Gli Stati Uniti si oppongono alla proposta di una tassa patrimoniale globale sui miliardari, ha dichiarato il segretario al Tesoro Janet Yellen, respingendo un’idea avanzata da Brasile, Francia e altre nazioni per smuovere la bilancia economica lontana dai megaricchi. Lo scrive il Wall Street Journal.
Quest’anno tocca al Brasile guidare il Gruppo delle 20 maggiori economie e il Paese ha chiesto al gruppo di sviluppare un approccio coordinato per tassare gli individui ultra ricchi che possono spostare il loro denaro in giurisdizioni a bassa tassazione. L’obiettivo è quello di replicare una tassa minima globale sulle società, che circa 140 Paesi hanno sottoscritto nel 2021 ma che da allora ha incontrato ostacoli negli Stati Uniti e altrove.
Yellen ha dichiarato che gli Stati Uniti non hanno intenzione di favorire i colloqui sul tema. Ma nel corso di questa settimana si incontrerà con i ministri delle finanze del Gruppo delle Sette democrazie avanzate, che dovrebbero discutere della tassa patrimoniale globale.
«Crediamo nella tassazione progressiva. Ma l’idea di un accordo comune a livello mondiale per tassare i miliardari e ridistribuire i proventi in qualche modo, non siamo favorevoli a un processo per cercare di raggiungere questo obiettivo. È una cosa che non possiamo accettare», ha dichiarato.
Oltre ai ministri di Brasile e Francia, anche i funzionari di Spagna, Germania e Sudafrica hanno discusso un piano che richiederebbe ai miliardari di pagare ogni anno tasse pari ad almeno il 2% della loro ricchezza complessiva.
Secondo i sostenitori, l’imposizione fiscale a livello globale impedirebbe ai ricchi di spostare la loro ricchezza in Paesi dove possono evitare di pagare le tasse. Ciò consentirebbe ai Paesi di raccogliere maggiori entrate fiscali per finanziare altre priorità e di utilizzare il fisco per ridurre le disuguaglianze di reddito, che negli ultimi decenni sono aumentate notevolmente.
«Questo è esattamente ciò che abbiamo fatto con la tassazione minima sull’imposta sulle società – ha detto il mese scorso il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire – Sarebbe lo stesso per la tassazione internazionale degli individui più ricchi».
La maggior parte dei Paesi applica le imposte sul reddito in base alla residenza. Ma gli Stati Uniti, stranamente, tassano i propri cittadini sul loro reddito mondiale, rendendo già più difficile per gli americani sfuggire alla tassazione mediante lo spostamento di beni e guadagni all’estero.
L’amministrazione Biden ha proposto di aumentare significativamente le tasse sugli americani ad alto reddito, ma ha evitato di introdurre una tassa sul patrimonio, che cerca di raccogliere annualmente una quota del patrimonio netto di un individuo. Il Presidente Biden ha invece spinto per un piano che richiederebbe agli americani con un patrimonio superiore ai 100 milioni di dollari di pagare annualmente un’imposta del 25% su tutti i loro guadagni, comprese le plusvalenze non realizzate.
Negli Stati Uniti le plusvalenze sono generalmente tassate con un’aliquota massima del 23,8% al momento della vendita del bene, il che significa che gli aumenti possono rimanere non tassati per anni. Il reddito, compresi i salari, viene tassato al momento della maturazione con un’aliquota che può arrivare al 37%, oltre ad altri prelievi. La Corte Suprema dovrebbe pronunciarsi presto su un caso che potrebbe creare un divieto costituzionale di tassare la ricchezza.
Yellen ha contribuito a guidare l’accordo globale sulle imposte societarie, che fissa un minimo del 15% che le aziende devono pagare nelle giurisdizioni in cui operano. Il Congresso, però, non ha approvato l’accordo a causa dell’opposizione dei repubblicani.
Il segretario al Tesoro statunitense ha tenuto a ribadire come «gli Stati Uniti non attuino una politica contro la Cina, ma ha sottolineato come sia la politica cinese a rappresentare una minaccia per l’economia globale, che richiede una risposta coordinata. Anche perché Pechino, con la sua sovraccapacità, rischia di “impedire ai paesi di tutto il mondo, compresi i mercati emergenti, di costruire le industrie che potrebbero alimentare la loro crescita».Anche se Pechino, finora ha respinto le accuse statunitensi, accusando Washington di usare la scusa della sovraccapacità produttiva come una scusa per il suo protezionismo commerciale.
Circa il 37% di tutte le importazioni di veicoli elettrici in Europa sono prodotte in Cina, compresi i marchi cinesi e quelli realizzati da Tesla e dalle case automobilistiche tedesche con stabilimenti lì. L’Europa è il secondo mercato più grande del mondo per le auto elettriche, dopo la stessa Cina e le importazioni sono salite alle stelle l’anno scorso a 10,5 miliardi di euro, da 1,5 miliardi di euro nel 2020.
Ed è proprio in Germania che Yellen ribadisce il discorso dell’unità per arginare la potenza cinese, perché è un punto debole da questo punto di vista. L’istruttoria della Commissione Ue potrebbe comportare l’imposizione di dazi nei confronti delle auto elettriche cinesi. Tuttavia l’Europa e la Germania in particolare esporta grandi quantità di veicoli in Cina e Berlino teme che le sue case automobilistiche: BMW, Mercedes, Volkswagen possano subire il contraccolpo di controsanzioni.
Lo stesso cancelliere Olaf Scholz in un discorso la scorsa settimana ha ricordato questa circostanza, segnalando sia l’export di auto europee in Cina, sia il fatto che molti veicoli elettrici prodotti in Cina e importati in Europa siano in realtà prodotti da marchi occidentali.