Il primo colpo di scena si è visto il 5 luglio quando il partito laburista è riuscito, durante le ultime elezioni, a interrompere la lunga sequenza (14 anni) di governi a stampo conservatore. Al numero 10 di Downing Street è quindi arrivato Keir Starmer che occuperà il posto lasciato dal suo predecessore, Rishi Sunak. Ma di fronte a sé, Starmer, ha trovato già il primo, grande ostacolo, un buco di bilancio enorme che ha costretto i vertici dell’amministrazione a varare una manovra da 40 miliardi di sterline e 30 di nuovo debito pubblico. Ampio il panorama del progetto che, secondo il testo, dovrebbe spalmarsi per i prossimi 5 anni e permettere nuovi investimenti anche nel sistema sanitario, nell’istruzione e nell’edilizia popolare. A firmarla la cancelliera dello Scacchiere Rachel Reeves, prima donna a ricoprire nella storia anglosassone un simile ruolo.
Una manovra che, oltre alla questione economica interna, deve anche considerare le conseguenze di una Brexit e soprattutto di un post-Brexit dal quale Londra non solo non sembra essersi ripresa ma, a quanto pare, non ha ancora trovato una direzione. Non solo ma dopo circa 100 giorni dall’entrata in scena, l‘esecutivo si è trovato di fronte alla prima crisi.
La particolarità della scelta in ambito fiscale vede la pressione maggiore delle nuove tasse gravare sui datori di lavoro con la percentuale della contribuzione previdenziale a loro carico (national insurance) in aumento dell’1%. Da questa il governo spera di ricavare 25 miliardi di sterline. Se da un lato i profitti aziendali non sono stati rivisti, dall’altra si è pensato di aumentare la pressione fiscale su plusvalenze e seconde case. Presi di mira anche i capitali provenienti da fumo, alcool e sigarette elettroniche (la cosiddetta tassa sui vizi) ed anche i miliardari non domiciliati che non potranno più usufruire dello speciale status di ‘non-dom’. Da quest’ultimo provvedimento sono attesi 12 miliardi di sterline.
Buone notizie per i salari minimi che, nella sfida contro l’inflazione, passano da una media oraria di 11,44 sterline alla cifra tonda di 12,21 per i lavoratori oltre i 21 anni. Confermati i provvedimenti a favore delle famiglie (sgravi per chi ha due figli) ma anche il taglio del sussidio al riscaldamento per gli anziani. Insomma una manovra fatta anche di contraddizioni di fronte ad una situazione sociale difficilissima. Gli impiegati pubblici dovranno, in molti casi, rinegoziare i propri stipendi per rincorrere l’inflazione mentre la popolazione sembra essere ormai stanca dei continui scioperi proclamati da molte sigle sindacali che non hanno visto nessun tipo di collaborazione da parte dei conservatori soprattutto nell’ultimo periodo del governo Sunak ovvero quando la disfatta alle urne era data ormai per certa. Di fronte ai tanti provvedimenti, però, gli organi preposti alla vigilanza pubblica è stato costretto a capitolare con un comunicato nel quale confermava l’onda d’urto della Brexit con un taglio sulle prospettive di crescita del 15% sulle voci riguardanti gli scambi commerciali tra Londra e l’Europa. Parallelamente si vede crescere il debito economico, interessi inclusi, altro macigno che sarà difficile da estinguere nel tempo. E per quanto riguarda la Brexit, appunto, non sembra esserci alcuna direzione precisa.
Il premier inglese Starmer è dunque costretto a muoversi in queste acque difficili e di fronte ad un’opinione pubblica sempre più scettica di fronte ad un operato finora giudicato privo di carisma. Eppure il risultato delle elezioni del 5 luglio aveva portato per il Labour una vera e propria valanga di voti e ad una perdita di consensi colossale anche a livello di seggi per i Conservatori (-244). Oltre questo, inoltre, il Parlamento inglese attuale è quello con la più ampia rappresentanza femminile della storia: 242 deputate. Lascia perplessi, però, l’affluenza alle urne, poco meno del 60% (59,8%) tra le più basse in oltre 150 anni di rilevazioni. Ma, come si dice in questi casi, il diavolo è nei dettagli. Infatti se è vero che i Laburisti hanno avuto una vittoria schiacciante, è anche vero che, allargando le osservazioni e considerando il sistema elettorale inglese caratterizzato da un maggioritario secco (viene eletto il candidato che ha più voti in ciascuna delle 650 circoscrizione del Regno), rispetto a 5 anni fa hanno perso circa 600mila voti quando, peraltro, registrarono un pessimo risultato (solo 202 seggi alla Camera) con un’affluenza che non arrivava al 67,3%.
Non vanno meglio le cose per i conservatori che, di fronte alla sconfitta, hanno deciso di passare al contrattacco. Le speranze del partito sono infatti state affidate a Kemi Badenoch nuova leader dei Conservatori britannici, dichiaratamente anti woke, pro Brexit, contraria alle cure di genere e schierata senza se e senza ma al fianco di Israele. Nata a Londra da genitori nigeriani, parlamentare dal 2017, più volte ministro si è definita immigrata di prima generazione, contraria alla cancel culture, all’eccesso di potere delle Big Tech.
Adesso, però, investitori internazionali aspettano le prossime mosse del governo laburista e soprattutto i primi risultati in ambito fiscale. Nel frattempo, però, i vertici di Londra incassano l’ok di Draghi che, in un articolo sul Financial Times ha suggerito all’Europa di seguire l’esempio del Regno Unito
«L’Europa può imparare la lezione fiscale dal Regno Unito su come raggiungere i propri obiettivi. Il bilancio approvato questa settimana offre alcune idee interessanti». Queste le parole dell’ex numero uno della BCE che sottolinea ed elogia la scelta inglese di aumentare gli investimenti pubblici nei prossimi cinque anni «e adottare regole precise per garantire che i prestiti vengano utilizzati solo per finanziare questi investimenti. Per garantire la qualità della spesa, le transazioni saranno convalidate da autorità indipendenti – ha aggiunto –. Ciò aumenta la probabilità che l’investimento pubblico abbia un valore attuale netto positivo e quindi supporti la sostenibilità fiscale». Indubbiamente un ottimo biglietto da visita per gli scettici.