Parte oggi a Baku in Azerbaigian la Cop29, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite che riunisce 197 Paesi e l’Unione europea. I delegati di tutto il mondo si riuniscono per mettere in campo misure contro l’aumento delle temperature globali, nel solco degli impegni presi nell’ambito dell’Accordo di Parigi. Si tratta della 29esima Conferenza delle Parti (COP29) della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) che si tiene da oggi fino al 22 novembre.
Il vertice è stato definito la “Cop finanziaria” perché i Paesi, per la prima volta in 15 anni, rivedranno la portata e la struttura dei finanziamenti per i Paesi in via di sviluppo, con la finalità di sostenere l’azione per il clima. L’Ue chiede più fondi per il clima, ma si teme per una potenziale uscita degli Stati Uniti dall’Accordi di Parigi con la presidenza di Donald Trump.
The Donald aveva detto in campagna elettorale che avrebbe portato, se eletto, di nuovo fuori gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima, come aveva fatto durante il suo primo mandato. Ma non solo. Ha minacciato di uscire del tutto dalla Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici, l’Unfccc, quella che organizza le Cop. Vorrebbe dire che gli Usa non parteciperebbero neppure ai negoziati per definire le politiche mondiali sul clima. Semplicemente, li ignorerebbero, e farebbero quello che vogliono.
A Baku non ci sarà neanche il presidente uscente Biden, e non ci saranno neppure tanti leader mondiali, da Xi a Modi a von der Leyen a Macron a Putin a Lula. Il 13 mattina dovrebbe intervenire la premier italiana Meloni.
Fra gli ambientalisti è sempre stato evidente il malcontento per la scelta di Baku, capitale di uno Stato non democratico e la cui economia è basata sullo sfruttamento delle risorse di combustibili fossili, per guidare negoziati che difficilmente porteranno a decisioni nocive per i suoi interessi.
L’aumento della temperatura rispetto ai livelli pre-industriali si sta rapidamente avviando a superare 1,5 gradi, che era stato fissato come obiettivo da non superare in occasione dell’accordo di Parigi nel 2015, proprio per evitarne le conseguenze catastrofiche. Il campanello di allarme di piogge, inondazioni, incendi, con le loro conseguenze tragiche su uomini e infrastrutture, non è finora bastato a far spingere sull’acceleratore le politiche ambientali dei Paesi.
Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha ricordato in un’intervista al Guardian che l’umanità si sta avvicinando a punti di non ritorno irreversibili come il collasso della foresta pluviale amazzonica e della calotta glaciale della Groenlandia e ha evidenziato che i governi non stanno facendo i tagli profondi alle emissioni di gas serra necessari. «Il mondo sta ancora sottovalutando i rischi climatici – ha detto Guterres. – Stiamo per giungere a una serie di punti di non ritorno che accelereranno drasticamente gli impatti del cambiamento climatico. È assolutamente essenziale agire ora e ridurre drasticamente le emissioni».
A Baku i negoziatori dovranno fra l’altro fissare un nuovo obiettivo finanziario per sostituire l’impegno di 100 miliardi di dollari in scadenza il prossimo anno, stabilendo quali paesi contribuiranno a fornire il denaro necessario per decarbonizzare l’economia mondiale. Le pressioni saranno soprattutto sui ricchissimi Emirati Arabi Uniti ed Arabia Saudita, le cui economie sono però basate proprio sullo sfruttamento dei combustibili fossili.