Continua il viaggio nel mondo dei BRICS e tra i suoi protagonisti. Questa volta è il turno del Brasile, prima potenza sudamericana ma anche protagonista, nel bene e nel male, di una serie di cambiamenti spesso camaleontici, sia sul fronte politico che su quello economico. A fare la fotografia di una nazione estremamente complessa, dalle mille contraddizioni e dalle altrettante potenzialità inespresse è Gabriel Debach, market analyst di eToro.
Il Brasile è al nono posto tra le maggiori economie mondiali. È possibile scattare una fotografia del quadro economico della nazione?
«Il Brasile ha chiuso il 2023 come nona economia del mondo, subito dietro l’Italia, guadagnando due posizioni rispetto all’anno precedente. E’ il Paese più grande e popoloso dell’America Latina, con un PIL che rappresenta quasi la metà dell’intera economia sudamericana, e gioca un ruolo chiave all’interno del gruppo dei BRICS. Dopo aver superato una fase di difficoltà a cavallo del XX secolo, il Brasile è riuscito a consolidare la sua posizione e affermarsi come uno dei mercati emergenti più forti al mondo, grazie soprattutto alle riforme e politiche economiche introdotte sotto la presidenza di Luiz Inácio Lula da Silva. Negli ultimi due anni, l’economia del Paese ha mostrato una notevole resilienza, con l’inflazione che è rientrata all’interno dell’intervallo di tolleranza fissato dalle autorità, mentre il tasso di crescita nel 2024 la colloca al sesto posto tra le economie del G20 con il più alto tasso di espansione, dietro solo a India, Indonesia, Cina, Russia e Stati Uniti. In definitiva, il quadro che emerge è quello di un Paese che si sta consolidando per posizionarsi come uno dei principali motori economici del G20, guidato da politiche economiche più robuste e dal settori emergenti come tecnologia, energia verde e infrastrutture».
Tra il giugno del 2023 e il giugno del 2024 l’economia brasiliana ha raggiunto il +2,5% di crescita, occupando il sesto posto tra le economie del G20 che sono cresciute di più quest’anno. Ma questa forza continuerà anche nel lungo periodo?
«Finora, il 2024 ha segnato un periodo di notevole espansione per il Brasile, grazie alle politiche economiche più solide adottate dal Paese e alla spinta di settori emergenti come tecnologia, energia verde e infrastrutture. Le prospettive sono positive anche per l’ultima parte dell’anno, considerando che il Ministero delle Finanze brasiliano ha alzato recentemente le stime di crescita economica al 3,2% per il 2024, in accelerazione rispetto al 2023. Dando uno sguardo al futuro, le previsioni per il Paese sono incoraggianti, anche se non prive di rischi. Il Brasile ha consolidato la sua posizione come seconda principale destinazione di investimenti diretti esteri (IDE) nel 2023, nonostante un calo del 12% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, come sottolineato dall’OECD, il debito pubblico rimane elevato, il che richiede una maggiore efficienza della spesa e la rapida attuazione del nuovo quadro fiscale recentemente stabilito. Inoltre, i dati sulla produttività sono diminuiti nell’ultimo decennio e il loro rilancio richiederà ulteriori riforme strutturali».
Secondo quanto dichiarato dall’agenzia statistica governativa IBGE a settembre i prezzi sono aumentati del 4,42% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, per i maggiori costi dell’elettricità. Costi a loro volta aumentati anche a causa di una delle peggiori siccità che stanno affliggendo il paese. Un freno non indifferente in una nazione in cui più della metà della fornitura proviene da impianti idroelettrici. Quali considerazioni si possono fare al riguardo?
L’ondata di siccità che da tempo sta affliggendo il Brasile è la più grande e prolungata della sua storia e ha portato il livello del fiume Negro, il principale affluente del Rio delle Amazzoni, ai minimi storici. Calamità di questa portata hanno enormi conseguenze, oltre che sull’ambiente e sulla vita quotidiana della popolazione, anche intaccando l’economia del Paese in diversi settori chiave, dall’agricoltura, all’approvvigionamento energetico. Uno dei più colpiti è stato il comparto idroelettrico: più della metà dell’energia proviene infatti da impianti idroelettrici, e la riduzione delle riserve idriche sta innescando un aumento dei costi. Come indicato dal Ministero delle Miniere e dell’Energia, i livelli di acqua nei bacini idroelettrici del Brasile sono scesi al 57% della loro capacità, molto al di sotto dei livelli ottimali, e l’ONS (Operatore nazionale del sistema elettrico) prevede che potrebbero raggiungere livelli critici nei prossimi mesi se le precipitazioni non migliorano. Questa situazione non solo minaccia interruzioni di fornitura e blackout, ma ha già portato a un aumento dei prezzi dell’elettricità, con ripercussioni sull’inflazione generale del paese, che ha raggiunto il 4,42% a settembre. Il governo sta valutando soluzioni temporanee, come il ricorso a centrali a combustibili fossili e la negoziazione con il Paraguay per aumentare il livello delle acque nella diga di Itaipu. Oltre ai problemi economici immediati, la siccità va inserita anche nel contesto del cambiamento climatico, portando all’attenzione le conseguenze devastanti come l’intensificarsi degli incendi boschivi. In questo contesto, è chiaro che la vulnerabilità del Brasile a fenomeni climatici estremi richiede una riflessione profonda sulle politiche ambientali ed energetiche del Paese. La dipendenza da energia idroelettrica, sebbene pulita, espone il Brasile a rischi significativi in periodi di siccità».
L’economia del Brasile si basava, fino ad ora, su alcune materie prime come il caffè e lo zucchero ma, anche in vista del delicato momento che stanno vivendo le commodities, presto potrebbe vedere una più ampia diversificazione. Su quali pilastri si reggerà l’economia brasiliana del futuro?
«Il Brasile ha tutte le carte in regola per affermarsi come motore di rilievo nell’ambito della transizione energetica, soprattutto per quanto riguarda la tecnologia ecosostenibile e le soluzioni per contrastare il cambiamento climatico. Il Paese vanta infatti alcuni dei più grandi depositi al mondo di minerali critici, come litio, nickel e niobio, sono fondamentali per lo sviluppo di tecnologie sostenibili, in particolare per le batterie e le energie rinnovabili. L’industria del litio è la prova del potenziale carioca nel settore: in meno di due anni, il Brasile è passato da zero esportazioni al quinto esportatore di litio nel 2023, e le previsioni vedono un aumento della produzione di cinque volte nei prossimi cinque anni. Oltre a essere già esportatore di alcuni di essi, si sta cercando di sviluppare catene del valore dei minerali critici in patria, sfruttando la leadership brasiliana nelle energie rinnovabili. Il Presidente Lula ha inoltre accentuato l’impegno del Paese nella transizione sostenibile, firmando una nuova legge che mira a posizionare il Brasile come leader nell’energia pulita, puntando a un aumento dell’uso di biocarburanti come etanolo e biodiesel, prodotti da piante e con un impatto ambientale minore rispetto alla benzina e al diesel tradizionali. Dal punto di vista economico, si prevede che questa legge porterà investimenti di circa 260 miliardi di real (circa 50 miliardi di dollari), contribuendo a creare nuovi posti di lavoro e a stimolare l’economia, in particolare nei settori agricolo e della produzione di carburanti».
Nel suo ultimo rapporto, la Banca Mondiale ha avvertito di una crescita disomogenea in tutta l’America Latina. Come si pone il gigante carioca rispetto ai suoi vicini di casa?
«Nella seconda metà del 2023, la regione di America Latina e Caraibi (ALC) ha registrato un rallentamento della crescita economica dovuto agli effetti persistenti della generalizzata stretta monetaria. All’inizio di quest’anno si sono registrati alcuni segnali di ripresa, ma, come evidenziato tanto dalla Banca Mondiale, quanto dall’OCSE, il percorso verso la stabilità non sta procedendo in modo uniforme, col rischio di un aumento della povertà in diverse aree sensibili. La situazione può variare considerevolmente da Paese a Paese e, mentre Brasile e Messico hanno mantenuto una fiducia positiva da parte delle imprese, e la Colombia ha mostrato segnali di miglioramento, l’Argentina ha subito una forte contrazione economica. Stando alle previsioni della Banca Mondiale, la crescita del Brasile dovrebbe moderarsi verso il 2,2% nel 2025, sostenuta dai tagli ai tassi e dalla ripresa dei consumi e degli investimenti privati. Anche le previsioni per il Messico indicano un rallentamento della crescita, al 2,1% nel 2025, alimentato da una politica monetaria restrittiva nonostante la prevista riduzione dell’inflazione e dei tassi di interesse. Per l’Argentina si prevede una contrazione del 3,5% nel 2024, ma una ripresa con una crescita del 5,0% nel 2025, grazie alla correzione degli squilibri economici e alla riduzione dell’inflazione. Altri Paesi dovrebbero invece vedere un aumento della crescita: la Colombia, che si ritiene beneficerà di una ripresa dei consumi privati e delle esportazioni, e il Cile, con previsioni pari al 2,2% nel 2025, sostenuto da una forte domanda esterna di materie prime energetiche verdi e dalla riduzione dei tassi di interesse. Ad ogni modo, bisogna tenere conto di una serie di rischi che modificherebbero tali previsioni, prevalentemente al ribasso. Tra questi, il potenziale inasprimento delle condizioni finanziarie globali, gli elevati livelli di indebitamento locale e il rallentamento della crescita cinese che influisce sulle esportazioni dell’America Latina e dei Caraibi. Anche gli eventi meteorologici estremi legati al cambiamento climatico rappresentano un rischio. Al contrario, il rafforzamento dell’attività economica negli Stati Uniti potrebbe avere un impatto positivo sull’America Centrale e sui Caraibi».
Quale impatto economico hanno le ampie disuguaglianze sociali sullo sviluppo del Brasile?
«La disuguaglianza sociale ed economica in Brasile ha radici antichissime e quasi archetipiche: basti pensare che, l’anno scorso, la ricchezza dell’élite brasiliana è cresciuta tre volte più velocemente di quella della popolazione generale. Un’impennata del genere non si vedeva dai tempi della dittatura militare (1964-1985) e sfida l’obiettivo del presidente Luiz Inácio Lula da Silva di combattere la disuguaglianza. La disuguaglianza è un problema cronico nel gigante sudamericano che si è stabilizzato nei primi anni del XXI secolo con un miglioramento delle condizioni di vita dei più poveri, ma poi si è invertito tra il 2017 e il 2022. E’ emblematico il caso di Paraisópolis, la seconda favela più grande di San Paolo. Da una parte, un alveare di case di mattoni spogli; dall’altra, imponenti palazzi di appartamenti con campi da tennis e piscine su ogni terrazza. Un viale separa i due mondi. In primo luogo, la disuguaglianza limita l’accesso all’istruzione e alle opportunità economiche, portando a una perdita di capitale umano e riducendo la produttività. Gli alti tassi di disoccupazione, soprattutto tra i gruppi più vulnerabili, amplificano questo problema. Durante la pandemia, per esempio, i più poveri hanno visto un calo drammatico del reddito, mentre i ricchi hanno subito perdite minori, aggravando ulteriormente la già marcata disparità economica. Questo non solo frena la crescita economica, ma mina anche la coesione sociale, aumentando il rischio di conflitti e instabilità. Inoltre, l’ineguaglianza impatta il consumo interno. Un’elevata concentrazione di ricchezze limita il numero di consumatori capaci di contribuire alla domanda economica complessiva, essenziale per una crescita sostenibile. La relazione tra disuguaglianza e crescita economica è complessa: sebbene il Brasile possa mostrare indicatori macroeconomici positivi, come la crescita dei settori agricoli e minerari, questi non si traducono necessariamente in benefici per la maggior parte della popolazione. La mancanza di lavoro dignitoso e di opportunità per la maggior parte dei cittadini limita le possibilità di sviluppo economico a lungo termine. Infine, le disuguaglianze sociali compromettono anche la stabilità economica. Investimenti e politiche fiscali tendono a favorire le fasce più abbienti della popolazione, escludendo il resto dalla partecipazione ai benefici della crescita».
Questo, conclude Debach, crea una spirale di esclusione che non solo perpetua la povertà ma ostacola anche il progresso economico rendendo difficile l’attuazione di riforme strutturali, necessarie per un futuro sostenibile e inclusivo.