Alla luce di una siccità sempre più allarmante, specialmente in alcune aree del Nord Italia un tempo non interessate a questa problematica, l’interesse verso la realizzazione di dissalatori sta crescendo progressivamente.
Un report dell’Osservatorio ANBI sulle risorse idriche indica che una percentuale compresa tra il 6% e il 15% della popolazione italiana risiede in aree vulnerabili in termini di siccità e potrebbe trovarsi a gestire gravi scarsità di acqua.
Di conseguenza, il Governo ha annunciato la creazione di un gruppo di lavoro interministeriale per elaborare un Piano Idrico Straordinario per affrontare l’emergenza siccità. Vediamo insieme le problematiche e i numeri della desalinizzazione in Italia.
Problematiche della desalinizzazione in Italia
Circa l’85% dei dissalatori nel mondo opera attraverso osmosi inversa: l’acqua marina è pompata verso filtri che trattengono sali e impurità. La tecnica di dissalazione per osmosi, oltre ad essere la più diffusa, è anche la meno energivora, a differenza della dissalazione termica che, operando attraverso l’evaporazione, richiede ingenti quantità di energia.
Nonostante l’Italia abbia le condizioni ideali per utilizzare questa tecnologia e si trovi di fronte a zone ad alto rischio, la produzione di acqua desalinizzata rappresenta solo lo 0,1% del totale dell’acqua dolce prelevata. In Paesi come gli Emirati Arabi Uniti, l’Australia e la Spagna, l’acqua desalinizzata soddisfa una quota significativa del fabbisogno idrico della popolazione.
Nel nostro Paese sono attivi 340 dissalatori, quasi tutti operanti nelle piccole isole. Un numero che sembra elevato, ma che in realtà è basso, rispetto al fabbisogno.
Le ragioni della scarsa diffusione dei dissalatori nella Penisola riguardano l’elevato consumo energetico richiesto oltre alla problematica dello smaltimento della salamoia, il residuo salino derivante dal processo. Questi fattori hanno contribuito a limitare gli investimenti su questi impianti.
Mappa dei dissalatori presenti in Italia
I primi dissalatori italiani risalgono agli anni Novanta. Alcuni di questi, come quelli in Sicilia a Gela, Trapani e Porto Empedocle, non sono più in funzione. Attualmente, la maggior parte dei dissalatori si concentra su strutture di dimensioni ridotte o medie, molte delle quali forniscono acqua potabile a settori industriali e turistici, inclusi hotel e resort.
Il più grande impianto di desalinizzazione presente in Italia e nel Mediterraneo si trova a Sarroch, nella provincia di Cagliari. Al momento è utilizzato principalmente per scopi energetici, ma ha il potenziale per fornire acqua quasi potabile per usi civili, con una capacità produttiva di circa 500 metri cubi all’ora.
Anche la Sicilia, con una solida esperienza in questo campo, vanta impianti importanti come quello di Ustica, completato nel 1995, e un altro che serve Pantelleria, Lampedusa e Linosa, con una capacità di oltre 460 metri cubi d’acqua all’ora. Anche l’isola di Vulcano dispone del proprio dissalatore.
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In Toscana, gli impianti di Giannutri, Capraia e Isola del Giglio forniscono acqua agli abitanti, mentre all’Isola d’Elba c’è resistenza contro il dissalatore di Lido di Capoliveri a causa dei potenziali impatti ambientali.
Progetti futuri prevedono la costruzione del più grande dissalatore d’Italia a Taranto, un investimento di 100 milioni di euro finanziato dal PNRR, previsto per il completamento entro il 2026. Questo impianto potrà trattare 1.000 litri di acqua al secondo, soddisfacendo il fabbisogno di 385.000 persone.
Anche Taglio di Po, in provincia di Rovigo, ha accolto un dissalatore temporaneo dalla Spagna, destinato a supportare le aree critiche del Polesine e del Veneto.
Dissalazione: i progetti avviati e in fase di studio
Progetti simili a quelli sopra elencati sono in fase di studio a Genova, dove si punta alla costruzione di un grande impianto di desalinizzazione per il Nord Italia.
Le Marche esplorano l’ipotesi di installare un dissalatore nella provincia di Pesaro-Urbino, mentre recentemente è stato annunciato un finanziamento di 22 milioni di euro per la costruzione di nuovi dissalatori sulle isole, con un focus particolare su Lampedusa, Panarea e Stromboli.
I dissalatori del futuro
Fortunatamente l’avanzamento tecnologico nel campo della dissalazione sta rivestendo un ruolo cruciale per rendere questo processo un’opzione sempre più valida per l’approvvigionamento idrico non solo su scala locale, ma anche globale.
Già ad oggi il consumo energetico richiesto dai dissalatori moderni è significativamente ridotto rispetto alle versioni più datate, registrando un netto miglioramento in termini di efficienza.
Il futuro dei dissalatori promette innovazioni significative, con ricerche focalizzate sull’ulteriore riduzione dell’energia necessaria e su prodotti necessari per la pulizia, oltre a minimizzare le emissioni.
In conclusione, si prevede che le prossime generazioni di dissalatori sfrutteranno l’intelligenza artificiale, useranno membrane autopulenti e non produrranno rifiuti, poiché la salamoia verrà completamente riciclata. Alcuni prototipi capaci di realizzare queste innovazioni sono già stati testati e sono pronti per essere implementati su larga scala anche in Italia.
Azioni della Ue per renderla una soluzione valida in vista della siccità
La desalinizzazione è il processo di rimozione del sale dall’acqua di mare o salmastra per renderla utilizzabile per una serie di scopi, tra cui quello potabile.
È considerata un’alternativa a prova di siccità per le forniture idriche minacciate dai cambiamenti climatici. Diversi Paesi del sud dell’Ue si affidano a questo sistema per ottenere acqua dolce per uso potabile e per l’agricoltura.
Gli impianti di desalinizzazione sono però costosi da costruire e gestire e consumano molta energia, anche se le nuove tecnologie stanno riducendo i costi e l’impatto ambientale. Gli impianti possono avere anche un impatto negativo su animali e piante marine.
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La desalinizzazione produce un sottoprodotto chiamato salamoia, una soluzione salina concentrata con sostanze chimiche.
Quando viene scaricata in mare può danneggiare pesci, coralli e plancton. Molti considerano la desalinizzazione una “ultima spiaggia”, da utilizzare solo dopo aver provato tutte le altre opzioni, come il riutilizzo delle acque reflue e la riduzione delle perdite.
Tuttavia, sebbene questa tecnologia presenti notevoli svantaggi, senza di essa alcune regioni dell’Ue non sarebbero in grado di soddisfare la loro domanda di acqua.
Qual è la politica dell’Ue in materia di desalinizzazione
La desalinizzazione è già ampiamente utilizzata in Spagna, Cipro e Portogallo. Anche in Grecia e in Italia è sempre più diffusa. Alcune regioni d’Europa non saranno in grado di soddisfare completamente la domanda senza riutilizzare le acque reflue e senza desalinizzare parte dell’acqua di mare.
L’ultimo aggiornamento della tassonomia dell’Ue, pietra angolare del quadro finanziario sostenibile dell’Ue e importante strumento di trasparenza del mercato, classifica la desalinizzazione come un investimento “verde”, con condizioni rigorose per quanto riguarda gli aspetti ambientali.
L’energia verde deve essere utilizzata il più possibile e la salamoia deve essere ridotta e, in caso di scarichi, deve essere trattata in modo sicuro e diluita in acqua di mare.
La desalinizzazione presenta degli svantaggi, tra cui l’elevato consumo energetico, la manutenzione e lo smaltimento della salamoia.
I nuovi impianti di desalinizzazione dovrebbero essere realizzati dopo uno sforzo importante per proteggere e ripristinare il ciclo dell’acqua e garantire un uso efficiente dell’acqua, incoraggiando il riutilizzo, riducendo le perdite d’acqua, tagliando i prelievi e così via.
La desalinizzazione dovrebbe essere intrapresa solo quando non sono disponibili alternative migliori dal punto di vista ambientale e deve rientrare nel quadro di una gestione idrica integrata, con un giusto equilibrio tra domanda e offerta di acqua.
Vantaggi e svantaggi della desalinizzazione
La desalinizzazione sta emergendo in risposta alla carenza idrica, soprattutto nei Paesi mediterranei, spesso in combinazione con il riutilizzo delle acque reflue e una maggiore efficienza.
Diversi Paesi meridionali dell’Ue stanno utilizzando la desalinizzazione per contribuire a coprire il fabbisogno di acqua dolce. Tuttavia, nell’Ue, una piccola parte dell’acqua dolce è ottenuta attraverso la desalinizzazione dell’acqua di mare.
Gli impianti dell’Ue possono fornire fino a 2,89 miliardi di metri cubi di acqua desalinizzata all’anno (capacità attiva).
Il 71% dell’acqua prodotta viene utilizzata per l’approvvigionamento idrico pubblico (2 miliardi di metri cubi, il 4,2% dell’acqua totale utilizzata per l’approvvigionamento pubblico). Il 17% dell’acqua desalinizzata prodotta nell’Ue è utilizzata per applicazioni industriali, il 4% nelle centrali elettriche e l’8% per l’irrigazione.
Gli impianti di desalinizzazione dell’Ue sono situati principalmente nei Paesi mediterranei: circa 1.200 impianti forniscono una capacità di 2,37 miliardi di m3 (82% della capacità totale di desalinizzazione dell’Ue).
I finanziamenti dell’Ue per la ricerca sulla desalinizzazione sono stati pari a 81,5 milioni di euro dal 2014 al 2019 e si sono concentrati su investimenti infrastrutturali e attività di innovazione.
Per quanto riguarda gli svantaggi della desalinizzazione riguardano gli impianti molto costosi da costruire e gestire. Il prezzo dell’acqua prodotta con la desalinizzazione è molto alto. Per questo motivo viene utilizzata soprattutto per produrre acqua potabile.
Si tratta di un processo ad alta intensità energetica ed è essenziale che venga effettuato utilizzando energie rinnovabili e riducendo il consumo energetico.
La desalinizzazione produce un sottoprodotto, la salamoia (una soluzione salina concentrata con sostanze chimiche) che deve essere smaltita correttamente per evitare impatti negativi sull’ambiente marino.
La costruzione di prese d’acqua e di infrastrutture, come le tubature, comporterà inoltre un’alterazione permanente delle condizioni idrografiche (ad esempio, la modifica dei sedimenti) e potrebbe avere un impatto sulla vita marina.
Norme finanziarie che regolano la desalinizzazione nell’Ue
L’ultimo aggiornamento della tassonomia classifica la desalinizzazione come un investimento “verde”, con condizioni rigorose per quanto riguarda gli aspetti ambientali.
I progetti di desalinizzazione devono soddisfare criteri rigorosi nell’ambito della tassonomia dell’Ue, garantendo che contribuiscano all’uso e alla protezione sostenibile dell’acqua, riducendo al minimo l’impatto ambientale.
I criteri includono l’uso efficiente dell’energia, basse emissioni di gas serra e l’adesione alle misure di protezione della biodiversità, in linea con gli obiettivi dell’Ue per la resilienza climatica e la sostenibilità ambientale.
Nel mondo è corsa a desalinizzare l’acqua
A fronte di un aumento dei livelli di salinità dell’acqua a livello globale è scattata la corsa a nuovi metodi per desalinizzarla.
L’innalzamento dei livelli del mare sta spingendo il sale nelle falde acquifere costiere, mentre l’eccessiva estrazione di acque sotterranee in altri luoghi sta attirando acque più profonde e salate nelle falde acquifere.
E le attività umane, dallo sghiacciamento delle strade al lavaggio dei vestiti e alla fertilizzazione dei campi, stanno inquinando le acque superficiali con molti tipi di sale. Lo scorso ottobre, i ricercatori hanno riferito che i livelli di sale nei principali corsi d’acqua in tutto il mondo stanno aumentando; alcuni bacini idrici sono ora diverse volte più salati di quanto non fossero alcuni decenni fa.
Non serve sottolineare il problema che questa situazione comporta. Per farvi fronte nuove ricerche stanno cercando di sviluppare nuovi metodi più efficienti e più efficaci per la desalinizzazione.
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Un metodo standard per la desalinizzazione prevede il riscaldamento dell’acqua di mare per farla evaporare, quindi la condensazione del vapore; questo principio di base è utilizzato oggi in un gran numero di impianti di desalinizzazione del mondo, in particolare quelli che punteggiano le coste del Golfo in Medio Oriente.
Ma questo metodo consuma molta energia. Una tecnica più efficiente dal punto di vista energetico è emersa negli anni ’60, utilizzando la pressione fisica per forzare le molecole d’acqua attraverso minuscoli pori di una sottile membrana, lasciando indietro ioni di sale disciolti. Questo processo, chiamato osmosi inversa, è il gold standard per gli impianti di desalinizzazione odierni.
Il problema è che l’osmosi inversa ha un limite. Man mano che si estrae acqua dolce, le acque di sorgente diventano sempre più salate, rendendo sempre più difficile continuare il processo di separazione.
Questo è un problema inevitabile, afferma Christopher Fellows, un chimico della Saline Water Conversion Corporation (SWCC) di Jubail, in Arabia Saudita. Tutte le forme di desalinizzazione lasciano una salamoia di scarto che deve essere gestita.
In Arabia Saudita, riconoscendo l’opportunità di generare entrate extra producendo al contempo più acqua dolce, la SWCC, di proprietà governativa, sta costruendo un impianto dimostrativo per raccogliere il cloruro di sodio, tra gli altri sali, dai rifiuti della desalinizzazione dell’acqua di mare.
L’impianto, la cui messa in funzione è prevista per la fine di quest’anno ad Haql, in Arabia Saudita, utilizza una tecnica emergente di selezione del sale chiamata nanofiltrazione come parte di una lunga serie di processi, afferma Fellows.
Come l’osmosi inversa, la nanofiltrazione funziona spingendo le molecole d’acqua attraverso una membrana. Ma la membrana ha pori più grandi che consentono anche il passaggio di alcuni ioni di sale: gli ioni di sale disciolti che trasportano solo una carica elettrica, come sodio, potassio e cloruro, possono attraversare la barriera, mentre quelli con due o più cariche, come magnesio e calcio, rimangono indietro.
La sfida principale dello SWCC è produrre cloruro di sodio sufficientemente puro per il mercato dei cloro-alcali. La fase finale presso l’impianto SWCC prevede la bollitura della salamoia calda fino a quando il cloruro di sodio puro non cristallizza.
Questa fase ad alta intensità energetica è tutt’altro che ideale, afferma Fellows. Il suo team ha iniziato a esplorare altre strategie per questa fase, tra cui la desalinizzazione tramite congelamento.
Questo approccio è ispirato dal fatto che il ghiaccio marino è composto da acqua dolce, anche se l’acqua di mare è salata. È allettante, afferma Fellows, perché per congelare l’acqua ghiacciata ci vuole un settimo dell’energia necessaria per evaporare l’acqua bollente.
Molti gruppi si stanno concentrando su una strategia alternativa che utilizza l’elettricità, anziché la pressione, per svolgere il lavoro di separazione. In questa tecnica, una corrente elettrica viene utilizzata per tirare gli ioni di sale disciolti attraverso membrane specializzate a scambio ionico, che consentono il movimento degli ioni in una sola direzione.
Quando gli ioni attraversano queste membrane, la salamoia in cui hanno iniziato diventa più diluita. I ricercatori si aspettano che la tecnica sia utile per prediluire salamoie estremamente salate in modo che l’osmosi inversa convenzionale possa quindi essere utilizzata per spremere più acqua fresca.
In una variante di queste tecniche basate sull’elettricità, il team di Shihong Lin, un ingegnere ambientale presso la Vanderbilt University di Nashville, Tennessee ha provato a far aumentare le concentrazioni di ioni di sale che attraversano le membrane a scambio ionico fino a formare cristalli solidi.
Questo tentativo di cristallizzare i sali senza far evaporare l’acqua ha funzionato bene per alcuni sali, come il solfato di sodio, che si trova comunemente nelle acque reflue delle centrali elettriche, dice Lin, ma non per il sale più abbondante nelle salamoie di scarto, il cloruro di sodio.
Gli ioni di sodio e cloruro trattengono le molecole d’acqua così saldamente che trascinano anche l’acqua attraverso la membrana, dice Lin.
Per evitare sia l’evaporazione che l’uso di membrane, i membri del team dell’ingegnere ambientale Ngai Yin Yip della Columbia Universitys tanno invece cercando di utilizzare solventi chimici. Un candidato promettente è un solvente disponibile in commercio chiamato diisopropilammina.
Il solvente galleggia sulla salamoia e, a basse temperature, risucchia selettivamente le molecole d’acqua, lasciando indietro la maggior parte degli ioni di sale.
A temperature più elevate, la diisopropilammina diventa idrorepellente ed espelle spontaneamente l’acqua che ha assorbito, così l’acqua può essere recuperata e il solvente riutilizzato. Yip afferma che il suo team ha utilizzato questo metodo per recuperare acqua dolce da campioni di salamoia che sono fino a dieci volte più salati dell’acqua di mare, un compito impossibile per l’osmosi inversa standard.
La porzione di acqua dolce potrebbe non essere potabile finché non verranno prese ulteriori misure per rimuovere il solvente contaminante e il sale, affermano i ricercatori. Ma la tecnica potrebbe aiutare le industrie che cercano di riciclare l’acqua dalle loro salamoie di scarto.
I ricercatori stanno attualmente partecipando a una sfida a premi organizzata dal Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti per costruire un piccolo pilota che utilizzerebbe il calore solare per la fase di espulsione dell’acqua. Jason Ren della Princeton University nel New Jersey e i suoi colleghi hanno adottato un approccio completamente diverso, ispirato dagli alberi.

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Gli alberi possono risucchiare l’acqua per diversi metri contro la gravità, emettendo vapore acqueo pulito dalle loro foglie mentre intrappolano i composti disciolti nei loro tessuti. L’approccio del suo team imita gli alberi utilizzando lunghe stringhe di fibre con un’estremità che assorbe acqua salata.
Mentre la salamoia viaggia verso l’alto, i sali vengono separati sfruttando il principio comune della cromatografia: diversi composti si muovono a velocità diverse attraverso un mezzo.
Il bersaglio principale di Ren, il cloruro di litio, è estremamente solubile e piccolo, quindi i suoi ioni si muovono rapidamente lungo la stringa, prima degli ioni di sodio più grandi. Ren ha utilizzato con successo questo metodo per recuperare il litio da campioni di salamoia naturale dal Cile, utilizzando meno energia e spazio rispetto all’evaporazione convenzionale.
Il team sta progettando un modulo chiuso che incorpora pile di queste stringhe. I ricercatori mirano a estrarre il litio dalle salamoie di scarto prodotte dalle operazioni di petrolio e gas, recuperando al contempo l’acqua evaporata.
Impianti di desalinizzazione nel mondo: panoramica
La questione della carenza d’acqua emerge come uno dei problemi più critici a livello globale, particolarmente sentito in molte zone di Asia e Africa, in particolare nell’area del Golfo Persico, dove l’accesso all’acqua potabile è un fattore sempre più complicato.
Secondo le stime della Banca Mondiale, diciassette paesi tra Medio Oriente e Nord Africa sono al di sotto della soglia minima di consumo idrico. Queste zone ospitano oltre il 6% della popolazione globale, ma dispongono solamente dell’1% delle risorse idriche mondiali.
Due sono le principali vie d’azione per affrontare questa sfida. La prima riguarda l’importazione di “acqua virtuale”, ossia acqua dolce utilizzata per la produzione e la distribuzione di beni e servizi, da considerare come fonte esterna di approvvigionamento idrico. È da notare come l’agricoltura e il settore alimentare siano tra i più ingenti consumatori di acqua rispetto ad altri ambiti.
La seconda strada, quella maggiormente percorribile, è rappresentata dalla dissalazione, ovvero il trattamento dell’acqua marina per la sua trasformazione in acqua dolce.
Capacità dei principali impianti di dissalazione
Le tecnologie di dissalazione hanno compiuto notevoli passi avanti nel corso degli anni, spinte dalla forte domanda proveniente proprio dalle regioni mediorientali e africane.
Dall’apertura del primo impianto in California nel 1965, il progresso è stato esponenziale: l’International Desalination Association (IDA) ora stima che più di 200 milioni di metri cubi di acqua vengono riciclati quotidianamente grazie a oltre 20.000 impianti di dissalazione attivi nel mondo, una cifra in continua crescita.
Dissalazione: gli impianti presenti in Medio Oriente e negli Stati Uniti
Il Medio Oriente guida questa espansione con un incremento del 28%, seguito dagli Stati Uniti con un aumento del 25%. La tecnologia predominante è quella dell’osmosi inversa, che rappresenta il 90% del mercato globale grazie alla sua capacità di minimizzare l’impatto ambientale producendo meno scarti salini.
Interessante notare come la crescita dei dissalatori non ostacoli il riutilizzo dell’acqua; anzi, queste due strategie vengono spesso implementate congiuntamente.
Gli Stati Uniti, per esempio, si posizionano come il secondo maggior mercato per il riutilizzo dell’acqua dopo la Cina, dimostrando un impegno combinato verso la sostenibilità idrica.
La desalinizzazione nel Golfo Persico
La maggior parte degli impianti di dissalazione si trova nel Golfo Persico. L’eccessiva dipendenza dal petrolio in queste aree evidenzia l’urgenza di trovare soluzioni alternative e di diversificare l’economia verso settori strategici nazionali, ma non solo.
L’abbondanza di combustibili fossili spiega la diffusione dei sistemi di desalinizzazione, dal momento che i primi impianti, funzionanti su base evaporativa, risultavano estremamente energivori.
Da ciò è nato anche il concetto di “acqua dei ricchi”, visto che solo i Paesi economicamente più solidi – come Emirati Arabi Uniti, il Kuwait e il Qatar, a cui si aggiunge Israele – potevano inizialmente permettersi gli investimenti richiesti per gli impianti di dissalazione.
Il confronto tra Dubai e Melbourne sulla dissalazione
Tra Dubai e Melbourne emerge un aspetto comune nonostante la distanza geografica tra le due località: entrambe ospitano impianti di dissalazione di rilevante grandezza.
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Dubai vanta l’impianto di Jebel Ali, il più grande al mondo, simbolo di lusso e garanzia per un futuro ricco di acqua.
Melbourne, invece, punta a superare le dimensioni di Jebel Ali con l’impianto di Wonthaggi, un progetto da 3,5 miliardi di dollari avviato nel 2007 e ancora in fase di completamento, nato con l’obiettivo di combattere la siccità che affligge il Paese australe.
Gli impianti di dissalazione in Europa
In Europa il panorama della dissalazione è caratterizzato da 2.352 impianti, con l’84% di essi che adotta la tecnologia dell’osmosi inversa. Tra questi, solamente l’8% rappresenta impianti di grandi dimensioni, contribuendo tuttavia in modo significativo (69%) al volume totale di acqua desalinizzata prodotta nel continente.
La Spagna emerge come il principale attore europeo nel campo della dissalazione, responsabile del 68% della produzione, a fronte di una grave crisi idrica che affligge il Paese.
Gli altri impianti si distribuiscono prevalentemente nei paesi mediterranei, con l’Italia che occupa il secondo posto (9%), seguita da Cipro (8%), Malta (5%) e Grecia (3%).
Esistono, inoltre, strutture minori nei paesi del nord Europa – Regno Unito, Olanda, Danimarca e Germania – dove vengono impiegate principalmente per applicazioni industriali.
L’Italia, benché distante dalla Spagna per numero di impianti e capacità produttiva, riveste un ruolo cruciale nella dissalazione in Europa. La questione della dissalazione è oggetto di dibattito sia politico che ambientale nel paese, riflettendo l’importanza crescente di questa tecnologia nel contesto europeo.