Il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) dell’Unione Europea, presentato come un pilastro del Green Deal europeo e un passo cruciale verso gli ambiziosi obiettivi climatici di COP28, potrebbe innescare una nuova era di guerre commerciali. Sebbene progettato per ridurre le emissioni di carbonio, il rischio che possa sconvolgere l’economia globale e alimentare il protezionismo sta sollevando preoccupazioni in tutto il mondo.
L’obiettivo principale del CBAM è prevenire la “fuga di carbonio”, imponendo tariffe sulle importazioni prodotte con emissioni di carbonio superiori a quelle dei beni europei. Sebbene apparentemente focalizzato sulla mitigazione del clima, i critici lo denunciano come una misura protezionistica velata, volta a salvaguardare le industrie europee a discapito di paesi con normative ambientali meno rigorose.
Per Egitto e Turchia, fortemente dipendenti da industrie ad alta intensità di carbonio come la produzione di cemento e fertilizzanti, il CBAM rappresenta una minaccia esistenziale. Con l’entrata in vigore delle tariffe, le loro esportazioni verso l’UE potrebbero diventare proibitive, causando la perdita di quote di mercato, difficoltà economiche e potenziali disordini sociali.
Altre nazioni MENA (Medio Oriente e Nord Africa), in particolare quelle che dipendono da industrie ad alta intensità di carbonio e con scarso impegno nella decarbonizzazione, subiranno un significativo calo di competitività. Al contrario, i paesi del GCC (Consiglio per la cooperazione del Golfo), le cui esportazioni ad alta intensità di carbonio sono principalmente destinate all’Asia e i cui prodotti a basse emissioni rimangono in gran parte inalterati, potrebbero resistere meglio alla tempesta.
L’Inflation Reduction Act del 2022 degli Stati Uniti, un pacchetto da 364 miliardi di dollari volto a stimolare la tecnologia nazionale a basse emissioni di carbonio, ha ulteriormente inasprito le tensioni commerciali globali. Questa mossa è stata percepita come una sfida diretta alla leadership verde dell’UE, alimentando ulteriormente il rischio di una vera e propria guerra commerciale.
In questo scenario di crescente protezionismo climatico, emerge una luce di speranza per i giganti del petrolio e del gas del MENA, che stanno investendo sempre di più nell’energia verde. Gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita, con i loro ambiziosi progetti di idrogeno verde e blu, potrebbero trarre vantaggio dalla preferenza del CBAM per le importazioni a basse emissioni di carbonio. Questo potrebbe accelerare la transizione della regione verso un futuro energetico più pulito e posizionarla come leader globale nella produzione e nell’esportazione di idrogeno verde.
La strada da percorrere è piena di incertezze. Il CBAM riuscirà a guidare la decarbonizzazione globale o innescherà una cascata di misure commerciali ritorsive? I produttori di petrolio e gas del MENA sfrutteranno l’opportunità dell’energia verde o diventeranno vittime dell’agenda protezionistica dell’UE? Una cosa è certa: il CBAM è un punto di svolta, destinato a rimodellare il commercio globale e a costringere le nazioni a confrontarsi con l’urgente necessità di agire per il clima. Mentre il mondo osserva con il fiato sospeso, la posta in gioco non è mai stata così alta.
DI ANDREA ZANON