Il nucleare è una forma di energia sulla quale il governo italiano sembra essere seriamente intenzionato a investire. Soprattutto sul nucleare dei terza e quarta generazione, una tecnologia che, però, richiederà anche tempi lunghi e capitali importanti da investire sia nello sviluppo e nella ricerca ma anche nella sicurezza e nella formazione di personale adeguato e altamente qualificato. La conferma della nuova linea scelta dall’esecutivo è arrivata dalle parole del ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin secondo cui “Se la politica, l’imprenditoria, la ricerca si confrontano e lavorano a scenari di impegno comune, questo significa che il nostro Paese è maturo anche culturalmente per tornare Alla produzione di energia nucleare. E sono convinto che anche l’opinione pubblica, specie quella giovane – come rilevano alcuni sondaggi – vede l’energia nucleare come una fonte importante per il futuro sostenibile dell’Italia”.
La scelta del nucleare, quindi, risulta essere una necessità soprattutto per le industrie di settore e quelle ad alta intensità energetica che hanno presentato al Governo una serie di richieste per la creazione non solo di una serie di iniziative ad hoc, anche informative, presso la popolazione ma anche di una Autorità di Sicurezza Nucleare indipendente per gestire i finanziamenti necessari per la creazione di impianti adeguati.
“Sono certo – ha aggiunto Pichetto – che sia stato già sottolineato, ma intendo ribadirlo: il nucleare è uno strumento chiave per la decarbonizzazione del Paese. L’alternativa è un Paese in affanno, senza l’energia per crescere. Ho sempre detto che al governo non spetta costruire nuove centrali, anche perché le vecchie grandi centrali appartengono al passato. Il compito del governo è scrivere le regole e garantire sicurezza. Siamo per questo impegnati su più binari. Il gruppo presieduto dal professor Giovanni Guzzetta presenterà entro fine anno una bozza di legge-delega per definire un percorso normativo e un nuovo schema di governance. Perché, se da un lato l’economia e il mondo delle imprese stanno lavorando a progetti a breve e a lungo termine, dall’altro bisogna riformare il sistema delle norme per rendere possibile la produzione in Italia. Sarà necessaria una Authority. Sarà l’ISIN, l’attuale ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, che dovrà però essere rafforzato in rapporto a nuovi compiti di controllo e licensing. Vorrei porre anche la questione del deposito unico nazionale – ha proseguito il ministro -, perché ha ragione chi dice che non si può pensare ad un ritorno al nucleare se non riusciamo a trovare un posto per stoccare i rifiuti radioattivi. Dobbiamo affrontare anche questo tema con responsabilità nella consapevolezza che una soluzione, o più soluzioni locali, vanno trovate a prescindere dalla produzione di energia da fonte nucleare. Perché il Parlamento e il Paese decideranno se istallare i piccoli reattori, ma tutti gli italiani continueranno a fare radiografie e radioterapie che produrranno rifiuti da stoccare in sicurezza. Nei giorni scorsi abbiamo avviato la procedura di Vas per la carta delle aree idonee. Le realtà locali saranno coinvolte e potranno dire la loro, ma una soluzione va trovata. Io credo che noi decisori politici abbiamo la responsabilità di indicare soluzioni che siano positive per l’oggi e in grado di garantire una prospettiva al Paese. È questa la logica che ci spinge ad incentivare la ricerca sulla fusione, a partecipare alle ricerche e sperimentazioni a livello mondiale, a guardare con fiducia a questa energia che sarà pulita e inesauribile. a scelta di inserire anche il nucleare nel mix energetico da qui al 2050 è una scelta per l’ambiente, per l’economia, per le tasche dei cittadini e delle imprese che pagano l’energia più che altrove. È una scelta di competitività del sistema Paese, è una scelta seria di decarbonizzazione, è una scelta che guarda alle future generazioni perché vivano in un’Italia moderna e più salubre”, ha concluso Pichetto.
Sul tavolo, quindi, una Newco basata su una partnership pubblico-privata che potrà contare anche sulla collaborazione di un partner straniero per le tecnologie. Inoltre la newco avrà un 51% di capitale detenuto da Enel, un 39% da Ansaldo Nucleare e il restante 10% da Leonardo.
Una decisione che nasce dalla necessità di recuperare il gap di competitività dell’Italia e, più in generale, del Vecchio Continente ma anche per contenere i costi energetici che per il Belpaese sembrano essere particolarmente alti. “Senza il nucleare, il Paese rischia di perdere la sua competitività industriale e di peggiorare la sua autonomia energetica”, ha dichiarato Stefano Monti, presidente dell’AIN. “Secondo i dati del London Stock Exchange Group (LSEG), in Italia il prezzo medio all’ingrosso dell’energia elettrica nel 2023 è stato pari a 127 euro per megawattora, ovvero il 30 % in più della Germania e della Francia e il 50 % in più della Spagna. In USA questi prezzi sono addirittura da 2 a 3 volte inferiori. Questa situazione non solo danneggia le famiglie, ma minaccia oltre 3.000 aziende energivore italiane, attive in settori strategici come siderurgia, chimica, ceramica, vetro e produzione di cemento. La transizione verde è un obiettivo imprescindibile”, ha sottolineato Monti “ma non può essere affidata solo alle rinnovabili. Serve una strategia che integri nucleare e rinnovabili, con un approccio pragmatico e tecnologicamente neutrale. E’ giunto il momento di rimuovere le ambiguità residue e avviare in tempi brevi un programma che coniughi la ricerca e sviluppo con la realizzazione di impianti nucleari di ultima generazione per la produzione di energia, in tempi congruenti con le necessità del Paese. E’ necessario inviare un messaggio chiaro alle nuove generazioni, sempre più favorevoli al nucleare, delle quali c’è un assoluto bisogno per potenziare i vari settori”.
Nonostante questo, però, permangono forti perplessità da parte dell’opinione pubblica. Stando ad un’indagine Ipsos “Gli Italiani e l’energia”, realizzata per Legambiente, Nuova Ecologia eKyoto Club
gli italiani restano nettamente contrari al nucleare, per la precisione è l’81% degli intervistati, percentuale in aumento rispetto al 75% di giugno. A pesare è il rapporto rischio beneficio: per il 43% degli intervistati un possibile ritorno degli investimenti, se si noterà, avverrà solo tra 20 anni. Permane anche la diffidenza verso una forma di energia percepita ancora come pericolosa. Infatti solo il 18% degli intervistati sarebbe disposto ad abitare a 10 chilometri da un sito di produzione nucleare. Gli italiani, infatti, percepiscono la transizione energetica maggiormente come un investimento verso le fonti rinnovabili associate a sostenibilità ambientale(85% degli intervistati). La preferenza va verso tecnologie meno costose e che permetterebbero di ridurre la dipendenza dai paesi esteri produttori di fonti fossili (35%)
“Il contributo sempre più residuale dell’atomo per produrre elettricità nei prossimi decenni nel mondo è dovuto ai costi esorbitanti di questa tecnologia, sempre maggiori a quelle delle rinnovabili in tutti i continenti, come risulta chiaramente nei rapporti di una fonte non ambientalista come l’Agenzia Internazionale dell’Energia – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. Le imprese nel mondo stanno investendo quasi esclusivamente in impianti a fonti pulite: lo scorso anno, secondo i dati di IRENA, in tutto il mondo, gli impianti a fonti rinnovabili hanno rappresentato l’86% della nuova potenza installata per produrre elettricità, mentre quelli a fonti fossili e gli impianti nucleari hanno contribuito solo per il 14%. Basterebbero questi pochi dati per non riaprire in Italia una discussione che pensavamo di aver chiuso, per ben due volte, con il voto referendario del 1987 e 2011. Il nucleare è morto, e non siamo stati noi ambientalisti ad ucciderlo, ma un killer insospettabile: il libero mercato. Ne prenda atto il governo italiano”.
Per Legambiente è fondamentale accelerare sulle fonti rinnovabili e realizzare più impianti a fonti pulite, un settore in cui l’Italia si trova in forte ritardo. Numeri alla mano sul territorio italiano negli ultimi 4 anni si è realizzato solo il 23,2% dell’obiettivo al 2030.