In Venezuela l’attuale presidente Nicola Maduro ha giurato per succedere a se stesso. La cerimonia di insediamento segna l’inizio del terzo mandato di sei anni di un presidente che è al potere ormai da quasi 12 anni ovvero dal 2013. Un governo caratterizzato, a detta degli osservatori, da una progressiva svolta verso una politica sempre più autoritaria tanto da portare alla proclamazione della vittoria da parte di Maduro nonostante da più parti ne abbiano contestato la regolarità. Dopo le contestate elezioni del 28 luglio, infatti, la comunità degli osservatori aveva esplicitamente richiesto l’esibizione di dati e i documenti che provano la vittoria di Maduro, richiesta che, sebbene accolta da Maduro, non ha poi trovato concreta applicazione.
Un panorama, quello in cui si delinea la nascita della terza amministrazione Maduro, che ha portato a un progressivo isolamento diplomatico soprattutto dopo l’arresto (e il rilascio) della leader dell’opposizione María Corina Machado che, riapparsa in pubblico dopo 133 giorni di clandestinità, è stata liberata poco dopo.
In realtà la politica di distensione del presidente è da sempre alquanto ambigua. Infatti se nelle ultime settimane il prossimo presidente ha voluto liberare gran parte delle persone arrestate durante le manifestazioni di protesta nate poco dopo la sua riconferma, recentemente il ministro dell’Interno Diosdado Cabello ha ripreso le redini di una politica repressiva particolarmente aspra, a sua volta giustificata dalla presenza, a suo dire, di “piani terroristici” elaborati da “nemici interni ed esterni” che vorrebbero destabilizzare la nazione.
Ma l’evento del giuramento di Maduro è particolarmente monitorato dalle autorità internazionali anche per un altro motivo. Il candidato unitario all’opposizione, Edmundo González Urrutia, in esilio in Spagna da settembre e oggetto di un mandato di cattura da parte delle autorità venezuelane, sembra aver confermato la sua intenzione di ritornare in patria per giurare a sua volta da presidente. Il tutto nonostante la taglia da 100mila dollari che pende sulla sua testa. Lo stesso ministro Cabello durante una conferenza stampa del Partito Socialista Unito del Venezuela (Psuv) ha confermato la cosa dichiarando “L’unico che presterà giuramento è Nicolás Maduro. Non c’è una sola possibilità, nemmeno una che l’immondo signor González metta piede in Venezuela senza essere arrestato”.
Parole che non smorzano l’entusiasmo di Urrutia che recentemente ha dichiarato “Il Venezuela è un’autocrazia che agisce contro la nostra coscienza: prima o poi il nostro paese tornerà a essere una democrazia”. “Non sono mai abbastanza gli sforzi per recuperare la democrazia in Venezuela: abbiamo avuto tanti appoggi ma sentiamo che c’è ancora margine per portare più avanti questa battaglia, per far valere la volontà del popolo che si è espresso a larga maggioranza per un trionfo che è stato roboante”.
Da parte sua il Venezuela per questioni di sicurezza ha chiuso anche la frontiera con la Colombia (un tratto che supera i 2200 chilometri) mentre il presidente colombiano, Gustavo Petro, ha già annunciato che non riconoscerà la legittimità di queste elezioni pur lasciando aperti i canali diplomatici. L’intenzione è quella di preservare la necessità di cooperazione viste le problematiche di fondo che contraddistingue l’area. Infatti problemi come la migrazione, il commercio e la sicurezza impongono inevitabilmente la necessità di una cooperazione, forzata o meno, tra le parti.
Problematico, poi, anche il rapporto con gli USA in vista del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Da sottolineare che la nomina di Marco Rubio, acerrimo oppositore di Maduro, a segretario di Stato è un elemento che già di per sé potrebbe ridisegnare gli equilibri politici tra i paesi latinoamericani e la comunità internazionale.
Ma il ritorno di Trump, oltre alle politiche su dazi e immigrazione, potrebbe comportare per Caracas anche altre conseguenze. Il tycoon, infatti, nella sua prima conferenza stampa dopo la sua elezione, ha tenuto a precisare “Abbiamo più energia di qualsiasi altro Paese. La useremo. Non dobbiamo comprare energia dal Venezuela, dato che ne abbiamo 50 volte di più. Quello che stiamo facendo è pazzesco”. “Non ci fermeremo finché l’America non sarà più ricca, più sicura e più forte di quanto non sia mai stata”, ha detto aggiungendo “Dovranno riprendersi tutti i migranti. Se non lo fanno, saranno affrontati molto duramente dal punto di vista economico”.