Semplificazione e sostenibilità ambientale: questi i due elementi essenziali per il futuro dell’industria marittina, determinante per la crescita economica reale del nostro Paese. Ne abbiamo parlato con il presidente di Assarmatori, Stefano Messina.
Presidente, partiamo facendo una panoramica. Quante sono ad oggi le imprese armatoriali, di cosa si occupano e qual è il contributo che danno all’economia reale del Paese? Quali sono i numeri dell’industria marittima?
«L’industria armatoriale è determinante per l’economia reale del Paese, sotto tutti i punti di vista: garantisce la continuità territoriale a chi abita sulle isole e l’Italia ha la più vasta popolazione insulare europea con 6,6 milioni di persone; è un volano per il turismo, con i traghetti che servono appunto le isole maggior e quelle minori e un traffico crocieristico in costante crescita, che nel 2024 supererà il record di 14 milioni di passeggeri movimentati in Italia. È inoltre elemento fondamentale per l’importazione di materie prime o semilavorate e per l’export nel mondo del Made in Italy, dato che il 90% di tutto quello che ‘tocchiamo’ con mano ogni giorno ha viaggiato per mare. Ma l’importanza del trasporto marittimo per un Paese come l’Italia si vede anche da altro. Durante la pandemia di coronavirus non ci siamo mai fermati, continuando a garantire gli approvvigionamenti quotidiani per la popolazione e per gli ospedali. Poi all’indomani dello scoppio del conflitto russo-ucraino è stato sempre il trasporto marittimo, e penso alle gasiere e alle navi-rigassificatore, a mantenere inalterate le forniture energetiche. A tal proposito voglio sottolineare un dato. Nel 2023 le importazioni italiane di gas via condotta sono diminuite del 22,51% rispetto al 2022; nello stesso arco di tempo le importazioni di gas allo stato liquido, avvenute quindi via nave, sono invece aumentate di oltre il 16%. Un trend netto, che nei primi sei mesi del 2024 è andato ulteriormente consolidandosi. Sono certo che a fine anno, quando disporremo dei numeri definitivi, si evidenzierà un’ulteriore crescita dell’approvvigionamento che avviene proprio grazie al trasporto marittimo, dimostrando in modo inequivocabile l’importanza di tale asset per un Paese come il nostro. Vorrei infine sottolineare come l’industria armatoriale italiana presenti numerosi primati a livello europeo e mondiale. Ad esempio, è al secondo posto nell’Unione europea per numero di navi e al primo posto al mondo per valore di mercato della flotta traghetti».
All’assemblea annuale dell’associazione lei ha detto che manca personale. Si spieghi meglio…quanti professionisti del mare mancano, di che figure parliamo e soprattutto a cosa si deve questa carenza?
«Intanto, parlando del mondo del lavoro, nelle scorse settimane è stato rinnovato il CCNL unico dell’industria armatoriale, che interessa circa 63.000 marittimi, a cui si aggiungono oltre 8.000 addetti di terra, per un totale di 71.000 lavoratori. Il nuovo testo contiene elementi non trascurabili di innovazione e anche sotto il profilo economico fornisce quelle che pensiamo essere valide risposte alle esigenze dei lavoratori, alle prese con l’inflazione e il conseguente calo del potere di acquisto. Venendo al merito della domanda, mancano ufficiali, sottufficiali e personale di coperta la cui carenza ha assunto connotati emergenziali soprattutto durante la stagione estiva. Ma anche il personale dedicato alla hotellerie è oggi necessario per soddisfare la domanda in grande aumento delle compagnie di crociera. Anche in questo caso, per far fronte al problema occorre una robusta opera di semplificazione e abbattimento delle barriere che si frappongono fra domanda e offerta di lavoro. Qualcosa si sta muovendo. Nello scorso novembre, l’emanazione di un Decreto Interministeriale del MIT e del MEF ha finalmente consentito l’utilizzo di preziose risorse economiche per la formazione di nuove professionalità da parte delle compagnie. È un provvedimento fortemente voluto da noi, dal Governo, e dalle Parti sociali. Siamo dunque andati a cercare i marittimi del futuro a casa loro, organizzando incontri in varie regioni italiane con i giovani e meno giovani in cerca di una occupazione stabile e fortemente specializzata. L’ampia partecipazione che abbiamo riscontrato ci fa ben sperare: i giovani ci sono, hanno voglia di lavorare e di mettersi in gioco. Ora dobbiamo continuare – tutti insieme: noi armatori, le Istituzioni, le Organizzazioni Sindacali – nella direzione segnata per abbattere quelle barriere che si frappongono fra domanda e offerta di lavoro. L’Italia vanta una storica tradizione marittima, un patrimonio di esperienze di cui non dobbiamo permettere la dissipazione».
Lo scorso anno come associazione avete lanciato l’allarme relativamente al flagging out. Di che cosa si tratta e soprattutto rappresenta ancora un problema?
«Il flagging out è quel fenomeno per cui una compagnia di navigazione che batte bandiera italiana a bordo delle sue navi sceglie di cambiare registro, iscrivendosi a quello di un altro Stato. Gli armatori tuttavia non decidono di cambiare bandiera per issarne una ‘di comodo’. Niente di più sbagliato e fuorviante. Quello che cercano, e che spesso trovano addirittura in registri di altri Stati membri dell’Unione europea, è minor burocrazia, che si traduce in efficienza, rapidità, minori running cost a parità di sicurezza e certificazioni… un vero risparmio di tempo e di costi. Il problema è ancora sul tavolo, voglio tuttavia rendere merito al Governo, ai membri del Parlamento, ai vertici delle varie Amministrazioni, perché molto è stato fatto negli ultimi mesi soprattutto dal punto di vista della semplificazione. Abbiamo intrapreso la strada giusta, adesso dobbiamo percorrerla con convinzione per tutelare la competitività della nostra bandiera».
Com’è possibile secondo lei promuovere un mercato del trasporto marittimo proattivo e moderno in mare, nei porti, nelle infrastrutture e nella logistica di terra? Quali sono le misure da mettere in campo?
«Credo occorrano poche regole, ma chiare e valide per tutti, senza scatti in avanti che il più delle volte sono forieri di problemi più che di soluzioni, in particolare nel campo della transizione energetica. Serve poi una certa unità di visione anche a livello amministrativo, e in questo senso la scelta del Governo di istituire il Cipom, Comitato Interministeriale per le Politiche del Mare, e il Piano del Mare recentemente varatoi da quest’ultimo, cui Assarmatori ha dato il suo contributo, siano segnali importanti in tal senso».

Stefano Messina-presidente Assarmatori
Sostenibilità è uno dei temi caldi e riguarda senz’altro anche l’industria marittima. Come favorire la transizione energetica per ridurre l’impatto delle emissioni?
«Il trasporto marittimo sta affrontando la prima fase della regolazione derivata dal Green Deal europeo e dalla regolazione dell’IMO, ma voglio evidenziare come nel corso degli ultimi anni gli armatori hanno sempre fatto i ‘compiti a casa’ e talora anticipato gli obblighi derivanti dai regolamenti internazionali dettati dall’IMO (ovvero della massima autorità mondiale in materia di sicurezza e prevenzione dell’inquinamento nel trasporto marittimo). Lo hanno fatto per ridurre l’impronta carbonica, e ci sono riusciti: fra il 2008 e il 2018 il trasporto marittimo a livello globale è cresciuto del 40% e nello stesso periodo le emissioni totali di GHG sono invece diminuite del 7%. Adesso siamo di fronte ad un’ulteriore spinta che arriva appunto dall’Unione europea (penso al pacchetto Fit for 55 e quindi all’ETS, alla FuelEU Maritime, all’AFIR) e dall’IMO, con una misura come il nuovo Carbon Intensity Indicator. Si tratta in tutti i casi di norme in linea di massima condivisibili, ma licenziate in modo intempestivo, senza tenere conto degli strumenti effettivamente percorribili e senza una valutazione complessiva di tutte queste regolazioni. La neutralità tecnologica, ad esempio, così come immaginata a livello comunitario, è a prima vista foriera di incertezza. In materia di carburanti non possiamo immaginare di percorrere tutte le strade consentite dalla legislazione europea. È impossibile, dal punto di vista industriale per quanto riguarda la loro produzione ed è impossibile dal punto di vista della distribuzione e messa a bordo. Possiamo immaginare di avere depositi e bunkeraggi dei vari carburanti alternativi nei nostri scali? Una visione davvero inverosimile. È pertanto imperativo che le scelte di produzione e infrastrutturazione dei nostri porti per la fornitura dei carburanti alternativi avvengano da chi sa di mare, perché soltanto gli armatori conoscono le capacità tecnologiche e quelle di investimento tenuto conto dei trend del mercato internazionale che seguono standard di economicità ed efficienza che non possono essere derogati».
Cosa chiedete in generale al Governo per “proteggere” il trasporto marittimo: cosa è stato fatto e cosa serve ancora? E noi cittadini come possiamo contribuire?
«Direi che lo abbiamo visto; il trasporto marittimo è un’infrastruttura flessibile, efficiente e resiliente messa al servizio del Paese nei più svariati ambiti: dalla movimentazione dei passeggeri a quella delle merci, per arrivare all’apporto che forniamo alla sicurezza energetica del Paese. Chiediamo al Governo di proseguire sulla strada intrapresa, puntando alla semplificazione e all’attenzione a questa industria così strategica per un Paese a vocazione marittima come l’Italia. Pensiamo poi che l’Italia debba farsi sentire anche in Europa per proteggere le specificità dello shipping che opera nel Mediterraneo – e quindi i suoi porti e le sue rotte – rispetto ai Paesi del Nord, che hanno bisogni ed esigenze differenti. In questo momento uno degli aspetti più urgenti riguarda proprio la sostenibilità ambientale, ovvero far sì che i proventi generati con l’ETS dal trasporto marittimo e che non confluiranno nel bilancio di Bruxelles siano reinvestiti nel settore come incentivo per procedere davvero nel senso della decarbonizzazione, a partire dal rinnovo delle flotte».
L’impegno degli armatori è chiaro: “continuare ad assicurare al Paese un’infrastruttura in grado di fornire servizi regolari ed efficienti ma anche altamente flessibili, proseguendo nella strada verso una sempre maggiore sostenibilità ambientale che, per essere effettivamente percorribile, deve accompagnarsi con quella sociale ed economica“.