Istituti di credito al centro di una rivoluzione oppure una naturale evoluzione del settore? Il caso Unicredit-Commerzbank potrebbe essere l’esempio di quanto, in futuro, accadrà. Ma cosa sta succedendo? A rispondere è Francesco Megna Esperto di Finanza ed Economia
Recentemente il caso dell’avanzata italiana di Unicredit in Commerzbank è stata al centro delle scene finanziarie. È possibile ricostruire la vicenda e spiegare i motivi che hanno spinto il colosso italiano a puntare verso Berlino?
«Sicuramente la fusione portata avanti con determinazione dal CEO di Unicredit Andrea Orcel potrebbe ridisegnare l’assetto bancario in Europa creando un colosso finanziario con un’importante presenza nei principali mercati dell’Europa stessa. La banca milanese ha presentato delle simulazioni che esprimono un’accelerazione degli utili per azione di circa il 15% con sinergie a regime che potrebbero arrivare a circa 600-650 milioni. Sempre secondo Unicredit l’operazione consentirebbe di mantenere un solido Cet ratio previsto intorno al 13% e così proseguire con la sua politica di distribuzione dei dividendi e questo è un supporto cruciale per mantenere il supporto degli azionisti. Attualmente Unicredit ha acquisito oltre il 20% delle quote di Commerzbank ed è in attesa, da tempo, da parte della Banca centrale europea di arrivare al 29%, la soglia per poter poi lanciare un’OPA. Chiaramente il governo tedesco si è opposto all’operazione, ma con grande coraggio il CEO di Unicredit va avanti per la sua strada, come estrema cautela ma con altrettanta determinazione. Unicredit aveva ottenuto parte del primo pacchetto proprio dalla vendita di una parte della partecipazione del governo tedesco che in Commerzbank era entrato nel lontano 2008-2009 quando intervenne per salvare la banca che era in crisi e da allora sta gradualmente vendendo le sue azioni per uscire del tutto dal capitale».
Il caso di Unicredit con Commerzbank è forse l’esempio più emblematico del problema fusioni in Europa. Sempre più necessarie, secondo molti, in Europa. Ma per quel motivo?
«Anzitutto le fusioni potrebbero rendere le banche più resilienti agli shock grazie alla maggiore diversificazione degli asset. Ci sono infatti alcune banche specializzate in core business, altre banche che hanno un focus diverso su altri business. Questo consentirebbe alle banche europee di avere modelli aziendali più efficienti e quindi di perseguire strategie di crescita e investire soprattutto nella digitalizzazione, dove gli Stati Uniti sono molto più avanti rispetto all’Europa. Quindi ci chiediamo ma come nascono le fusioni bancarie? Nascono per fenomeni soprattutto di mercato. Se pensiamo che ancora 10-15 anni fa l’Italia era fatta da piccole, molte piccole banche, molto legate al territorio, le famose banche del territorio. Ma in molti micromercati c’era un’unica piccola banca, di fatto delle aziende, ma molto legate al mondo pubblico. Quindi entità legate in quella fase allo sviluppo della zona in cui stavano, più che ad operazioni di lungo termine per gli azionisti. Erano tutte pubbliche, tutte dello Stato ed era un settore molto controllato. Ma sono state un contributo fortissimo, non dimentichiamoci, alla ricostruzione del paese. Poi i mercati sono divenuti sempre più legati in certi settori come l’investment banking e si è cominciato ad operare a livello europeo e a globalizzarsi. Contemporaneamente queste tecnologie informatiche permettevano di collegare a distanza organizzazioni diverse. Nuove esigenze di servizio sono state così accompagnate da una formidabile visione: banche più grandi che possono competere sul mercato proprio per evitare di essere mangiate dalla globalizzazione».
La supervisione della Bce con la vigilanza diretta degli istituti significativi dell’area euro è stata una rivoluzione che ha cambiato il settore bancario. Qual è attualmente lo stato di salute del sistema bancario europeo?
«Direi molto buono, basti pensare che nel 2024 le banche europee restituiranno agli azionisti più di 120 miliardi di euro in dividendi e nel riacquisto di azioni proprie, grazie ai risultati straordinari registrati nello scorso anno. Infatti le big del settore bancario sono sotto pressione per aumentare il valore delle azioni e conquistare gli investitori che proprio negli ultimi anni si sono allontanati proprio a causa dei divieti sulla distribuzione dei dividendi da parte della BCE»
Quindi, conclude Megna, banche in buona salute, ma che per stare al passo, sul mercato devono sempre di più, come ha sostenuto il nostro Mario Draghi, puntare su fusioni per affrontare le tematiche importanti della globalizzazione e per poter far fronte anche alle richieste dei colossi dell’industria sempre più concentrati, sempre più grandi.