning e deep learning); l’IA cognitiva che emula un ragionamento umano combinando più tecniche. Dato il contesto, è impossibile non fare riferimento all’IA generativa, di cui tanto si parla da quando nel novembre 2022 ChatGPT di OpenAI è stato aperto al pubblico. ChatGPT è un Large Language Model (LLM) un modello linguistico largo che utilizza una enorme potenza di calcolo per processare quantità di dati altrettanto enormi e “assemblare” parole, frasi e discorsi sensati, oppure generare immagini, audio o video, con efficienza tale da dare l’illusione che dietro ci sia un pensiero. Ma si tratta, appunto, di un’illusione».
Secondo lei siamo davvero pronti a questo radicale cambiamento?
«No, non lo siamo ancora. Per la seconda volta in meno di un secolo, a 80 anni dall’avvento dell’era nucleare, l’umanità deve decidere come governare un’altra tecnologia di straordinaria potenza, che porta in dote opportunità e rischi altrettanto grandi. Per governare l’intelligenza artificiale dovremmo essere in grado di prendere decisioni importanti e condivise a livello globale, ma non siamo ancora pronti. Mancano la visione d’insieme e la cultura dell’innovazione, soprattutto presso il grande pubblico che pure deve essere incluso e coinvolto nel processo decisionale riguardo l’IA. Un problema che può essere risolto solo se diffondere questa cultura diventa prioritario sia per chi governa, sia per gli organi di informazione. Per citare Maria Rosaria Taddeo, professoressa di Digital Ethics and Defence Technologies presso l’università di University of Oxford, per utilizzare al meglio l’intelligenza artificiale e non subirla, dobbiamo darci tutti insieme, a livello globale, degli obiettivi condivisi a 5, 10, 20 anni, e usare questa tecnologia per perseguirli consapevolmente».
Perché così tante aziende nel mondo stanno puntando sull’AI?
«Perché l’IA è una tecnologia abilitante e trasversale che trova applicazione in ogni campo dell’attività umana e perché, se correttamente implementata (cosa per nulla scontata) conferisce un vantaggio competitivo impossibile da colmare per chi non la adotta. Prendiamo il settore dei mercati finanziari, che si presta bene all’impiego dell’intelligenza artificiale, in particolare di quella generativa, visto che in esso i dati svolgono un ruolo centrale. Ebbene qui l’intelligenza artificiale può essere utilizzata per fare analisi predittiva, ad esempio identificando trend e fare previsioni su movimenti futuri dei prezzi per consentire agli investitori di prendere decisioni più informate; oppure per gestire il rischio, tracciando scenari complessi e suggerendo strategie di investimento. Per non parlare del fatto che, in ogni momento nel mondo sistemi di trading algoritmico utilizzano l’IA per prendere decisioni in tempo reale, molto più velocemente e con maggiore precisione di quanto potrebbe fare un umano. Ci sono poi molte altre applicazioni, come nei sistemi di sicurezza e antifrode o negli assistenti virtuali per fornire
consulenza finanziaria…Insomma penso di avere reso l’idea».
Quali potrebbero essere le ripercussioni sul mondo dell’occupazione e sull’economia reale derivanti dall’uso, anche su larga scala, di sistemi di AI?
«Uno studio recente di Goldman Sachs dice che, a livello globale, l’intelligenza artificiale generativa potrebbe esporre all’automazione l’equivalente di 300 milioni di posti di lavoro a tempo pieno, mentre se si analizzano i dati relativi alle mansioni professionali negli Stati Uniti e in Europa, circa due terzi dei lavori attuali sono esposti a un certo grado di automazione dell’IA. In alcuni casi – pochi ancora per fortuna – si parla addirittura di sostituzione vera e propria delle persone, come nel caso delle professioni legali e di quelle che ricadono nella categoria “Supporto amministrativo e d’ufficio”. Più in generale, il rapporto di Goldman Sachs
se da un lato dice che l’IA generativa potrebbe sostituire fino a un quarto dei lavori attuali, dall’altro sottolinea che potrebbe aumentare il PIL globale annuo del 7%, pari a un aumento di quasi 7.000 miliardi di dollari all’anno. E’ una questione di cultura, obiettivi e scelte: chi governa i processi e prende le decisioni deve scegliere se puntare alla sostituzione dell’essere umano con l’IA o se utilizzare quest’ultima per “aumentarne” le capacità, per un’alleanza essere
umano – macchina che potrebbe moltiplicare la produttività e l’efficienza. Vorrei poi dire che secondo AIXA, l’associazione italiana per l’intelligenza artificiale, nei prossimi anni l’IA farà sparire 70 milioni di posti di lavoro nel mondo, ma ne creerà anche 130 milioni. Non è la prima volta che spariscono lavori e ne nascono di nuovi e, oggi come in passato, cogliere le nuove opportunità sarà soprattutto una questione di competenze, di sapersi aggiornare e adattare al mondo che cambia».
Insomma l’intelligenza artificiale è un tema che divide l’opinione pubblica un po’ perchè non lo si conosce abbastanza e un po’ perchè si teme che le macchine possano prendere il sopravvento sull’uomo. E gli stessi governi sono piuttosto cauti quando si parla dell’argomento. L’intelligenza artificiale rappresenta una minaccia per quella umana? Arriverà a sostituirla? Alla fine è questa la vera paura di molti, al di là degli innumerevoli vantaggi che l’Ai porta con sé. E allora come fare? Come renderla una risorsa e basta? Forse la vera chiave è riuscire a far interagire i due mondi, non parlare di sostituzione. Come fare? Questo ancora non si sa ma solo così il mondo si evolverà in modo “intelligente”.
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