L’imprevedibilità dell’esito di queste ultime elezioni statunitensi era, paradossalmente, l’unica certezza. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca come 47esimo presidente, ha però portato l’oro ad invertire la sua marcia finora trionfale. Dopo aver infranto vari record storici il metallo giallo si è indebolito. Parallelamente il dollaro si sta rafforzando ed anche il settore crypto festeggia. Saranno solo questi gli asset che festeggeranno il ritorno del tycoon a Washington? A rispondere, in un’intervista a doppia voce, sono Gabriel Debach, market analyst di eToro ed Annacarla Dellepiane, Head of Sales Italy di HANetf. Ed è proprio quest’ultima a scattare la fotografia sull’oro.
Dopo l’elezione di Donald Trump l’oro ha interrotto la sua corsa e ha toccato i minimi da due mesi. Quali sono le ragioni alla base di questa inversione di marcia?
«Questo brusco cambiamento nel trend dei prezzi dell’oro è stato causato dal fatto che il lingotto tende a sottoperformare quando terminano le incertezze sui mercati. In questo caso, il clima di incertezza veniva alimentato dalle attese per il risultato delle elezioni ed è scemato con la conferma della vittoria di Trump. Questa sottoperformance è probabilmente legata a un andamento nel breve termine, poiché, nel medio-lungo periodo, altri fattori torneranno a farla da padrone e quindi a spingere le quotazioni dell’oro verso l’alto».
Per quali motivi, invece, l’oro ha infranto vari massimi storici in questi ultimi mesi?
«Ci sono vari fattori che, nell’ultimo periodo, hanno caratterizzato la narrativa sui mercati. Tra questi, l’instabilità geopolitica, le incognite sull’inflazione, l’aumento del debito pubblico a livello mondiale, e le banche centrali che continuano ad acquistare oro. Tutto ciò influenza positivamente le valutazioni dell’oro ed è per questo che abbiamo assistito a un aumento dei prezzi».
Quali sono le prospettive future? L’oro riuscirà a mantenere il suo stato di bene rifugio?
«Le previsioni per l’oro sono soggette a variazioni e anche le stime degli analisti risultano discordanti. Alcuni di loro, ad esempio, ritengono che l’oro possa toccare i 2.900 dollari l’oncia nel 2025. Il metallo giallo resta comunque una copertura interessante contro l’inflazione e le turbolenze economiche. In questo senso, possiamo dire che non viene a mancare il suo ruolo di bene rifugio e fonte di diversificazione e stabilità in un portafoglio multi-asset. Ciò anche alla luce del fatto che la crescita del livello di indebitamento pubblico globale non dà segni di rallentamento: si prevede che il debito supererà i 100.000 miliardi di dollari nel 2024 (93% del PIL globale) e che continuerà a crescere fino alla fine del decennio (avvicinandosi al 100% del PIL nel 2030)».
Per quanto riguarda dazi, previsioni sugli asset e prospettive sui mercati asiatici, a rispondere è Gabriel Debach, market analyst di eToro
Quali asset hanno tratto vantaggio dal ritorno di Trump alla Casa Bianca? E quali, invece, potrebbero perdere forza nei prossimi anni con la nuova amministrazione repubblicana?
«Sicuramente, il mercato azionario americano, il dollaro e il settore dei crypto asset hanno tratto beneficio dalla recente vittoria elettorale americana, rispecchiando un andamento simile a quello visto con la prima elezione di Trump nel 2016. Al contrario, si osservano correzioni nei listini oltreoceano, nell’indice di volatilità (VIX), nell’euro, nell’oro e nel mercato obbligazionario. Questa dinamica segue il tracciato storico registrato con la precedente vittoria di Trump, considerando l’evoluzione nei 30 giorni prima delle elezioni fino ai 40 successivi».
Il dollaro sta registrando un progressivo rafforzamento sulle altre valute. Quali sono le possibili previsioni sul biglietto verde sullo sfondo dell’amministrazione Trump?
«Il dollaro continua a rafforzarsi rispetto alle altre valute, sostenuto dalle prospettive di una crescita economica robusta e da una possibile divergenza tra la politica monetaria della Federal Reserve e quella della Bce. L’economia americana mostra segnali di dinamismo: già prima delle elezioni, il Fondo Monetario Internazionale aveva rivisto al rialzo le previsioni per gli Stati Uniti, bilanciando il declassamento delle stime per altre economie avanzate, soprattutto per i principali Paesi europei. In contrasto, l’Europa fatica a mantenere il ritmo, appesantita da una crescita debole, dai rischi di nuovi dazi cinesi e americani e da una crescente incertezza geopolitica. Questa situazione potrebbe richiedere dalla BCE un supporto più deciso per l’economia, spingendola a mantenere tassi bassi e a privilegiare la crescita rispetto alla stabilità dei prezzi, nonostante il suo mandato. Questi elementi esercitano una pressione al ribasso sull’euro, rafforzando il cambio a favore del dollaro. Tuttavia, la forza del dollaro non è scontata. Sebbene i dazi possano fornire supporto alla produzione interna americana, potrebbero anche causare pressioni sull’economia globale, generando tensioni che a lungo termine potrebbero limitare il potenziale di apprezzamento del biglietto verde».
Le borse asiatiche risentono già ora del futuro cambio di rotta e della minaccia di un possibile ritorno della guerra commerciale tra Washington e Pechino. Si tratta di timori fondati oppure le altre nazioni, memori di quanto accaduto in passato, sapranno gestire meglio le politiche dei dazi statunitensi?
«Quando si parla di Donald Trump, i media tendono a prevedere le peggiori ripercussioni sull’economia, indipendentemente dai risultati effettivi. L’assenza di comunicazione diplomatica da parte del futuro presidente non offre certamente supporto. La Cina, intanto, sembra prepararsi allo scontro: il recente pacchetto di stimoli da 1,4 trilioni di dollari lanciato da Pechino appare come un tentativo di affrontare le sue difficoltà economiche interne, tra cui il debito degli enti locali e la crisi del settore immobiliare. Il tutto senza offrire quel desiderato (soprattutto per l’Occidente) sostegno maggiore ai consumi e a un impulso più forte alla crescita. Quasi a voler anticipare le possibili tensioni commerciali con gli Stati Uniti, lasciando ancora un margine per future misure di stimolo. Di contro, in Europa assistiamo al consueto “teatrino”, fatto di molte parole e pochi fatti concreti. Un nuovo governo tarda ancora a formarsi, le nomine della Commissione Europea sono ancora in corso, e permangono forti divergenze tra i Paesi membri. La coesione tanto invocata, recentemente ribadita anche da Draghi, risuona come un’eco nelle risposte vuote e frammentate delle istituzioni europee. Non credo che l’Europa abbia ancora una risposta concreta, anche se questo non esclude la possibilità che possa svilupparla in futuro. La vera domanda resta se gli Stati Uniti intendano tirare troppo la corda con un alleato europeo debole ma strategico, o se rischino di spingere ulteriormente il continente verso un oriente che continua a rafforzarsi, come testimonia l’espansione dei BRICS».
Gruppo che, ricorda per inciso Debach anche alla luce delle new entry, meriterebbe ormai un nuovo nome.