Intelligenza artificiale: i primi che ne hanno parlato sono stati John McCarthy, Marvin Minsky, Nathaniel Rochester e Claude Shannon durante una conferenza a Dartmouth College nel 1955 ed in particolare in un documento di diciassette pagine che verrà ricordato come “la proposta di Dartmouth”. Lì è contenuta la prima definizione di AI ovvero “la scienza e l’ingegneria della realizzazione di macchine intelligenti”. Un punto di inizio, e non certo d’arrivo. Eh sì perché la definizione di intelligenza artificiale è ampia, include molte accezioni diverse, in cui è facile perdersi. Ed oggi, nel flusso dell’evoluzione tecnologica non si parla di altro: tra big data, algoritmi sempre più performanti che ne permettono un impiego diffuso, capace di incidere nella vita quotidiana di imprese e individui in maniera ancora più profonda rispetto alle innovazioni precedenti, sono veramente tanti i campi d’azione e le riflessioni che ne conseguono. Noi di Business24 ci siamo posti alcune domande: per il mondo del lavoro l’AI rappresenta più una opportunità o una minaccia? Quanto stiamo investendo per la sua evoluzione? E dal punto di vista normativo a che punto siamo? A questi e a molti altri quesiti ha risposto Pierguido Iezzi, esperto di AI, Strategic Business Director di Tinexta cyber e Consigliere Nazionale e Coordinatore del Cyber Think Tank Assintel.
Partiamo dai numeri. Quanto vale ad oggi il mercato dell’Artificial Intelligence? E quanto crescerà nel futuro?
«Il mercato dell’intelligenza artificiale ha già raggiunto valori imponenti e si stima che continuerà a crescere rapidamente nei prossimi anni. Attualmente, il settore dell’AI globale è valutato intorno ai 142 miliardi di dollari, con una crescita annua composta (CAGR) che si aggira attorno al 20%. Questo significa che, secondo le proiezioni, il mercato potrebbe arrivare a toccare i 1,8 trilioni di dollari entro il 2032. Le principali aree di applicazione che trainano questa crescita sono l’automazione dei processi aziendali, l’elaborazione del linguaggio naturale (NLP), la robotica avanzata e le analisi predittive, che portano valore aggiunto in molti settori, inclusi sanità, finanza, manifattura e marketing. Questa spinta deriva principalmente dal fatto che le aziende di tutto il mondo stanno scoprendo il potenziale dell’AI nel migliorare l’efficienza, ridurre i costi operativi e offrire un’esperienza cliente personalizzata. Inoltre, l’avvento dell’AI generativa, che consente la creazione di contenuti testuali, visivi e audio a partire da semplici input, sta spingendo ancora di più la domanda e creando nuovi segmenti di mercato. L’AI è diventata un “must-have” per qualsiasi azienda che voglia competere a livello globale, e per questo le previsioni sono particolarmente ottimistiche».
Il Ceo di Nvidia qualche giorno ha lanciato l’allarme dicendo che l’Ue è in ritardo rispetto ad Usa e Cina negli investimenti nell’AI. Perché? Cosa sta accadendo? Secondo lei l’Europa si rimetterà in carreggiata?
«L’osservazione del CEO di Nvidia mette in evidenza un divario importante. Stati Uniti e Cina stanno investendo massicciamente in intelligenza artificiale, con grandi capitali di rischio, infrastrutture di calcolo avanzate e politiche di supporto che incentivano l’innovazione tecnologica. Ad esempio, negli Stati Uniti, i grandi attori tecnologici – pensiamo a Google, Microsoft e Amazon – hanno creato un ecosistema di sviluppo e ricerca in AI che consente loro di sviluppare nuovi modelli in tempi rapidi. Dall’altra parte, la Cina ha fatto dell’intelligenza artificiale una priorità nazionale, dedicando ingenti risorse statali per sostenere il settore, con l’obiettivo dichiarato di diventare leader mondiale dell’AI entro pochi anni. In Europa, invece, l’approccio è stato più cautelativo e orientato alla regolamentazione: l’AI Act, per esempio, è un quadro normativo pensato per garantire che l’adozione dell’AI avvenga in modo etico e sicuro per i cittadini. Sebbene la tutela dei diritti sia essenziale, questo ha probabilmente rallentato l’adozione su larga scala di tecnologie innovative. Detto ciò, l’Europa ha la capacità di recuperare terreno, soprattutto se riuscirà a sfruttare appieno le risorse messe a disposizione dai vari programmi dell’Unione, come il Digital Europe Programme, e attrarre investimenti che accelerino la crescita delle competenze digitali. Puntare su un’AI “responsabile” potrebbe rendere l’Europa un leader in un contesto etico e di responsabilità, diversificandosi rispetto alle altre potenze».
In Italia la Meloni sta puntando molto sulle nuove tecnologie e sull’intelligenza artificiale. Ha incontrato diversi rappresentanti delle big tech globali negli ultimi tempi. Ed il mercato sta crescendo molto nel nostro Paese. Le prospettive sono buone, non crede?
«Assolutamente. In Italia stiamo assistendo a un momento di grande attenzione verso le tecnologie emergenti, compresa l’intelligenza artificiale. Il governo attuale, sotto la leadership di Giorgia Meloni, sta cercando di attrarre investimenti internazionali e collaborazioni con le grandi aziende tecnologiche globali. Questo è dimostrato dagli incontri che la Premier ha avuto con i leader delle big tech – da Starlink a Google – un chiaro segnale di apertura verso il mondo dell’innovazione. A livello nazionale, si sta investendo anche nell’ecosistema delle start-up e in progetti innovativi, rafforzando il posizionamento italiano nel panorama europeo della tecnologia. In parallelo, ci sono segnali positivi che indicano una crescita del mercato interno dell’AI, con aziende italiane che stanno iniziando a utilizzare queste tecnologie per migliorare i propri processi operativi e per offrire nuovi servizi. Se si mantengono questi ritmi e se il settore pubblico e quello privato continueranno a collaborare, le prospettive saranno certamente buone e l’Italia potrebbe diventare un punto di riferimento nel Sud Europa per il settore tecnologico».
A livello normativo in Europa ed in Italia abbiamo l’AI ACT e il DDL AI. Bastano a regolare secondo lei il settore o serve di più?
«L’AI Act e il DDL AI sono passi importanti verso la regolamentazione di un settore che cresce a ritmi velocissimi. L’Europa, con l’AI Act, ha voluto anticipare i rischi legati all’intelligenza artificiale, come la protezione dei dati personali, la trasparenza e la responsabilità nell’uso di sistemi decisionali automatizzati. Il quadro regolamentare, insomma, cerca di prevenire eventuali abusi e di proteggere gli utenti finali, stabilendo anche una classificazione dei rischi per le diverse applicazioni dell’AI. Questo è un approccio che mira a creare fiducia nei cittadini e a stabilire linee guida chiare per le aziende che sviluppano o utilizzano AI. Detto ciò, il contesto è così dinamico che è probabile che queste normative necessitino di continui aggiornamenti. Nuovi sviluppi tecnologici, come l’intelligenza artificiale generativa, pongono questioni inedite e potrebbero richiedere ulteriori regolamentazioni. Quindi, pur riconoscendo l’importanza dell’AI Act e del DDL AI, credo sia fondamentale un monitoraggio continuo e una certa flessibilità normativa per garantire che l’Europa non rimanga indietro e che il settore possa continuare a crescere senza eccessivi vincoli burocratici».
Rischi ed opportunità dell’AI in ambito economico e lavorativo. Quali sono secondo lei le prospettive?
«Le opportunità offerte dall’AI in ambito economico sono innumerevoli. L’intelligenza artificiale permette alle aziende di migliorare l’efficienza operativa, ridurre i costi e scoprire nuovi modelli di business. Penso, ad esempio, alla possibilità di ottimizzare le catene di produzione, migliorare il servizio clienti con chatbot avanzati e sviluppare soluzioni predittive per la manutenzione degli impianti. Sono tutte applicazioni che possono portare benefici tangibili e rendere le imprese più competitive. Al contempo, però, ci sono rischi significativi da affrontare. L’automazione che l’AI rende possibile potrebbe portare alla sostituzione di alcuni ruoli lavorativi, creando delle disuguaglianze nel mercato del lavoro. Questo non significa necessariamente la perdita netta di posti di lavoro, ma richiede una riqualificazione dei lavoratori, affinché possano adattarsi a nuovi ruoli e responsabilità. Inoltre, l’utilizzo di algoritmi decisionali solleva questioni di etica, poiché decisioni importanti vengono delegate a macchine, il che potrebbe portare a risultati non sempre in linea con i valori umani. La sfida, dunque, sarà trovare un equilibrio tra sfruttare appieno il potenziale dell’AI e preservare l’occupazione e il valore del giudizio umano».
Chiudiamo con una nota di colore. Mi ha incuriosito il fatto che gli italiano ad oggi conoscono poco l’intelligenza artificiale ma mostrano grande fiducia. Un paradosso non crede? Non servirebbe aumentare la conoscenza per fare crescere la consapevolezza?
«Sì, è davvero un paradosso interessante. Gli italiani, come molti altri cittadini europei, percepiscono l’intelligenza artificiale come una tecnologia che può migliorare la vita quotidiana e contribuire al progresso, anche se non tutti ne comprendono appieno le potenzialità e i limiti. Questo aspetto riflette una fiducia nel progresso tecnologico e, probabilmente, una consapevolezza che l’AI è già parte integrante della nostra vita – dai motori di ricerca ai sistemi di navigazione, fino agli assistenti virtuali sui nostri smartphone. Ritengo sia però essenziale promuovere una maggiore educazione tecnologica per garantire che la fiducia sia ben riposta. Aumentare la conoscenza su cosa sia realmente l’AI, su come venga utilizzata e sui suoi potenziali rischi consentirebbe ai cittadini di fare scelte più consapevoli e di comprendere meglio come funziona questo mondo digitale in cui siamo immersi. Credo che istituzioni, aziende e scuole abbiano un ruolo chiave in questo processo, creando percorsi formativi e momenti di sensibilizzazione sull’AI».
In conclusione secondo Iezzi avvicinare le persone alla tecnologia, facendole capire i benefici e i rischi, non solo aumenterebbe la loro consapevolezza, ma permetterebbe anche una partecipazione più attiva e informata al dialogo su come utilizzare e regolamentare queste tecnologie per il benessere collettivo.