Il settore delle criptovalute sempre più sotto i riflettori. Il 2024 è stato contrassegnato da una serie di record da parte della più famosa delle monete virtuali, ovvero il Bitcoin che, complice anche il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, ha potuto sfruttare anche la prospettiva di politiche e normative più accomodanti. Una prospettiva, inoltre, che faceva seguito anche ad altre decisioni a favore del Bitcoin come, ad esempio, la nascita degli Etf basati proprio su questa criptovaluta. Si è trattato di una vera e proprio rivoluzione che rappresentava anche la conferma di un interesse verso il settore da parte delle istituzioni. Ma la questione criptovalute resta ancora una possibile spina nel fianco per gli investitori. Infatti a causa della sua volatilità resta un territorio in cui, secondo gli analisti, è meglio che si inoltrino solo investitori esperti e che conoscano al meglio la materia. Ma non è il solo punto debole del settore. Recentemente è stato evidenziato anche un’altra criticità ovvero il lato “energivoro” della produzione di cripto. Infatti, come è noto, le monete virtuali nascono da elaborati calcoli di potenti pc che spesso restano accesi per molto tempo e che, perciò, hanno bisogno anche di essere raffreddati. Semplificando il concetto di base: sia la produzione di cripto che la gestione e la manutenzione delle apparecchiature che le creano necessitano di energia. Troppa, come fa notare Roberto Grossi, Vice Direttore di Etica Sgr, società di gestione del risparmio italiana focalizzata su soluzioni di investimento etiche e responsabili.
Quali conseguenze potrebbe avere sulla finanza internazionale e sugli investimenti un approccio più favorevole da parte delle autorità finanziarie verso il settore cripto? E quali verso i piccoli investitori?
«Le criptovalute hanno vissuto una crescita tumultuosa, alternando fasi di espansione a crolli rapidi e imprevisti. L’assenza di regolamentazione chiara e di un registro centrale, unita alla loro natura privata, le rende particolarmente vulnerabili a usi illeciti, come il riciclaggio di denaro e l’evasione fiscale. Un approccio più favorevole delle autorità finanziarie potrebbe incoraggiare una maggiore legittimazione, ma con rischi significativi. Per i piccoli investitori, un accesso facilitato alle criptovalute senza adeguate tutele comporta un’esposizione a elevati rischi finanziari. La mancanza di conoscenze adeguate e la volatilità estrema dei mercati cripto potrebbero tradursi in perdite significative, con conseguenze personali e sociali rilevanti».

Roberto Grossi, Vicedirettore di Etica Sgr foto Ufficio Stampa
Quali sono i punti a favore e quelli contro dell’investire in criptovalute?
«Sebbene basate su una tecnologia innovativa come la blockchain, oggi le criptovalute restano perlopiù strumenti speculativi, con criticità significative in termini di governance e impatto ambientale. A ciò si aggiungono rischi di hackeraggio, truffe e legami con attività illegali. La loro dipendenza esclusiva dalla domanda e dall’offerta le rende particolarmente instabili, mentre il loro valore intrinseco è spesso inesistente. Per gli investitori, rappresentano un’opzione estremamente rischiosa e poco sostenibile».
Il “mining” ovvero la creazione di Bitcoin e di altre monete virtuali, è stata definita un’attività energivora. Cosa significa? Perchè produrre criptovalute richiede tanta energia?
«Il mining è energivoro perché coinvolge computer ad alte prestazioni che operano 24 ore su 24 per risolvere complessi problemi matematici e validare le transazioni. Questo processo richiede enormi quantità di energia elettrica, spesso proveniente da combustibili fossili, aggravando il già pesante impatto ambientale».
È possibile quantificare, in media, il consumo energetico necessario per creare una criptovaluta?
«Nel 2021, il Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index (CBECI) ha stimato che il consumo annuo del Bitcoin fosse pari a 128 Terawattora, pari allo 0,6% della produzione elettrica mondiale, un valore paragonabile al fabbisogno energetico di un’intera nazione come la Norvegia. Questo dato è ancora più impressionante se confrontato con il consumo di aziende digitali come Google, che nel 2019 ha consumato “solo” 12,2 Terawattora. Questi numeri sottolineano la necessità di un’attenta riflessione sull’impatto ambientale delle criptovalute: le attività estrattive di Bitcoin immettono 98 milioni di tonnellate di CO₂ nell’atmosfera ogni anno, un valore paragonabile alle emissioni annuali di interi Paesi come la Grecia. Per compensare queste emissioni, si dovrebbero piantare circa 4 miliardi di alberi ogni due anni, occupando un’area grande quanto la Danimarca».
Ci sono differenze di consumo energetico tra la produzione di una criptovaluta e l’altra?
«Sì, esistono progetti di criptovalute che puntano a ridurre il proprio impatto ambientale. Tuttavia, le soluzioni proposte, come l’adozione di fonti di energia rinnovabile o il passaggio a meccanismi di validazione più efficienti, rappresentano solo una mitigazione parziale del problema, le sfide ambientali restano. In generale, il settore non ha ancora dimostrato di poter operare in modo realmente sostenibile, nonostante alcune innovazioni tecnologiche».
Quali sono le strategie che si potrebbero adottare per evitare queste problematiche?
«Diversi approcci potrebbero aiutare a mitigare l’impatto ambientale delle criptovalute. Tra le proposte più interessanti vi è quella avanzata durante la COP29 di Baku: una tassa globale di solidarietà sulle attività inquinanti come il mining, per raccogliere fondi destinati ai Paesi più colpiti dai cambiamenti climatici. Greenpeace, invece, propone una revisione tecnica al codice di Bitcoin per renderlo meno energivoro. Un’altra strategia innovativa è l’utilizzo del calore di scarto prodotto durante il mining per riscaldare serre agricole, soprattutto in regioni fredde. Ad ogni modo, in generale, sarebbe opportuno promuovere una riflessione critica sul valore reale delle criptovalute e sull’impatto ambientale che ne deriva, disincentivando pratiche non sostenibili».
Il focus, però, resta indirizzato verso le prossime normative che l’amministrazione Trump sembra essere decisa a prendere. Un primo segnale si è avuto con la nomina di una task forse sulle criptovalute alla Securities and Exchange Commission. Annunciata direttamente dal presidente facente funzioni Mark Uyeda, avrà lo scopo di “sviluppare un quadro normativo completo e chiaro per le criptovalute” affrontando anche le problematiche relative alla registrazione delle monete. Un vero e proprio cambio di rotta rispetto all’atmosfera che si respirava durante la precedente amministrazione Biden. L’allora presidente della SEC Gary Gensler, infatti, era unanimemente riconosciuto come un nemico del settore delle criptomonete.