Le Pmi rappresentano una struttura portante dell’intero sistema produttivo nazionale, rappresentano il volano della nostra economia. Con un giro di affari di oltre 1.000 miliardi di euro, generano quasi il 40% del valore aggiunto nazionale e impiegano un terzo di tutti gli occupati. Ma per crescere hanno bisogno di supporto e di una vision a lungo raggio sia a livello nazionale che europeo. Di questo e di molto altro ha parlato il vice-presidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora, che il nostro direttore editoriale Matteo Vallero ha incontrato negli studi romani di Business24.
Partiamo subito parlando di imprese e nello specifico delle piccole e medie imprese, secondo lei qual è lo stato di salute di quelle italiane?
«Unimpresa è uno dei maggiori enti datoriali italiani, siamo il terzo raggruppamento dopo Confindustria e Confcommercio. Racchiude 14 federazioni e siamo un po’ trasversali nella tipologia delle aziende, ci occupiamo di grandi e piccole imprese. Tra chiari e oscuri la pmi cerca di reggere l’impatto che in questo momento sta subendo sia in termini di pressione fiscale che di competitività. Lo stato attuale purtroppo non è dei migliori in quanto l’Unione europea non ha come focus quello di sostenere le piccole e medie imprese ed anche lo Stato italiano non fa molto in tal senso. Per sostenerle bisogna in primis mettere in atto un piano industriale nazionale di sviluppo. Manca un piano a largo raggio, ci vuole una visione strategica a 20-30 anni».
Quali sono le maggiori criticità per il mondo delle imprese? E come si può far fronte alla continua carenza di personale, soprattutto specializzato?
«Le maggiori criticità sono due: la sburocratizzazione amministrativa di cui si parla tanto non è mai avvenuta. L’altro aspetto riguarda gli approvvigionamenti che subiscono pressioni derivanti da fenomeni che nulla hanno a che fare con l’attività primaria dell’impresa. Basti pensare alla pandemia o ai conflitti che investono l’Europa. La problematica del personale è particolare, stiamo soffrendo tutta una serie di problematiche legate alla natalità. Anche qui la politica è colpevole per le scelte discordanti anche sui migranti che potrebbero essere utilizzati e specializzati. Manca poi tutta una formazione scolastica professionale ad hoc».
L’intervista completa a Giuseppe Spadafora (Vicepresidente Unimpresa) è andata in onda sul canale 410 del digitale terrestre
Un argomento che interessa da vicino le imprese italiane è la politica europea e lo abbiamo visto recentemente sulla questione balneari, ad esempio. Archiviate le elezioni si guarda al nuovo governo europeo per cercare di raddrizzare il tiro sull’economia. Cosa ne pensa dell’assenza di una politica fiscale comune a livello di Unione Europea?
«La questione fiscale non possiamo prenderla a se stante, dobbiamo valutare altri aspetti, tutto ciò che gli grava intorno. L’ambito fiscale ha senso se di contorno c’è un codice civile uguale per tutti in Europa, le cose vanno di pari passo. Quindi ben venga una condivisione univoca per tutti gli Stati comunitari, anche se molti, soprattutto quelli recenti, non potranno aderire. Bisogna capire che è necessario spingersi oltre la fiscalità e regolamentare anche gli altri aspetti univocamente per tutti gli Stati. La politica coordinata deve quindi riguardare tre aspetti fondamentali: una sicurezza comune, fiscalità comune e tutto ciò che riguarda l’aspetto giuridico. Sulle balneari è un pasticcio, perché si dimentica che l’Italia ha peculiarità diverse da altri stati: la Bolkestein ha un valore diverso per il nostro Paese come per gli altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo e che vivono di stagionalità e come tali devono essere trattati. Le comunità locali devono avere voce in capitolo, una sorta di Europa federale. Le specificità locali non possono essere superate dalle necessità di business che vengono comprese a livello centrale a Bruxelles».
Quali sono i provvedimenti di cui le pmi italiane hanno bisogno urgente da parte dell’Ue?
«Le nuove sfide sono le tecnologie. Noi perderemo il 20% del tessuto lavorativo nei prossimi 20 anni. Lo diciamo da decenni, anche Draghi lo ha detto, bisogna fare molta formazione e mettere nelle condizioni le aziende di avere cambi generazionali che siano focalizzati su questi aspetti. La tecnologia porta ad avere poche persone che lavorano al posto di molte macchine che fanno il lavoro al loro posto. Questo potrebbe diventare un grosso problema per il futuro. Bisogna correre ai ripari».
Invece dal Governo italiano cosa si aspettano le imprese? Qual è, secondo lei, il primo passo da fare verso imprese per agevolare il lavoro e diminuire il carico sulle famiglie?
«Una parte della popolazione mondiale, con lo sviluppo delle tecnologie, non avrà mai da lavorare e i welfare nazionali devono recuperare questo gap. Queste persone non faranno parte del tessuto produttivo, sicuramente faranno altro che merita la stessa dignità e lo stesso valore. L’ingegniere informatico varrà quanto la persona che sarà inviata dal Comune ad assistere gli anziani a casa. Dobbiamo tendere a una forma di equità sociale. La sfida dell’intelligenza artificiale la stiamo perdendo a tavolino per paura, per le cose nuove. Ma la macchina è macchina ed è stupida. Se viene perfomata ed indicizzata da una persona critica non farà mai male a nessuno».
Insomma le pmi hanno bisogno di supporto a livello nazionale ed europeo per continuare a crescere. E non dimentichiamo che le aziende sono fatte di persone, non da macchine. Quest”ultime potranno essere instancabili, eterne ma l’igegnio umano è insostituibile e non ha prezzo.