«Siamo reduci da due mesi turbolenti per il mercato obbligazionario, con i titoli USA a guidare il ribasso. Una fase iniziata in modo imprevisto a metà settembre, proprio dopo che la Fed aveva sorpreso i mercati con un taglio dei tassi di mezzo punto percentuale. Due sono state le grandi sorprese di questo periodo: da un lato, la crescita economica americana continua al rialzo, rendendo difficile per la Fed mantenere il percorso di riduzione dei tassi promesso in precedenza; dall’altro, le elezioni americane, concluse con una netta vittoria del Partito Repubblicano, hanno aperto la strada a un’espansione significativa del deficit di bilancio, presumibilmente finanziato con nuovo debito pubblico». A fare il punto è Francesco Castelli, responsabile obbligazionario di BANOR, che analizza le recenti dinamiche dei mercati obbligazionari e le opportunità dal credito europeo.
In Europa il panorama è diverso. I titoli obbligazionari europei hanno registrato perdite più contenute rispetto a quelli americani, ma questo riflette un contesto di crescita ancora debole, che costringe la BCE a mantenere una politica monetaria espansiva. «La divergenza tra le due aree economiche è evidente nel cosiddetto “terminal rate”, ovvero il livello di tasso atteso al termine del ciclo di ribassi: in Europa, i mercati prevedono che la BCE scenda sotto il 2%, per evitare di danneggiare un’economia già fragile; negli USA, invece, le aspettative sono cambiate radicalmente – continua l’esperto. – Se a settembre si pensava che la Fed potesse portare i tassi sotto il 3%, oggi si prevede che il livello finale si attesterà appena sotto il 4%. Questo cambiamento ha ampliato il divario tra i tassi statunitensi ed europei, influenzando direttamente il mercato valutario. Il differenziale tra i tassi, storicamente un fattore chiave nel mercato dei cambi, ha contribuito a indebolire l’EUR/USD. Il dollaro, già rafforzato dal rialzo dei tassi USA, ha trovato ulteriore supporto nell’elezione di Trump, che ha dato slancio al biglietto verde e depresso ulteriormente la moneta unica europea».
Tornando ai titoli obbligazionari europei il Bund ha registrato movimenti storici: per la prima volta, i rendimenti dei titoli decennali tedeschi hanno superato il tasso swap. Questo evento, scatenato anche dalla crisi di governo in Germania, riflette il dibattito acceso sull’opportunità di aumentare il livello del debito pubblico per contrastare la stagnazione economica. Sebbene la solvibilità del governo tedesco non sia in discussione, il mercato richiede rendimenti più elevati in vista di un incremento delle emissioni. L’aumento anomalo dei rendimenti sui Bund ha avuto ripercussioni anche sui corporate bond. Lo spread tra obbligazioni corporate e governative tedesche si è compresso, ma non a causa di una riduzione dei corporate spread: il movimento è stato trainato dall’aumento degli spread governativi. Questo può portare a percepire uno spread corporate troppo stretto, ma, correggendolo rispetto al tasso swap, i livelli attuali restano storicamente attraenti.
«Per questo motivo manteniamo il nostro posizionamento sul credito europeo – conclude Castelli. – In un contesto di crescita economica anemica, ma senza recessione, privilegiamo un portafoglio corporate con alta qualità creditizia, evitando emittenti con eccessiva leva finanziaria o merito creditizio troppo basso. Allo stesso tempo, la combinazione di un’economia debole e una BCE pronta a sostenere il ciclo economico con ulteriori tagli dei tassi rende gli investimenti obbligazionari, sia governativi sia corporate di buona qualità, particolarmente interessanti in questa fase».