Difficile per le economie internazionali allontanarsi dalla filiera di approvvigionamento del rame cinese. Tanti i rischi e tra questi un aumento dei costi e un ritardo nel processo di transizione energetica. Non solo, qualora si volesse tentare una diversificazione delle fonti di approvvigionamento, è bene ricordare che le proiezioni parlano di un possibile aumento della domanda del 75% entro il 2050. A decretarlo è Wood Mackenzie, società di analisi dei dati, che parla di una sostituzione della Cina come di un’eventualità “irrealizzabile”.
Secondo i dati di Wood Mackenzie, dal 2000 la Cina è responsabile del 75% della crescita della capacità delle fonderie mondiali. “Per sostituire la Cina sarebbero necessari centinaia di miliardi di dollari in nuove capacità di lavorazione e fabbricazione del rame”. “Ciò creerebbe inefficienze che si tradurrebbe in beni finiti dal prezzo notevolmente più elevato e aumenterebbe i costi e la tempestività della transizione energetica”, ha aggiunto.
Infatti la Cina è leader mondiale in segmenti chiave della filiera del rame, metallo fondamentale nelle tecnologie emergenti. Da ricordare, inoltre che secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, entro il 2030 le miniere esistenti e i progetti in costruzione riusciranno a soddisfare solo l′80% del fabbisogno della materia prima, il che potrebbe facilmente portare ad una carenza del prezioso elemento.