Eni prevede di realizzare la prima centrale nucleare a fusione industriale nei primi anni Trenta. Lo ha detto la responsabile del gruppo per la fusione, Francesca Ferrazza, in audizione alla Commissione Ambiente del Senato. Eni partecipa negli Stati Uniti al progetto Commonwealth Fusion System (Cfs), spinoff del Mit di Boston, con la tecnica del confinamento magnetico.
Il gruppo italiano prevede di contribuire a realizzare a metà degli anni Venti il primo impianto pilota Cfs-Sparc. Per i primi anni Trenta è previsto il primo impianto industriale collegato alla rete, il Cfs-Arc, e nella seconda metà del decennio nuove centrali.
In Italia, il gruppo energetico ha una joint venture al 25% nel progetto Dtt (Divertor Tokamak Test), insieme con Enea, che ha il 70% e con enti di ricerca e università che hanno il restante 5%. Dtt studia la gestione della enorme quantità di calore del plasma di idrogeno dentro il reattore a 100 milioni di gradi. Eni infine ha progetti di collaborazione con il Cnr e diverse università, Polititecnico di Milano, Bicocca, Tuscia e altre su componenti specifici.
Ferrazza ha spiegato che nel mondo ci sono 140 macchine sperimentali per la fusione, per tre quarti pubbliche e per un quarto private. Esiste una Fusion Industry Association, con 80 membri 43 dei quali industrie private. Gli investimenti mobilitati nel settore sono al momento oltre 6 miliardi di dollari.
«La supply chain italiana sulla fusione è tra i leader a livello globale – ha spiegato Ferrazza – e i nostri centri di ricerca e università sono tra i più avanzati. Ma per la fusione serve una normativa specifica, come si sono dati Stati Uniti e Regno Unito e come si stanno dando Germania e Giappone».