Si parla sempre più spesso di “confini del Pianeta”, cioè i limiti planetari che non dovrebbero essere superati affinché l’uomo possa garantirsi di vivere in sicurezza sulla Terra. E’ da quasi un ventennio che i ricercatori hanno provato a individuare uno “spazio sicuro” in cui cioè l’uomo potesse agire senza entrare in conflitto con la Natura, senza quindi compromettere lo stato di equilibrio terrestre e le funzioni che la Terra stessa offre all’uomo. Il problema è che quello spazio non è più sicuro da tanto tempo e la colpa è solo la nostra.
Perché siamo arrivati a questo punto? Cosa rischiamo? E soprattutto come possiamo invertire la rotta? A rispondere è Luca Mercalli, il noto climatologo torinese, meteorologo, ricercatore, scrittore e personaggio televisivo.
Partiamo dal principio. Quali limiti planetari sono già stati varcati dall’uomo?
«I limiti planetari sono stati definiti nel 2009 e sono 9: cambiamento climatico; acidificazione degli oceani; riduzione dello strato di ozono; degrado forestale e altri cambiamenti di uso del suolo; modifica dei cicli biogeochimici di azoto e fosforo; eccessivo sfruttamento delle risorse idriche; perdita di biodiversità; inquinamento atmosferico da aerosol; nuove sostanze chimiche artificiali (Novel Entities, tra cui ad esempio il rilascio di polimeri plastici in ambiente). Si tratta di 9 grandi processi che permettono a noi di vivere sul pianeta. Nel 2009, quando sono stati identificati e quantificati, ne avevamo già superati tre, oggi ne abbiamo superati 6. Ce ne sono ancora tre nella zona di sicurezza ma se non stiamo attenti superiamo anche quelli. Comunque bastano già questi sei per portarci alla rovina. Sono alla fine come il cruscotto della macchina. Se abbiamo 9 spie e di queste 6 sono accese corriamo subito in officina. Nel caso del Pianeta invece ce ne freghiamo».
Quali le prospettive al 2030 e al 2050. Quali sono gli scenari?
«Andremo verso un peggioramento di tutti questi indicatori se non decidiamo di mettere al primo posto nell’agenda politica mondiale la cura del Pianeta Terra. Al momento ci sono solo due leader che la chiedono forte e chiaro: uno è Papa Francesco, che ha scritto nel 2015 l’enciclica Laudato sì dove in sostanza dice che non può esserci una umanità sana se non c’è un pianeta sano. L’altro è Antonio Guterres, il segretario generale delle Nazioni Unite. Il problema è che non li ascolta nessuno e questo perché ci sono vari meccanismi che agiscono sul problema della crisi ambientale. Il primo è che ci sono degli interessi economici giganteschi che frenano e cercano di evitare la transizione. Pensiamo solo al business delle energie fossili, sono in ballo migliaia di miliardi di dollari. E’ chiaro quindi che chi vende carbone, petrolio e gas non ha interesse che passi il nostro messaggio e cerca di fare di tutto per ostacolare questa consapevolezza. Poi c’è un limite tecnologico perché non abbiamo pronti i sostituti, dobbiamo lavorare sodo per operare questa transizione, per passare alle energie rinnovabili. Il terzo elemento riguarda il fatto che le persone sono pigre, hanno una reazione ai problemi a breve termine. Su quelli a lungo raggio si tende a soprassedere, trovare degli alibi, a procrastinare. Lo facciamo persino con la nostra salute: a meno che non viene diagnosticata una malattia grave che ci spaventa, non facciamo mai la prevenzione che consiglia il medico. Ci stiamo comportando con il clima esattamente come fa un fumatore. Quest’ultimo sa benissimo i rischi che corre, ma finché respira tende a sottovalutare il problema. Quando arriva il giorno che non respira più è troppo tardi».

Luca Mercalli (foto Imagoeconomica)
Lei ha detto che la crescita economica è il problema. Cioè?
«L’aforisma iniziale è quello di uno studioso che si chiamava Kenneth Boulding che negli anni 60 disse: “chiunque pensa che una crescita infinita sia possibile in un mondo finito o è un pazzo o è un economista”. Era una provocazione per affermare che il Pianeta ha delle risorse limitate: una determinata superficie, una certa quantità di alberi, di pesci, di miniere, di risorse per l’uomo. Noi siamo 8 miliardi e le stiamo usando in modo da saccheggiarle letteralmente, restituendo al contempo dei rifiuti che possono essere metabolizzati in modo limitato. Allora è possibile mantenere un’economia fondata sulla crescita infinita in un Pianeta di per sé limitato? E’ evidente che la riposta è negativa. Urge quindi cambiare il tipo di economia. Lo si dice dal 1972, dal rapporto “I limiti alla crescita”, ma anche questo è stato un messaggio inascoltato. Al 2100, se non facciamo una vera e propria dieta alla nostra economia per risparmiare energia, il rischio è di fabbricare un Pianeta invivibile, ostile alla specie homo sapiens. Vuol dire avere un clima che diventa sempre più estremo, esaurire alcune risorse, estinguere delle specie, inquinare al punto che l’ambiente circostante diventi tossico per la nostra stessa salute. In pratica riempiamo la discarica e svuotiamo la miniera».
Nel concreto cosa rischiamo?
«Gli organismi internazionali e le Nazioni Unite lo dicono chiaramente: ci aspetta un futuro più caldo. In base agli accordi di Parigi, per scongiurare i danni peggiori, dovremmo contenere l’innalzamento termico a 2 gradi da oggi al 2100. Se non ci riusciamo, al tasso attuale, i gradi saranno 5 con conseguenze pesantissime. Se già con 2 gradi di temperatura media in più ci aspettiamo un innalzamento di mezzo metro del livello dei mari, con 5 gradi l’acqua crescerà di oltre un metro. Significa mandare sott’acqua Venezia, Miami, New York e moltissime città costiere. E i problemi non sono solo questi. Temperatura più elevata significa anche siccità prolungate e croniche. Significa scarsità di cibo e carestie in ampie zone del globo, come India, Africa. Significa mettere in conto migrazioni sempre più massicce da zone che non sono più in grado di sostenere la produzione di cibo necessaria all’uomo. Se nel secolo scorso l’occorrenza di fenomeni come le alluvioni era di una ogni 100 anni, in futuro possiamo aspettarcene una ogni 10. La siccità rischia di diventare cronica e modificare radicalmente il paesaggio. I ghiacciai rischiano di scomparire già entro la fine di questo secolo. E poi, come detto poco fa, il mare si innalzerà mentre la sua temperatura media – nonostante la fusione delle calotte – continuerà a salire. Già oggi registriamo temperature più alte fino a 700 metri di profondità, mari più caldi restituiranno maggiore energia termica all’atmosfera e questo causerà eventi climatici sempre più violenti. A livello locale l’innalzamento delle temperature dei mari porterà a una tropicalizzazione della fauna. Già oggi molte specie aliene invadono il Mediterraneo e soppiantano le specie autoctone. Ci sono poi effetti atmosferici che si ripercuotono anche in mare: l’aumento della concentrazione di anidride carbonica in aria, un gas che solubilizza in acqua, sta cambiando il ph dei mari. Un ph che diviene sempre più acido mette a rischio la sopravvivenza di specie animali che vivono in gusci di carbonato, come molluschi e conchiglie».

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Il cambiamento climatico avrà anche ripercussioni da un punto di vista geopolitico?
«Certamente, ci sono rapporti dei militari proprio su questo problema. Pensi solo alle migrazioni dei popoli di cui parlavamo prima. Una siccità in Africa mette in moto milioni di persone, la gente scappa perché non ha da mangiare. L’aumento dei livelli dei mari nei prossimi decenni farà fuggire molti da zone fragili e costiere come il Bangladesh. Quindi solo la migrazione dei popoli rappresenta una minaccia di tipo geopolitico. Poi ci sono zone del pianeta dove proprio il rischio sull’agricoltura può far venire meno indipendenza alimentare, fomentare rivoluzioni, creare banalmente degli aumenti di prezzo ingestibili».
Cosa può fare l’uomo?
«La buona notizia è che nulla è inevitabile, a condizione di voler agire. In primis quindi l’uomo deve diventare consapevole dei rischi che corre se supera i limiti e deve fare di tutto per rimettersi in un’area di sicurezza. Bisogna consumare di meno, non consumare di più. Eppure la nostra è una società basata sulla crescita, che consuma anche cose inutili, che non servono a niente, pur di vendere. Ma questo vuol dire energia e rifiuti. Dovremmo fare esattamente il contrario, far durare le cose, riusarle, limitare i consumi e le spese. Poi dobbiamo passare alle energie rinnovabili: se dobbiamo evitare di far salire la temperatura, bisogna interrompere le emissioni di gas serra che arrivano dal petrolio, il carbone ed il gas, passando all’energia solare, idroelettrica, eolica. Ma le rinnovabili sono meno facili da ottenere, quindi dovremmo attuare un approccio più efficiente per evitare sprechi ed ottimizzarne il consumo. Dovremmo anche mangiare meno carne visto che gli allevamenti di bestiame sono dei grandi mietitori di gas serra. Lo spreco poi in generale è assolutamente da abbandonare».
Cosa possono fare invece i governi?
«I Governi devono da un lato curare quegli accordi internazionali che non stanno funzionando. L’ultima conferenza, la Cop29 a Baku, si è chiusa con un pugno di mosche. Non si vuole accettare l’idea del cambiamento per evitare il disastro che dicevamo prima. L’economia ha dei suoi interessi immediati e soprattutto i Paesi petroliferi hanno ostacolato delle decisioni che invece andrebbero prese per salvaguardare noi, il clima e l’Ambiente in generale. La politica internazionale non opera mai una vera svolta in tal senso. Per esempio la famosa carbon tax metterebbe d’accordo in tanti nel mondo perché semplicemente funziona sulla base del “chi inquina paga”. Oggi non è così».

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Del Green deal europeo invece cosa mi dice?
«E’ stato promulgato nel 2019 ma da allora non è stato fatto nulla. La nuova Commissione europea, presieduta da quella stessa Ursula von der Leyen che ha varato il Green deal, dice che dobbiamo spendere di più in armi, invece di indirizzare le risorse verso le rinnovabili. In pratica riduce quel documento a carta straccia e pensa di destinare le risorse che andrebbero all’ambiente alla guerra. Una follia. Io faccio questo lavoro da 30 anni e se continuiamo così le dico chiaramente che siamo fottuti, che le generazioni future sono fottute. La scienza dice quello che andrebbe fatto, ma la politica ignora i suggerimenti, agendo addirittura al contrario».
L’Italia è una somma perfetta dei principali rischi climatici immaginabili. Abbiamo 8.000 chilometri di coste: siamo quindi pesantemente esposti al rischio di alluvioni in caso di innalzamento del mare. I nostri ghiacciai sono in grande sofferenza. La desertificazione si fa strada anche alle nostre latitudini. E desertificazione e siccità portano a maggiori rischi di incendi boschivi. La siccità, a sua volta, minaccia la biodiversità e la nostra agricoltura. Come se non bastasse viviamo in un territorio che già normalmente è esposto ai rischi del dissesto idrogeologico. Insomma c’è da preoccuparsi seriamente.
Ma come ha detto Mercalli nulla è inevitabile. I mezzi per contenere il cambiamento climatico ci sono: cambiare il modello economico, ridurre la spinta al consumo, mutare i comportamenti dell’umanità, rinunciare ai combustibili fossili. Ogni anno sono migliaia le pubblicazioni scientifiche che denunciano questi fatti, ma vengono costantemente ignorate. La consapevolezza e le scelte degli individui sono elementi fondamentali per arrestare il processo. Basta solo volerlo.