La rivoluzione del secolo capace di infiltrarsi in maniera prepotente, veloce e capillare ha un nome che ormai è entrato nel vocabolario quotidiano, “intelligenza artificiale”. Non esiste settore che non sia stato raggiunto da questa innovazione e ciò è ben riscontrabile anche nel panorama biofarmaceutico dove si sta espandendo con ramificazioni che coinvolgono ogni fase dello sviluppo dei farmaci, dando origine a importanti rivoluzioni in molti processi.
L’intelligenza artificiale sta compiendo passi da gigante affermandosi come protagonista dello scenario in questione. Tuttavia, la componente umana persiste come una componente indispensabile per esprimerne il vero potenziale. Siamo sicuri che l’intelligenza artificiale possa effettivamente soppiantare quella umana nel settore biofarmaceutico? Come ben sappiamo, le due forme di intelligenza sono e rimarranno sempre diverse.
L’intelligenza artificiale può certamente arricchirsi di una conoscenza enorme ma è, e resterà sempre, sprovvista di due elementi essenziali: la componente emotiva e l’autocoscienza. Seppur riconoscendone le immense qualità e potenzialità, l’intelligenza artificiale non può considerarsi un factotum capace di surrogare l’essere umano. La dobbiamo semmai considerare uno strumento eccezionale e virtuoso, eclettico e futuristico, ma solamente con l’essere umano al timone la tecnologia può accelerare la creatività, vincere le sfide e rendere il settore più efficiente e veloce. Sarebbe, infatti, limitante ed errato presentare tout court un’idea o un proposito seguendo pedissequamente qualcosa che l’IA generativa ha eseguito. Per avere effetti positivi e sfruttare pienamente la vastità delle opzioni offerte sono necessarie le nostre abilità. Gli algoritmi sono estremamente abili nel trovare collegamenti e correlazioni nei dati, ma gli esseri umani sono eccezionali nel comprendere la realtà in tutte le sue sfumature. A tal proposito, risulta interessante analizzare il concetto di serendipity, nozione che rimanda a innovazioni tecnologiche che emergono in modo del tutto casuale e non dipendono da processi di ricerca espressamente formalizzati e finalizzati. Empatia, intelligenza emotiva e creatività demarcano la linea di confine tra l’utilizzo dell’IA e la capacità di utilizzo dell’IA da parte dell’individuo. Ciò che manca alle intelligenze artificiali è tutto ciò che ci rende unici, per merito della genetica e dell’esperienza che viviamo, al contrario, l’algoritmo è uguale per tutti. Le virtù umane consentono di innovare in modi che le macchine non possono replicare.
Gianpaolo Nodari-autore del pezzo
La chiave per sfruttare questo immenso potenziale consiste nell’integrare l’intelligenza artificiale a quelli che sono i processi umani: dobbiamo unire il meglio della scoperta farmaceutica tradizionale a queste straordinarie tecnologie. L’intervento dell’uomo non può passare in secondo piano e solo l’interpretazione e la gestione accorta di questa inesauribile fonte di informazioni possono indirizzarla nel verso giusto.
I sistemi di IA possono avere varie applicazioni all’interno del ciclo di vita del farmaco e sono in grado di accelerarne il processo di sviluppo e renderne più sicura ed efficiente ogni sua fase. Il potenziale è davvero impressionante: data una molecola, è possibile prevedere centinaia di reazioni chimiche in pochissimo tempo, fornire farmaci candidati che potrebbero avere proprietà migliori rispetto a qualsiasi altra molecola oppure intuire con precisione quali pazienti risponderebbero meglio al trattamento e quali no, semplificando la selezione in fase di sperimentazione clinica, identificare quale parte dell’organismo sarà bersaglio di un farmaco e come aiuterà una determinata malattia. Con gli strumenti e le informazioni di intelligenza artificiale integrati nell’intero processo di ricerca si possono ridurre al minimo tempistiche e costi per portare una terapia sul mercato. Tuttavia, per raggiungere la sinergia perfetta sono necessarie persone che comprendano le sfumature del contesto normativo e dello sviluppo clinico, che esaminino il mercato potenziale, le esigenze dei pazienti, il modo in cui il farmaco viene somministrato o la concorrenza.
Le macchine possono imitarci ed aiutarci ma persiste una differenza sostanziale: l’intelligenza umana è plasmata dall’evoluzione naturale e dall’interazione con un corpo, mentre l’IA si basa su algoritmi e strutture fisse. Per questo bisogna preservare la centralità umana e non lasciare che sia lo strumento a usare noi.
DI Gianpaolo Nodari
Amministratore Delegato di J. Lamarck (società di consulenza finanziaria specializzata in “biotech companies”)