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Economia

Salute, quasi 2 milioni non si curano per motivi economici

Maria Vincenza D'Egidio
14 Aprile 2024
Salute, quasi 2 milioni non si curano per motivi economici
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Fondazione Gimbe: “A rischio la salute di oltre 2,1 milioni di famiglie indigenti”

Nel 2022 la spesa sanitaria sostenuta direttamente dalle famiglie italiane, la cosiddetta out of pocket, ammonta a quasi 37 miliardi di euro: in quell’anno oltre 25,2 milioni di famiglie in media hanno speso per la salute 1.362 euro, oltre 64 euro in più rispetto al 2021 che salgono a 100 euro per il Centro sud.

Inoltre, 4,2 milioni di famiglie hanno limitato le spese per la salute, in particolare al Sud. E più di 1,9 milioni di persone hanno rinunciato a prestazioni sanitarie per ragioni economiche. E’ a rischio la salute di oltre 2,1 milioni di famiglie indigenti. Lo rileva l’analisi della Fondazione Gimbe che si basa su dati Istat.

«Considerato il rilevante impatto sui bilanci familiari della spesa sanitaria out-of-pocket – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione Gimbe – e tenuto conto di un contesto caratterizzato dalla grave crisi di sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e dall’aumento della povertà assoluta, abbiamo analizzato vari indicatori per misurare le dimensioni di questo preoccupante fenomeno, utilizzando esclusivamente i dati pubblicati da Istat. L’obiettivo è quello di fornire una base oggettiva per il dibattito pubblico e le decisioni politiche, oltre che prevenire strumentalizzazioni basate sull’enfasi posta su singoli dati».

Secondo l’indagine Istat sui consumi delle famiglie, nel 2022 la media nazionale delle spese per la salute è pari a 1.362,24 euro a famiglia, in aumento rispetto ai 1.298,04 euro del 2021.

«Ad eccezione del Nord-Ovest – spiega il Presidente – dove si registra una lieve riduzione, l’aumento delle spese per la salute nel 2022 riguarda tutte le macro-aree del Paese: in particolare al Centro e al Sud si registrano aumenti di oltre 100 euro a famiglia».

I dati regionali restituiscono, invece, un quadro molto eterogeneo. In dettaglio, dal 2021 al 2022 i maggiori incrementi si rilevano in Puglia con +26,1% (910,20 euro vs 1.147,80 euro) e in Toscana con +19,3% (1.178,40 euro vs 1.405,92 euro). Altre Regioni, invece, hanno registrato una diminuzione dal 2021 al 2022: la Valle d’Aosta del 24,3% (1.834,08 euro vs 1.387,56 euro) e la Calabria che segna un -15,3% (1.060,92 euro vs 899,04 euro).

«L’interpretazione dei dati regionali – spiega Cartabellotta – non è univoca perché la spesa delle famiglie per la salute è influenzata da numerose variabili: la qualità e l’accessibilità dei servizi sanitari pubblici, la capacità di spesa delle famiglie, il consumismo sanitario e, in misura minore, l’eventuale rimborso della spesa da parte di assicurazioni e fondi sanitari.

Ad esempio, il fatto che nel 2022 la spesa per la salute delle famiglie calabresi e marchigiane rimanga al di sotto di 1.000 euro è verosimilmente imputabile a motivazioni differenti. Analogamente, nelle prime posizioni per spesa delle famiglie si collocano le Regioni più ricche e/o con più elevata qualità dei servizi sanitari, documentando – aggiunge il Presidente – che la spesa out-of-pocket non è un indicatore affidabile per valutare la riduzione delle tutele pubbliche; di conseguenza, lasciare che il dibattito pubblico si concentri solo su questo dato restituisce un quadro distorto della realtà, sia perché alcune famiglie spendono per servizi e prestazioni inutili, sia perché altre non riescono a spendere per bisogni reali di salute a causa di difficoltà economiche».

«L’impatto sulla salute individuale e collettiva dell’indebolimento della sanità pubblica – afferma Cartabellotta – non può limitarsi a valutare gli indicatori relativi alla spesa delle famiglie, ma deve anche considerare il livello di povertà assoluta della popolazione».

Secondo le statistiche Istat sulla povertà, tra il 2021 e il 2022 l’incidenza della povertà assoluta per le famiglie in Italia ovvero il rapporto tra le famiglie con spesa sotto la soglia di povertà e il totale delle famiglie residenti – è salita dal 7,7% al 8,3%, ovvero quasi 2,1 milioni di famiglie. Il Nord-Est ha registrato l’incremento più significativo, passando dal 7,1% al 7,9%, seguito dal Sud con un aumento dal 10,5% all’11,2% e dalle Isole con un incremento dal 9,2% al 9,8%. Anche se il Nord-Ovest e il Centro hanno registrato un aumento più contenuto (0,4%), il fenomeno della povertà assoluta è diffuso su tutto il territorio nazionale.

E le stime preliminari Istat per l’anno 2023 documentano un ulteriore incremento della povertà assoluta delle famiglie: dall’8,3% all’8,5%. «E’ evidente – commenta Cartabellotta – che l’aumento del numero di famiglie che vivono sotto la soglia della povertà assoluta avrà un impatto residuale sulla spesa out-of-pocket, ma aumenterà la rinuncia alle cure, condizionando il peggioramento della salute e la riduzione dell’aspettativa di vita delle persone più povere del Paese».

«Dalle nostre analisi – conclude il presidente Cartabellotta – emergono tre considerazioni. Innanzitutto l’entità della spesa out-of-pocket, seppur in lieve e costante aumento, sottostima le mancate tutele pubbliche perché viene arginata da fenomeni conseguenti alle difficoltà economiche delle famiglie: la limitazione delle spese per la salute, l’indisponibilità economica temporanea e la rinuncia alle cure.

In secondo luogo, questi fenomeni sono molto più frequenti nelle Regioni del Mezzogiorno, proprio quelle dove l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza è inadeguata: di conseguenza, l’insufficiente offerta pubblica di servizi sanitari associata alla minore capacità di spesa delle famiglie del Sud condiziona negativamente lo stato di salute e l’aspettativa di vita alla nascita, un indicatore che vede tutte le Regioni del Mezzogiorno al di sotto della media nazionale.

Infine, lo status di povertà assoluta che coinvolge oggi più di due milioni di famiglie richiede urgenti politiche di contrasto alla povertà, non solo per garantire un tenore di vita dignitoso a tutte le persone, ma anche perché le diseguaglianze sociali nell’accesso alle cure e l’impossibilità di far fronte ai bisogni di salute con risorse proprie rischiano di compromettere la salute e la vita dei più poveri, in particolare nel Mezzogiorno. Dove l’impatto sanitario, economico e sociale senza precedenti rischia di peggiorare ulteriormente con l’autonomia differenziata».

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