La Corte costituzionale, con la sentenza n. 60, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 nella parte in cui non prevede che non sia dovuta l’IMU per gli immobili occupati abusivamente relativamente ai quali sia stata presentata una tempestiva denuncia in sede penale.
La questione è stata sollevata dalla sezione tributaria Corte di cassazione in contrasto con i principi di capacità contributiva, uguaglianza tributaria, ragionevolezza e di tutela della proprietà privata in quanto per gli immobili abusivamente occupati e di cui sia precluso lo sgombero per cause indipendenti dalla volontà del contribuente verrebbe a mancare il presupposto dell’imposta, ossia l’effettivo e concreto esercizio dei poteri di disposizione e godimento del bene.
Secondo la Corte costituzionale, è innegabile che nelle ipotesi in cui un immobile sia stato occupato in esplicito contrasto con la volontà del proprietario il quale si sia anche occupato di denunciare tempestivamente l’accaduto in sede penale, difetti, in relazione all’immobile occupato abusivamente, la capacità contributiva in capo a chi abbia subito impotente la suddetta occupazione, cosicché «si finirebbe per tassare una ricchezza inesistente laddove, invece, ogni prelievo tributario deve avere una causa giustificatrice in indici concretamente rivelatori di ricchezza».
Del resto il legislatore è già intervenuto in questo senso con l’art. 1, comma 81, della legge 29 dicembre 2022, n. 197, a decorrere dal 1° gennaio 2023, stabilendo che «Sono esenti dall’imposta, per il periodo dell’anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte, gli immobili non utilizzabili né disponibili, per i quali sia stata presentata denuncia all’Autorità giudiziaria in relazione ai reati di cui agli articoli 614, secondo comma, o 633 del codice penale o per la cui occupazione abusiva sia stata presentata denuncia o iniziata azione giudiziaria penale», la Corte costituzionale, con la presente sentenza, è come se avesse esteso retroattivamente la portata di tale norma.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 59, ha dichiarato inoltre ’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge della Regione Calabria 5 ottobre 2007, n. 22. La Corte costituzionale con tale sentenza ha affermato che la disposizione regionale censurata, attribuendo autonomamente la qualifica di agenti contabili ai consiglieri di amministrazione e ai componenti del collegio sindacale, nominati dal Presidente della Regione o dai rappresentanti nelle assemblee sociali, delle società partecipate dalla Regione Calabria, esula dalla competenza del legislatore regionale.
Quest’ultimo può unicamente disciplinare l’assetto organizzativo interno della gestione societaria ed eventualmente gli ambiti della delega di amministratori e sindaci, ma non può anche attribuire loro la qualifica di agente contabile invadendo così la competenza legislativa esclusiva attribuita allo Stato dall’art. 117 Cost. nella materia «giurisdizione e norme processuali».
La questione era stata sollevata dalla Corte dei conti in riferimento agli artt. 3, 103, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione in quanto la disposizione censurata avrebbe posto l’obbligo di rendere il conto delle partecipazioni sociali in capo agli amministratori e ai sindaci della società partecipata, quando tale responsabilità andrebbe, invece, posta in capo agli uffici regionali.
La Corte costituzionale, inoltre, ha espresso l’auspicio, in assenza di una disciplina statale organica, che il legislatore statale intervenga nella materia prendendo in adeguata considerazione l’evoluzione della figura e del ruolo dell’agente contabile con particolare riguardo alle partecipazioni societarie degli enti pubblici.