Il clima, e soprattutto i cambiamenti che nel corso dei decenni stanno provocando reazioni e conseguenze nella natura, è al centro da molti anni delle discussioni scientifiche, politiche e istituzionali da parte di tutto il mondo.
Ultimo appuntamento in termini di tempo è la COP29, la conferenza delle Nazioni Unite che proprio in questa settimana a Baku, in Azerbaijan, discute su gli sforzi globali per attuare misure concrete contro gli impatti negativi dei cambiamenti climatici. Tutte le istituzioni internazionali sono preoccupate e allo stesso impegnate nel cercare di donare un futuro migliore alle generazioni future.
La crisi climatica racchiude una crisi ecologica, politica e sociale legata al surriscaldamento globale causato in prevalenza dall’attività dell’uomo. I grandi della terra si incontrano periodicamente in cerca di soluzioni, dalla decarbonizzazione alle strategie di adattamento del pianeta.
A Baku in questi giorni si affrontano i problemi relativi al finanziamento climatico globale e l’ampliamento dei Paesi contributori, con la preoccupazione per le future posizioni degli Stati Uniti con la presidenza di Donald Trump, che non ha fatto mai mistero sulle idee sul clima. L’elezione del nuovo presidente Usa limita in modo determinante le speranze di un accordo robusto per il finanziamento climatico globale, visto le recenti minacce di un ritiro dai piani di Parigi.
Tutti i temi in discussione si scontrano in modo violento con le tempistiche, dettate dagli eventi catastrofici che, sempre con maggiore frequenza, si manifestano nel mondo. Dopo le alluvioni italiane in Toscana e Emilia Romagna, in Spagna, in particolare nella provincia di Valencia, nelle scorse settimana un’altra drammatica e catastrofica reazione del clima ha provocato oltre a più di 200 vittime e centinaia di dispersi, danni incalcolabili al momento.

Foto: Ansa
Più di 4.100 ettari e un totale di 3.906 edifici sono stati colpiti dall’alluvione causata dalla Dana a Valencia, secondo quanto mostra il servizio di gestione delle emergenze Copernicus dell’Unione Europea in un’immagine risalente al 31 ottobre dell’area metropolitana di Valencia. La mappa rivela che più di 60.000 persone sono state potenzialmente colpite dall’alluvione in quell’area così come 15,2 km di rete ferrovia e 531,6 km di strade.
Partendo dall’evento drammatico di Valencia e dalle sue inevitabile ripercussioni a livello economico abbiamo affrontato a più ampio spettro il fenomeno dei cambiamenti climatici e dei danni da essi provocati come anche le strategie future con Andrea Minutolo, Responsabile scientifico Legambiente.
Possiamo affermare che quanto accaduto a Valencia, in Spagna qualche settimana fa sia il risultato di cambiamenti climatici?
«Quello che si è visto in Spagna è la somma di diversi elementi che vanno analizzati in maniera contestualizzata: ci sono le caratteristiche naturali di un territorio, quelle legate al dissesto idrogeologico, alla capacità di rispondere all’interazione fra l’acqua e il suolo, e quindi generare frane e alluvioni che è una caratteristica intrinseca dei territori, l’Italia ha oltre il 90% del territorio ad alto rischio idrogeologico, quella porzione della Spagna, la provincia a Sud di Valencia ha caratteristiche molto simili. A questa predisposizione del territorio bisogna fare i conti con due fattori: il primo è il cambiamento climatico, ovviamente, eventi sempre più estremi con piogge sempre più frequenti e intense, quindi che scaricano sempre più acqua verso il suolo, amplificano il fenomeno del dissesto idrogeologico in un territorio. Quello che abbiamo visto e vissuto in Emiglia Romagna e in Toscana, perché questi fenomeni sono sempre più intensi? E’ perché c’è un riscaldamento globale che porta temperature sensibilmente più alte di 2/3/4 gradi. Quando il Mar Mediterraneo si scalda oltre la media e ha una temperatura media anche di pochi gradi superiore, genera maggiore evaporazione, ovvero un’atmosfera carica di umidità e quando avviene uno scontro di correnti di aria calda e fredda questo fenomeno di piogge sempre più devastanti e intense è l’effetto che deriva da questo tipo di situazione. Altro elemento è la gestione del territorio, il consumo di suolo. Un conto è dell’acqua che cade su territorio che è in grado di assorbirlo e rallentarne il flusso, altro se trova un territorio molto antropizzato, come strade, vie, marciapiedi che diventano dei fiumi in piena. Questo in realtà ciò che è accaduto a Valencia e in Spagna nei giorni scorsi».
I media hanno parlato tanto del fenomeno DANA che cos’è realmente?
«Si tratta di un effetto meteorologico conosciuto in letteratura, niente di particolare, è una bolla di aria fredda a bassa pressione, isolata rispetto alla dinamica di atmosfera in senso più ampio, questa bolla quando scende a basse temperature incontra aria calda e umida e scatena un improvviso temporale. Quello che è stato amplificato nell’evento spagnolo, è che la massa d’aria calda con cui si è scontrata la bolla isolata, l’effetto DANA, ha trovato un’atmosfera carica di acqua e umidità, quindi ha scaricato improvvisamente in poche ore una quantità d’acqua che in quel territorio si registrava mediamente nell’arco di un anno. Il territorio ha ricevuto acqua che mediamente riceveva nell’arco di 12 mesi in poche ore è evidente che questo deflusso è andato verso valle trascinando con sé in maniera impetuosa tutto quello che trovava».

Foto: Ansa
Come ci si abitua a simili scenari?
«Davanti a questo tipo di situazioni è inutile continuare a giocare in difesa, alzando nuovi argini, difendendo cose che sono anche illogiche da difendere. Il nuovo approccio che viene dato dalla Comunità internazionale scientifica è quello dell’adattamento: maturando più una convivenza con il rischio da parte delle popolazioni sapendo che questo tipo di fenomeni fanno parte di unc erto tipo di territori, cercando di convivere con quel rischio, come si fa con il rischio sismico, si è consapevoli di vivere in aera sismica, così come possono capitare terremoti. Il discorso è far sì che quando accadono certi tipi di eventi, facciano il minor numero di danni possibile a cominciare dalle vittime per poi proseguire con i danni a cose e beni».
Quantifichiamo, quale potrebbe essere a livello economico la conta dei danni in Spagna?
«E’ ancora prematuro fare la conta dei danni di quello che è successo in Spagna, se facciamo un parallelo di quanto accaduto in Emilia Romagna nella doppia ondata catastrofica di maltempo del 2023 in cui i danni sono stati di 3, 4, 5 miliardi di euro, si può immaginare che in un evento come quello spagnolo, in cui ci sono stati molti più morti e dispersi in quantità superiori a noi, e tutti i danni associati alla perdita di giorni lavoro, attività, di materiali, di beni e via dicendo, l’ordine di grandezza dei danni sia paragonabile a circa una 10 di miliardi di euro, anche se è davvero molto prematuro poter fare dei calcoli adesso».

Foto: Ansa
Allarghiamo l’orizzonte, visto i sempre più frequenti disastri ambientali in giro per il mondo. Questo cosa significa in termini di pil e danni a livello globale?
«Anche qui è difficile quantificare il potenziale danno derivante dai cambiamenti climatici, che hanno tante sfaccettature: va dall’estremo della siccità alle inondazioni come il caso della Spagna, sono due facce della stessa medaglia, che producono danni ai comparti dell’agricoltura ma come al comparto energetico, che quando non c’è acqua c’è meno disponibilità di produzione di energia rinnovabile. Una cosa è certa, e lo dicono tutti gli studi internazionali, investire in prevenzione costa tra le 4 e 10 volte di meno rispetto alla rincorsa ai danni quando si verificano tali attività. L’Europa ha quantificato che in 500 miliardi di danni derivanti dagli eventi naturali negli ultimi 40 anni come frane, alluvioni, siccità e ondate di calore. Sono morte qualcosa come 140 mila persone, un costo indiretto ma drammatico, spese di centinaia di miliardi».
Qual è l’impatto economico della transizione energetica sulla popolazione europea. Ad esempio, lo stop nel 2035 alle auto benzina e diesel?
«Si sta facendo una narrazione sbagliata in tal senso. Il settore dei trasporti è un settore altamente impattante e altamente emissivo di sostanze alternati. Quindi è un settore su cui bisognerà intervenire a decarbonizzare per far emettere sempre meno CO2. Perché dico che si sta facendo una narrazione sbagliata, perché si sta ragionando in termini di sostituzione del motore termico con quello elettrico, sembra che ci sia una lotta tra elettrificato e fonti fossili, benzina e diesel e questo fa capire che lo scontro non è legato alla mobilità sostenibile, che invece è il core business del ragionamento, ma a profitti legati al mondo delle fossili piuttosto che delle rinnovabili. Ma quello che si è perso di visto in questa diatriba, è quello del concetto della mobilità sostenibile, che non è transizioni in trasformazione di tutte le auto a combustione in elettrico. Non è assolutamente questo. Mobilità sostenibile vuole dire ridurre il numero il parco auto in circolazione, ottimizzare la logistica degli spostamenti in modo che siano sempre più funzionali a prescindere dal mezzo con cui si fanno e dare ai cittadini, soprattutto a quelli che abitano nelle grandi città metropolitane che hanno più potenzialità per mettere in piedi un servizio di trasporto pubblico locale, di sharing, di mezzi ciclabili, che favoriscono spostamenti differenti dalle auto. Non è il problema di 1 a 1 tolgo un’auto a motore e ne metto una elettrica, il discorso è cercare di ridurre il più possibile le auto private in favore di una mobilità differente e muoversi con mezzi differenti. L’Italia è il Paese con il più alto tasso di motorizzazione, ha 66 auto ogni 100 persone, l’obiettivo è quello di ridurre questo tasso a 50, 40,30. Quando andiamo in città come Copenaghen, Amsterdam notiamo quanto è bello vedere poche auto e ci si muove agilmente come cittadino, turista, bambino, anziano, come lavoratore in maniera differente. Ci si riesce a muovere tempestivamente, agilmente e in sicurezza, tante aree pedonali, in cui i piccoli spostamenti sono percorribili a piedi in maniera gradevole. E’ riportare al centro degli investimenti fatti una trasformazione culturale e una qualità della vita migliore, poi il progresso tecnologico porterà ad avere sempre più mezzi elettrici meno inquinanti, senza considerare appunto questo aspetto che è l’inquinamento».

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L’unione europea si sta tutelando a sufficienza?
«Negli ultimi anni l’Europa sulle politiche ambientali ha spinto molto forte, lo ha sempre fatto, l’Italia deve ringraziare molto il percorso europeo che ha fatto fare il salto di qualità nell’attenzione all’ambiente. Se oggi le città inquinano meno, se la depurazione inquina meno e se ci sono politiche legate all’uso di fonti rinnovabili li dobbiamo ad imput e soldi messi in campo dall’Europa. Tutto è perfettibile e migliorabile ma mi sembra che ormai la direttiva è tracciata a livello globale, solo, ormai, chi ha interessi a mantenere lo status quo prova a rallentare questo percorso che invece va fatto velocemente. Sono tutti d’accordo che la decarbonizzazione è l’obiettivo finale e la velocità con cui raggiungere l’obiettivo è il punto di snodo fondamentale. Chi vuole ancora trarre profitti dal nucleare e le fonti fossili, hanno interesse che questa transizione vada avanti lentamente con la scusa che è un bagno di sangue e porterebbe a cambi radicali di produzione e metterebbero in ginocchio interi settori produttivi, quando invece è un’opportunità per innovarsi e incentivare il miglioramento e efficientamento, un’opportunità per creare nuovi posti di lavoro e competenze. Il cambiamento è un’opportunità più che un freno».
Terremoti, inondazioni, uragani, tsunami, eruzioni vulcaniche, siccità e frane minacciano, possiamo dire da sempre vite umane e infrastrutture, specialmente nelle aree più vulnerabili del pianeta.
E’ l’aumento della frequenza e dell’intensità di alcune tipologie di disastri naturali ad essere strettamente legato al cambiamento climatico: eventi come inondazioni, tempeste, siccità e incendi boschivi sono infatti amplificati dal riscaldamento globale, causato principalmente dall’attività umana.
Come anche dalle parole di Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiete, la direttiva del mondo per intraprendere la strada di una transizione, ormai indispensabile, è stata avviata, il perno sta nelle tempistiche e nella rapidità con cui le istituzioni ma soprattutto i Paesi riusciranno a metterla in pratica.