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Economia

Confcommercio, Bella: “Pil come nel 2023 a +0,9%. Più pessimisti del Governo”

Maria Lucia Panucci
16 Marzo 2024
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“L’Italia non è fanalino di coda in Europa. Abbiamo fatto meglio di Germania e Francia. Il commercio è ancora vitale e reattivo nonostante le perdite”

Dal 2012 al 2023 sono andati persi 111 mila negozi, in pratica in Italia è sparita una attività economica su cinque. Un dato preoccupante, che sicuramente impone un momento di riflessione. Cosa sta succedendo alle nostre attività commerciali? Il retail sta scomparendo? E come influisce tutto questo sulla crescita economica generale? Abbiamo analizzato il fenomeno con il direttore dell’Ufficio Studi di Confcommercio, Mariano Bella.

Direttore quali sono i settori e le aree geografiche più colpite? C’è da preoccuparsi?

«La riduzione delle attività commerciali è più accentuata nei centri storici rispetto alle periferie, sia per il Centro-Nord che per il Mezzogiorno. La modificazione e la riduzione dei livelli di servizio nei centri storici rende sempre più preoccupante il fenomeno della desertificazione commerciale delle nostre città: nei 120 comuni al centro dell’analisi, negli ultimi 10 anni, sono sparite oltre 30mila unità locali di commercio al dettaglio e ambulanti (-17%) e la densità commerciale è passata da 12,9 negozi per mille abitanti a 10,9 (-15,3%). Peggio è andata al commercio ambulante (-24mila unità) che vive una fase di profonda ristrutturazione, da accogliere con favore se è razionalizzazione delle licenze, da guardare con preoccupazione se è fenomeno che acuisce la riduzione dei livelli di servizio alla cittadinanza, cioè quando non è più capace di fare preziosa supplenza al commercio fisso. Meglio alloggio e ristorazione (+9.800 unità), anche se a questa crescita numerica non corrisponde un’analoga crescita qualitativa dell’offerta di queste attività. In sintesi, è vero che c’è una riduzione importante della numerosità ma se si guarda ai sopravvissuti il commercio è ancora vitale e reattivo: avremmo potuto essere sterminati durante la pandemia invece abbiamo perso solo il 6,7% nel complesso della sede fissa e i sopravvissuti sono, comunque, 440mila. Ogni tanto è bene valorizzare anche quanto è rimasto, invece che lamentarsi sempre di quello che si è perso».

Com’è cambiato il tessuto commerciale negli ultimi anni?

«Nei centri storici ci sono sempre meno attività tradizionali come libri e giocattoli che perdono il 35,8%, mobili e ferramenta -33,9%, abbigliamento -25,5%, mentre ci sono più servizi (farmacie +12,4%, computer e telefonia +11,8%). Emerge ancora che se i servizi di alloggio crescono molto al Nord, al Sud fanno segnare tassi di variazione davvero eclatanti: si tratta di alloggi per durate brevi, non di aperture di alberghi tradizionali. In alcuni casi, forse in molti casi, ciò è indice di una reazione, come dire, individualistica contro la riduzione strutturale di potere d’acquisto e di benessere. Niente di male, si capisce, ma se la città è un luogo di vivibilità che nasce dalla composizione di interessi contrapposti, squilibri crescenti a tassi troppo rapidi possono minare la vivibilità stessa. Il numero di ristoranti cresce, anche grazie al turismo straniero, ma c’è il travaso dai bar che con la somministrazione cambiano codice di attività per approdare alla ristorazione. Pure questi sono cambiamenti da seguire perché non sono sempre fenomeni equilibrati. E, qualcuno, comprensibilmente, si lamenta della riduzione della qualità dell’offerta commerciale. Fino a metà del 2022 la perdita di alimentari nei centri storici rispetto al 2012 era contenuta al 7%, ora nel 2023 arriva al 12,5%, un dato piuttosto brutto. Se dovesse peggiorare, anche gli alimentari finirebbero nei negozi che stanno scomparendo dai nostri centri storici. Crescono poi le imprese straniere e si riduce il numero delle imprese con titolare italiano: niente di particolarmente nuovo. Quello che va evidenziato, però, è la dimensione occupazionale perché da questa passa anche un pezzo del valore sociale del terziario di mercato e del commercio in particolare: ormai la quota di occupati stranieri nei servizi di alloggio e nella ristorazione ha superato abbondantemente il 10% e più della metà della nuova occupazione straniera è in questi nostri settori».

Quali sono le motivazioni alla base di questa desertificazione e su cosa investire per invertire la rotta?

«La crescita della propensione all’acquisto online è la maggiore responsabile della riduzione del numero di negozi fisici e parliamo di effetto netto, perché l’online aiuta, in molti casi, anche
gli stessi negozi di prossimità; ma se i beni venduti attraverso il canale elettronico sono aumentati di 17 miliardi, a qualcuno questo fatturato è venuto a mancare. In definitiva, il pluralismo distributivo, valore distintivo dell’Italia, ha ben funzionato durante le grandi crisi (economico-finanziaria, pandemica, energetica); tuttavia, il rischio di desertificazione commerciale è reale per le nostre città; per evitarne gli effetti più gravi non c’è altra strada, per il commercio di prossimità, di puntare su efficienza e produttività (del lavoro e per metro quadrato), anche attraverso innovazione e ridefinizione dell’offerta. Resta fondamentale l’omnicanalità, cioè l’effettiva presenza di un canale online ben funzionante. Le politiche pubbliche dovrebbero prendere finalmente sul serio il concetto di esternalità positiva del commercio di prossimità, nel senso che esso produce un servizio (vivibilità) che non è (del tutto) incorporato nei prezzi di mercato e pertanto se ne produce meno di quanto necessario. E proprio in tema di politiche pubbliche, Confcommercio dà un contributo concreto alla costruzione di programmi di rigenerazione delle economie urbane attraverso il progetto Cities-Città e Terziario: Innovazione Economia Socialità. Il progetto sta realizzando insieme alle Associazioni territoriali di tutta Italia un percorso di rafforzamento delle competenze del Sistema e una serie di sperimentazioni finalizzate a contrastare il rischio desertificazione: l’uso innovativo dello spazio pubblico; la riqualificazione dei negozi sfitti per rilanciare strade in declino; il ridisegno della mobilità urbana; le politiche della notte per favorire la convivenza tra turisti, city user e residenti. A questi campi di azione, nel 2024 altri se ne aggiungeranno per contribuire alla costruzione di città più accoglienti, interessanti e piacevoli».

Secondo lei per il retail l’intelligenza artificiale rappresenta una minaccia o un’opportunità?

«A mio parere dobbiamo assolutamente pensarla e soprattutto viverla come un’opportunità. Dobbiamo aprire le porte, valorizzare e sposare senza remore tutto ciò che può aumentare la produttività e questo è uno di quei casi».

Per chiudere, quali sono le vostre previsioni economiche per il nostro Paese alla luce anche del caro-vita e delle incertezze a livello geo-politico?

«Dal 2019 al 2023 l’indice legato alla crescita economica vale per la Germania 100,3 punti, in Francia 101,8, in Italia 104,2. Per la prima volta negli ultimi trent’anni abbiamo superato i nostri principali partner. Quindi l’idea che l’Italia sia un Paese morto, fanalino di coda dell’Europa non è più attuale. Ci siamo comportati meglio, abbiamo lavorato bene e di questo dovremmo essere moderatamente orgogliosi, invece ci lamentiamo sempre. Detto questo e venendo alle previsioni, dopo la revisione dell’Istat al rialzo anche del 2022 e con un 2023 che è andato meglio, noi confermiamo una crescita per il 2024 come per l’anno appena concluso: 0,9% con conusmi meno dinamici del Pil allo 0,8%. A conti fatti la nostra stima è più ottimistica rispetto ad altri enti istuzionali che parlano addirittura di una crescita in frenata allo 0,4-0,5%, ma siamo comunque lontani dalle indicazioni del Governo che nell’ultima Nadef collocavano la crescita all’1,2%. Se le nostre previsioni risultassero ottimistiche ed avesse ragione chi guarda al ribasso, la manovra correttiva di giugno sarà dolorosa. Se invece chiudiamo a 0,9%, come indichiamo noi, dovremmo riuscire, grazie agli investimenti del Pnrr, ad entrare nel biennio 2025-2026 con una crescita che potrebbe superare abbondantemente l’1, l’1,2%».

Insomma per Mariano Bella l’Italia si è difesa bene in questi anni, nonostante la pandemia, il caro vita e un contesto geo-politico incerto a causa delle guerre in corso. Quindi si può guardare al futuro con cauto ottimismo puntando sicuramente su efficienza e produttività, anche attraverso l’innovazione e la ridefinizione dell’offerta, per favorire uno sviluppo urbano sostenibile e valorizzare il ruolo sociale ed economico delle attività di prossimità nelle nostre città.

FOTO: IMAGOECONOMICA
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