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Economia

2023, l’anno della lotta all’inflazione delle banche centrali

Giulia Guidi
31 Dicembre 2023
2023, l’anno della lotta all’inflazione delle banche centrali
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La lotta delle banche centrali per riportare l’inflazione entro i livelli obiettivo sembra a buon punto, ma non ancora conclusa Se il 2022 è stato l’anno del dirompente ritorno dell’inflazione, […]

epa10956568 US Federal Reserve Chair Jerome Powell attends a meeting of the Financial Stability Oversight Council at the United States Treasury Department in Washington, DC, USA, 03 November 2023. The Council on 03 November voted on a new analytic framework for financial stability risks and updated guidance on its nonbank financial company determinations process.  EPA/MICHAEL REYNOLDS

La lotta delle banche centrali per riportare l’inflazione entro i livelli obiettivo sembra a buon punto, ma non ancora conclusa

Se il 2022 è stato l’anno del dirompente ritorno dell’inflazione, come non si vedeva dagli anni Settanta, quest’anno si chiude con la lotta delle banche centrali per riportarla entro i livelli obiettivo. Una missione che, guardando alla Federal Reserve e alla Banca centrale europea, sembra a buon punto, ma non ancora conclusa.

Come riferisce LaPresse, mentre i banchieri centrali continuano a imporre la loro cura a base di stretta monetaria, i mercati si portano e cominciano già a prevedere i primi tagli dei tassi, secondo alcuni già dalla prima metà del 2024. Anche in questo scenario, il ciclo restrittivo della Fed, cominciato in anticipo sulle mosse di Francoforte, lascia intuire che l’allentamento, il cosiddetto ‘pivot’ potrebbe avvenire già dal prossimo anno.

Il 2023 si chiude infatti con toni piuttosto diversi nelle rispettive conferenze stampa che hanno seguito gli ultimi meeting di politica monetaria dell’anno: Jerome Powell si è detto pronto ad altri rialzi, ma non ha escluso un taglio dopo la lunga serie di rialzi che ha portato i tassi ai massimi negli ultimi 22 anni. Christine Lagarde, invece, ha ribadito che il taglio dei tassi per la Bce non è stato oggetto di nessun dibattito o discussione.

Dopo 425 punti di rialzo dei tassi lo scorso anno, il 2023 della banca centrale statunitense ha visto un assestamento della stretta con quattro rialzi da 25 punti base ciascuno a febbraio, marzo, maggio e luglio. Le prime avvisaglie di una pausa nei rialzi si ebbero con la riunione di giugno, occasione in cui Powell disse che alla Fed sarebbero stati pronti per altri due rialzi entro l’anno, poi ridotti a uno solo. Infatti, nelle successive riunioni di settembre, novembre e dicembre, i tassi sono rimasti fermi al 5,25%-5,5%, ai livelli più alti degli ultimi 22 anni. Nel corso dell’anno l’indice dei prezzi al consumo negli Stati Uniti è progressivamente rallentato: dal +6,5% di dicembre 2022, ha raggiunto quota +4,9% ad aprile per poi precipitare al +3% di giugno.

Agosto e settembre hanno poi segnato dei balzi parziali, con una nuova accelerazione al +3,7%, ma nel mese di novembre l’inflazione è nuovamente rallentata al tasso del 3%, per quanto a livelli ancora superiori agli obiettivi prefissati dalla Fed, che punta alla stabilità attorno al 2%. Nelle previsioni del Summary of Economic Projections che la banca centrale ha aggiornato a dicembre, il dato di fondo dell’inflazione Pce – che esclude beni alimentari ed energetici – dovrebbe aumentare del 2,4% nel 2024, in calo rispetto alla previsione del 2,6% di settembre.

Per l’intero 2023 l’inflazione ‘core’ dovrebbe aumentare del 3,2%, stima rivista al ribasso rispetto a quella di settembre, che vedeva un +3,7%. Nel 2025 il dato core rallenterebbe da +2,3% a +2,2% secondo le ultime proiezioni, per poi assestarsi al +2% nel 2026. Sul fronte del Prodotto interno lordo è stata dunque scongiurata la recessione, con la realizzazione di quel ‘soft landing’, l’atterraggio morbido che puntava a far rallentare l’economia senza farla deragliare.

Le previsioni per il Pil statunitense di fine anno indicano infatti una crescita del 2,6% quest’anno, con un rallentamento al +1,4% per il prossimo anno e un aumento dell’1,8% nel 2025, ancora in aumento all’1,9% per il 2026. La notizia che ha attirato l’attenzione dei mercati, tanto da alimentare un rally a Wall Street dopo il meeting del 13 dicembre che ha chiuso l’anno della banca centrale, è che durante il 2024 sono previsti tre tagli da 25 punti base ai Fed Funds.

Il grafico ‘dot-plot’ pubblicato nell’ultimo Summary of Economic Projections dell’anno mostrava infatti che i membri del Fomc vedono la mediana dei Fed Funds al 4,6% per il 2024, in calo rispetto al 5,1% delle previsioni di settembre. La Federal Reserve prevede di tagliare i tassi di tassi di interesse tre volte durante il 2024, con tagli da 25 punti base. È ciò che emerge dal grafico ‘dot-plot’ pubblicato nel Summary of Economic Projections diffuso insieme al comunicato con cui il Fomc ha deciso di mantenere invariati i tassi di riferimento al range 5,25%-5,5%.

I membri del Fomc vedono la mediana dei Fed Funds al 4,6% per il 2024, in calo rispetto al 5,1% delle previsioni di settembre. Tanto da spingere Powell a chiudere il 2023 su toni più morbidi o ‘dovish’, nonostante i timori per la possibile ripresa dell’inflazione. Powell aveva detto che “sebbene riteniamo che il nostro tasso di policy sia probabilmente al picco o vicino al picco di questo ciclo di inasprimento, l’economia ha sorpreso i previsori in molti modi dopo la pandemia e i continui progressi verso il nostro obiettivo di inflazione del 2% non sono assicurati”. Un modo per indicare che il taglio dei tassi si sta avvicinando, ma che alla Fed “siamo pronti a inasprire ulteriormente la politica, se necessario”.

La Banca centrale europea ha chiuso il 2022 con la promessa di procedere nella stretta monetaria nel corso del 2023 e l’ha mantenuta con 150 punti base complessivi da febbraio a settembre: 50 punti rispettivamente a febbraio e marzo, largamente anticipati dagli annunci della presidente Lagarde, per poi rallentare a tre rialzi da 25 punti base ciascuno a maggio, luglio e settembre. La pausa è stata poi raggiunta con la riunione di fine ottobre, in cui i tassi di riferimento si sono assestati rispettivamente al 4,50%, al 4,75% e al 4,00%, per venire infine confermati nell’ultima riunione dell’anno a metà dicembre.

A differenza della Federal Reserve, all’Eurotower però non si parla di taglio dei tassi, nonostante i mercati abbiano già iniziato a prevedere dei tagli durante la seconda metà del 2024. Lagarde ha ribadito a dicembre che ‘non abbiamo discusso per nulla di un taglio dei tassi. Nessuna discussione né dibattito’. Piuttosto, per l’anno prossimo il punto di vista è quello di un ‘intero plateau di mantenimento’, segno che la stretta è al termine per quanto riguarda l’intensità e che ora si passa a occuparsi della sua durata.

Si resta dentro un approccio basato sui dati, dopo che la ‘forward guidance’ era già stata abbandonata l’anno scorso, con la visione del Consiglio secondo cui i tassi di interesse si collocano ‘su livelli che, mantenuti per un periodo sufficientemente lungo, forniranno un contributo sostanziale al conseguimento’ dell’obiettivo del ritorno dell’inflazione al livello del 2% a medio termine. Lo scenario per l’inflazione nell’area dell’euro si è fatto meno caldo, ma è ancora troppo presto “per abbassare la guardia” secondo Lagarde, che ha però assicurato di non vedere “una recessione nel nostro scenario base” e che il mandato di Francoforte “non è di provocare una recessione”.

Le stime degli esperti dell’Eurosistema prevedono che ‘inflazione al netto della componente energetica e alimentare si porti in media al 5,0% nel 2023, al 2,7% nel 2024, al 2,3% nel 2025 e al 2,1% nel 2026, con una revisione al ribasso rispetto a quanto previsto a settembre. Per quanto riguarda il Pil dell’area dell’euro la previsione è di una crescita da una media dello 0,6% nel 2023, allo 0,8% nel 2024 e all’1,5% sia nel 2025 sia nel 2026. Infine il Programma di acquisto per l’emergenza pandemica (Pepp) comincia a vedere la sua fase finale, visto che il Consiglio direttivo ha deciso ‘di avanzare nella normalizzazione del bilancio dell’Eurosistema’.

Il Consiglio intende continuare a reinvestire, integralmente, il capitale rimborsato sui titoli in scadenza nel quadro del Pepp nella prima parte del 2024′, mentre nella seconda parte dell’anno ‘intende ridurre il portafoglio del Pepp di 7,5 miliardi di euro al mese, in media, e terminare i reinvestimenti nell’ambito di tale programma alla fine del 2024.

In chiusura d’anno si è fermata anche la stretta monetaria della Bank of England, che ha votato nell’ultima riunione del Consiglio di politica monetaria di mantenere i tassi invariati al 5,25% per 6 voti a 3, al livello più alto degli ultimi 15 anni nel Regno Unito. Nell’ultima riunione “tre membri hanno preferito aumentare il Bank Rate di 0,25 punti percentuali, al 5,5%”.

Anche la Banca nazionale svizzera ha chiuso l’anno mantenendo invariato il proprio tasso di riferimento all’1,75%, poiché “la pressione inflazionistica è leggermente diminuita nel corso dell’ultimo trimestre, ma l’incertezza rimane elevata”, pur con la promessa che “se necessario”, la Banca nazionale svizzera “adeguerà la politica monetaria per far sì che l’inflazione a medio termine si mantenga nell’area di stabilità dei prezzi”.

La Norges Bank di Oslo ha invece deciso di aumentare il proprio tasso di riferimento di 25 punti base dal 4,25% al 4,5%, indicando che “sulla base dell’attuale valutazione delle prospettive e dell’equilibrio dei rischi, è probabile che il tasso di policy venga mantenuto a questo livello ancora per qualche tempo”. Se per le principali banche centrali europee nel 2023 si è trattato di aggiustare il tiro fino ad arrivare al periodo di mantenimento dei tassi, per la Banca centrale della Turchia i tassi hanno visto una vera e propria impennata da livello del 15% di luglio fino alla stretta che ha portato i tassi di riferimento a toccare il 30% a ottobre e il 40% a novembre, fino a raggiungere il 42,5% a dicembre.

(foto ANSA)

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