«Finché la signora X è viva il nostro obiettivo principale deve essere quello di mantenere e proteggere il suo permesso permanente di residenza in Svizzera (il cosiddetto permesso C)».
Si tratta del testo di un documento, recuperato durante la perquisizione dell’8 febbraio scorso nel corso delle indagini che ruotano intorno all’eredità di Gianni Agnelli, con cui la procura di Torino crede di poter dimostrare che la residenza in terra elvetica di Marella Caracciolo, vedova dell’Avvocato, era fittizia.
Il testo che non ha data, né firma, è inserito nel decreto di rinnovo del sequestro notificato nei giorni scorsi ai fratelli John, Lapo e Ginevra Elkann, al commercialista Gianluca Ferrero e al notaio svizzero Urs Von Grueningen, tutti iscritti nel registro degli indagati.
Questo è l’ultimo passaggio nella telenovelas degli Agnelli e della eredità di Marella Agnelli, dopo il nuovo colpo di scena nell’inchiesta. La procura torinese, infatti ieri ha firmato un nuovo decreto di sequestro, dopo quello dello scorso febbraio, con nuove ipotesi di reato e nuovi indagati. E punta ancora più in alto, allargando le contestazioni. Stavolta i magistrati ipotizzano, oltre alla frode fiscale, anche una truffa ai danni dello Stato da 700 milioni di euro. E per questo finiscono ora indagati, oltre al numero uno di Stellantis John Elkann, al commercialista Gianluca Ferrero e al notaio Urs Von Gruenigen, anche i fratelli di John, Lapo e Ginevra Elkann.
Si contesta a tutti, in concorso, il mancato pagamento delle tasse di successione dell’eredità della vedova dell’Avvocato al fisco italiano, sostenendo che si sarebbe dovuta aprire la successione in Italia e non in Svizzera, visto che Marella- secondo i magistrati – viveva appunto a Villa Frescot a Torino e non in uno chalet a Lauenen.
Anche la frode fiscale, rispetto alla vecchia ipotesi, che rimane sempre contestata a John Elkann, al notaio svizzero e al commercialista Ferrero, è stata estesa ad altre annualità, e cioè anche al 2016 e al 2017, e non solo al 2018 e 2019, Marella morì a febbraio di quell’anno. Ecco che la presunta frode ipotizzata sarebbe quindi di gran lunga superiore ai 4 milioni di Irpef non versata, come contestato nel precedente decreto.