Donald Trump non è ancora diventato il 47esimo presidente degli Stati Uniti, eppure si comporta come se lo fosse. Ed il suo atteggiamento minatorio e protezionistico non è cambiato. L’amministrazione di Biden per lui è stata solo una parentesi, ora il tycoon è più agguerrito che mai, pronto a tutto pur di proteggere il predominio americano. Gli altri Paesi devono sapere fin da subito cosa li aspetta se non si piegheranno al suo volere e, visto che ancora non è entrato ufficialmente alla Casa Bianca, utilizza i social come strumento di potere. America First 2.0 sta entrando quindi pienamente nel vivo con una serie di minacce veicolate dal Presidente eletto tramite le sue piattaforme.
Dopo aver intimato nuovi dazi contro Canada, Cina e Messico, ora un’altra delle sue mine è pronta ad esplodere, minacciando seriamente tutto il commercio globale. Lo scorso weekend Donald Trump ha attaccato anche i BRICS, promettendo senza mezzi termini che imporrà dazi fino al 100% se il gruppo dei Paesi emergenti non porrà fine alla creazione di una valuta comune – BRICS Pay – alternativa al dollaro. «Chiediamo a questi Paesi l’impegno di non creare una nuova valuta BRICS, né di sostenere qualsiasi altra valuta per sostituire il potente dollaro americano, altrimenti dovranno affrontare dazi al 100% e aspettarsi di dire addio alle vendite nella splendida economia statunitense – ha scritto Trump in un post sulla sua piattaforma di social media, Truth Social. – Possono andare a cercare un altro ‘fesso’. Non c’è alcuna possibilità che i BRICS sostituiscano il dollaro USA nel commercio internazionale, e qualsiasi Paese ci provi, dovrebbe dire addio all’America».
I Brics ci pensano da tempo, forti di rappresentare un peso demografico ed economico importante, spinti dalla Russia e in parte dalla Cina, e ora anche dall’Iran, che userebbero il nuovo spazio finanziario concesso dalla nuova moneta per eludere il sistema dollaro-centrico, a cui sono agganciate anche diverse delle sanzioni internazionali con cui gli Usa agiscono contro i rivali. «L’idea che i Paesi Brics stiano cercando di allontanarsi dal Dollaro mentre noi restiamo a guardare it’s OVER», ha scritto Trump, con “OVER” scritto in maiuscolo, il ché lascia presagire un tono piuttosto minaccioso.
Tutto si inserisce in una logica precisa: gli Stati Uniti non vogliono rischiare di vedere indebolita la loro leadership globale. La forza del dollaro incarna questa potenza ed è anche un pilastro fondamentale della prosperità economica interna degli Stati Uniti.
Cosa sono i Brics e cosa vogliono ottenere
BRICS è un acronimo che individua, tradizionalmente, cinque paesi: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Questi vantano alcune caratteristiche comuni, come la condizione di economie in via di sviluppo, una forte crescita del PIL e della quota nel commercio mondiale negli ultimi anni, ma anche da un territorio particolarmente vasto e ricco di abbondanti risorse naturali strategiche e da una popolazione numerosa.
L’acronimo “BRIC”, che non includeva ancora il Sud Africa inizialmente, è stato creato nel 2001 dall’economista della Goldman Sachs Jim O’Neill, per identificare le economie in rapida crescita destinate a diventare i principali attori dell’economia mondiale entro il 2050. Spesso descritto come un’alternativa al G7, secondo molti economisti i Brics sono infatti destinati a costituire un’organizzazione in crescita nel quadro dell’economia globale nei prossimi anni.
I cinque paesi che, storicamente, compongono l’asse dei BRICS hanno più del 42% della popolazione globale, circa il 25% della totale estensione del globo terrestre, il 20% del PIL mondiale, e quasi il 17% del commercio internazionale.
Durante un summit a Johannesburg nel 2023, i BRICS hanno ufficialmente invitato ad unirsi al gruppo Arabia Saudita, Argentina, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran. Di questi, solo Egitto, Emirati Arabi, Etiopia e Iran sono ufficialmente diventati membri effettivi a partire dal 1º gennaio 2024. Oggi, si parla di BRICS+. Inoltre, molte altre nazioni, tra cui Algeria, Bielorussia, Bolivia, Cuba, Indonesia, Kazakistan, Malesia, Nigeria, Thailandia, Turchia, Uganda, Uzbekistan e Vietnam hanno formalmente richiesto l’adesione. Si tratta per lo più di paesi con una forte crescita demografica e che esercitano una certa influenza sulle rispettive regioni geoeconomiche.
Noi di Business24 stiamo facendo un percorso con eToro per inquadrare l’economia di tutte queste potenze che ne fanno parte o potrebbero potenzialmente farlo.
La nuova moneta BRICS e la minaccia per il dollaro
L’anno scorso, a Johannesburg, i paesi del blocco dei BRICS hanno annunciato la loro intenzione di creare una moneta unica, con l’intento di favorire gli scambi commerciali fra le economie emergenti che compongono l’asse. Questo annuncio, che è di fatto un tentativo di rompere l’egemonia del dollaro statunitense sull’economia globale, ha scatenato vivaci dibattiti tra investitori ed economisti in tutto il mondo, poiché potrebbe avere implicazioni significative per i mercati globali.
Ma le nazioni BRICS sono motivate a creare una valuta comune per diverse ragioni strategiche ed economiche. Una delle principali spinte è la crescente aggressività con cui gli Stati Uniti utilizzano il dollaro come strumento di pressione geopolitica, imponendo sanzioni che attualmente colpiscono una parte significativa dell’economia globale e delle riserve petrolifere mondiali. Stiamo parlando del 29% dell’economia globale e del 40% delle riserve petrolifere mondiali.
Questa situazione, insieme al desiderio di un sistema finanziario più equilibrato e multipolare, ha indotto molte economie, tra cui appunto quella dei BRICS, a cercare di ridurre la loro dipendenza dal dollaro statunitense.
La creazione di una valuta BRICS alternativa, quindi, potrebbe rappresentare una sfida al predominio del dollaro, ma anche dell’euro e di altre valute principali nel commercio e nella finanza internazionale. In particolare, paesi come Russia e Iran, già esclusi dall’accesso al dollaro, e la Cina, che teme di essere esclusa in futuro, vedono in questa iniziativa un’opportunità per proteggere la loro sovranità economica e quindi sono in prima linea affinché il progetto prenda vita.
Come sottolineato dal viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov, la questione è però complesaa. «La sua attuazione comporta, tra le altre cose, aspetti come la creazione di un unico centro di emissione, la creazione di una Banca Centrale che fissa un tasso di sconto comune, la possibilità delle banche dei Paesi membri di chiedere prestiti alla Banca Centrale. La Russia, insieme all’Iran, è sicuramente uno dei paesi BRICS più interessati alla buona riuscita del progetto, a causa delle sanzioni imposte dagli USA ma non è facile», ha spiegato.
Se la valuta comune proposta dai BRICS fosse adottata potrebbe diventare una delle valute più diffuse a livello mondiale. Attualmente, i paesi BRICS contano una popolazione di 3,3 miliardi di persone, in contrasto con i 800 milioni presenti nei paesi del G7. Di conseguenza la domanda di dollari potrebbe diminuire in modo significativo, causando una riduzione del suo valore. Tuttavia, il dollaro è oggi considerato una riserva di valore proprio a causa della sua predominanza nel commercio globale, con molti operatori che lo impiegano per una vasta gamma di transazioni. Quindi non è così facile metterlo da parte.
«Nonostante alcuni progressi, come l’aumento della quota dello yuan cinese nelle transazioni globali (dal 1,08% nel 2016 al 2,45% nel 2023), il dollaro statunitense rimane dominante, rappresentando ancora il 58% delle riserve globali (sebbene in calo rispetto al 65% del 2016). Tuttavia, l’espansione dei BRICS e i tentativi di utilizzare valute locali nei pagamenti transfrontalieri rappresentano una sfida crescente al predominio del dollaro. Le minacce di Trump evidenziano la tensione geopolitica che accompagna questi sforzi di de-dollarizzazione, sottolineando la complessità di sostituire il biglietto verde come valuta di riserva globale. Certamente però. gli Stati Uniti non possono ridurre il loro deficit commerciale e aumentare il predominio globale del dollaro, poiché queste due dinamiche sono strutturalmente opposte. Resta quindi da vedere come queste pressioni influenzeranno l’assetto economico e politico globale nei prossimi mesi», spiega Gabriel Debach, market analyst di eToro.
Possibili scenari futuri
L’imposizione di tariffe così aggressive potrebbe avere implicazioni significative. Per i Brics, una risposta coordinata potrebbe rafforzare ulteriormente la loro coesione e incentivare la diversificazione economica per ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti. Tuttavia, resta incerto se alcuni membri del blocco, come India ed Emirati Arabi per esempio, ma anche il Brasile, siano disposti a rischiare i loro legami economici con Washington. E l’Argentina, proprio per evitare questo rischio, ha già rinunciato. Il presidente Javier Milei ha evitato l’adesione formale ai Brics quest’anno, dopo l’invito all’adesione dello scorso anno, e il fattore determinante nella decisione è la proposta di “dollarizzazione” dell’economia argentina, ovvero l’adozione del dollaro statunitense come valuta ufficiale per combattere l’iper-inflazione e stabilizzare l’economia nazionale.
E’ chiaro quindi che le dichiarazioni di Trump stanno creando molto scompiglio nelle relazioni economiche internazionali. Da un lato, questa forma di nazionalismo americano potrebbe indebolire il dollaro come valuta di riserva globale, spingendo altri Paesi a esplorare alternative. Dall’altro, il rischio di una guerra commerciale su larga scala potrebbe far rinunciare. Il tutto alla fine si riduce ad una scelta drastica: rimanere sotto l’ala egemonica di Trump oppure cercare la propria strada, con tutte le conseguenze che un’azione del genere comporta.