L’ultimo rapporto Inapp, l’Istituto per l’analisi delle politiche pubbliche, presentato alla Camera, restituisce la fotografia di un Paese a due velocità. Da una parte l’occupazione, dopo la pandemia, è tornata a tirare. Dall’altro però il mercato del lavoro italiano fa registrare ancora “elevate criticità”, dovute in primo luogo alla inattività di giovani e donne e al “mismatch” tra domanda e offerta. E la distanza rispetto alla media europea rimane alta. Di questo abbiamo parlato con il presidente dell’Inapp, Natale Forlani.
Un milione di occupati in più e un milione di disoccupati in meno nel post-Covid. Ma servono altri 3 milioni di posti per portare l’Italia alla media Ue. Come commenta lei questi dati?
«La fotografia è corretta, cioè stiamo migliorando ma potremmo fare di più: la domanda di lavoro è più alta rispetto all’offerta disponibile ma ci sono dei colli di bottiglia che impediscono di ridurre il numero delle persone inattive. La comparazione con l’Europa ci fornisce alcune indicazioni interessanti su come e dove mobilitare le risorse finanziarie, tecnologiche e umane per aumentare i posti di lavoro. ad esempio, abbiamo un grosso deficit di occupati nell’area della domanda di lavoro che è influenzata dalla spesa pubblica per gli investimenti in infrastrutture, per la sanità, l’assistenza e l’istruzione per un equivalente di 2,3 milioni di occupati a parità di popolazione rispetto alla media dei paesi europei. Negli ultimi 15 anni, abbiamo spendere circa 800 miliardi in più di risorse pubbliche per sostenere i redditi con risultati modesti anziché investirli in modo produttivo».
A livello occupazionale sorprende, forse, l’aumento nelle regioni del Mezzogiorno (+4,2%) che risulta superiore a quello delle regioni del Nord (+1,8%). Stiamo finalmente superando quel gap tra le due Italie di cui tanto si parla da tempo?
«Il segnale è positivo perché era da vent’anni che il Mezzogiorno non dava una crescita in percentuale più alta rispetto alle Regioni del Centro-Nord. Ma per ridurre la distanza del tasso di occupazione, ancora del 18% , è necessario avere una crescita duratura nel tempo. Nel Mezzogiorno sono concentrate i due terzi delle persone disoccupate o inattive in età di lavoro. Nonostante la crescita dell’occupazione, proseguono le migrazioni dei giovani meridionali verso le regioni del settentrione. Sulla carta le potenzialità di sviluppo delle regioni del Sud in termini di infrastrutture e servizi, in primis quelli sanitari e turistici, e di valorizzazione dei prodotti agricoli sono elevate. In questa direzione , il contributo del Pnrr anche nel breve periodo può essere decisivo. La crescita degli investimenti e del tasso di utilizzo delle tecnologie digitali, deve essere accompagnata da programmi rivolti a rafforzare le competenze dei lavoratori dato che la difficoltà delle imprese di reperire i profili qualificati risulta elevata anche nel Mezzogiorno»

Natale Forlani-presidente Inapp foto Imagoeconomica
I nuovi posti di lavoro sono equamente distribuiti in termini di genere: +532mila maschi e +511mila donne ma siamo ancora lontani dal risolvere il gender gap che affligge il nostro Paese da oltre un secolo?
«Cerchiamo di vedere il lato positivo. Il fatto che crescano nel lavoro le donne come gli uomini è una novità assoluta che stimiamo possa replicarsi anche nei prossimi anni. Le donne sono in diversi ambiti anno percorsi di formazione più solidi rispetto a quelli degli uomini ma scontano due difficoltà: una serie di stereotipi che impediscono la valorizzazione professionale delle risorse femminili, la carenza di servizi di cura che complicano la possibilità di conciliare i carichi lavorativi con quelli familiari. Una ricerca Inapp del 2023 mette in evidenza che il 18% delle uscite lavorative e il 40% delle dimissioni volontarie delle donne sono motivate dalla carenza di servizi di cura».
Come incentivare il lavoro nei giovani?
«Nonostante la riduzione demografica delle persone in età di lavoro il tasso di occupazione dei nostri giovani risulta inferiore del 10% rispetto alla media dei paesi europei. Una criticità legata ad alcuni fattori, in particolare allo scollamento dei percorsi formativi rispetto a quelli lavorativi e alla carenza di un adeguato sistema di orientamento in grado di aiutare l’inserimento lavorativo in uscita dai percorsi scolastici e universitari. Il ricambio generazionale risulta indispensabile per rigenerare la popolazione attiva, dato che nei prossimi 15 anni il numero delle uscite di lavoratori anziani per motivi di pensione sarà di gran lunga superiore a quello dei potenziali ingressi di giovani nel mercato del lavoro. Il tasso di innovazione tecnologica dipende dalla capacità di utilizzare le tecnologie digitali che risulta più elevata nelle giovani generazioni».
Il tasso di inattività (33,6%) continua a rappresentare lo zoccolo duro. Supera di 10 punti la media Ue per i giovani under 35 e raggiunge il picco del 58,2% per le donne del Mezzogiorno. Come mai ci troviamo in questa situazione?
«Per diversi fattori. Come ricordato in precedenza pesano i divari territoriali sulla crescita dell’economia e la carenza dell’offerta formativa rispetto ai fabbisogni professionali. anca l’attrattività al lavoro. La stagnazione dei salari reali, riduce il livello di attrattività della domanda di lavoro. L’Ocse stima una perdita del 6,9% dei salari reali italiani (dati al primo trimestre 2024 rispetto al 2019) e un ulteriore aumento della distanza rispetto alla media dei Paesi sviluppati motivata, in particolare, dalla bassa crescita della produttività. In troppi comparti di attività la scarsità degli investimenti si associa con un’elevata quota di lavoro sommerso e con una redditività delle imprese che dipende essenzialmente dalla riduzione del costo del lavoro».
Nel 2024 le difficoltà a trovare figure qualificate risulta davvero imponente, salita al 47%, +22,5 punti percentuali rispetto al dato medio del 2019. A cosa si deve il fenomeno? E soprattutto come porvi rimedio?
«La crescita della difficoltà di reperimento delle risorse umane coerenti con i fabbisogni professionali è il frutto della combinazione di diversi fattori. Alcuni li abbiamo già evidenziati nella carenza dell’offerta formativa rispetto alla evoluzione delle tecnologie e delle organizzazioni del lavoro. Un secondo fattore, molto importante anche quantitativamente, è rappresentato dalla ridotta propensione dei giovani a svolgere le mansioni esecutive anche qualificate e specializzate, frutto di un mutamento dei valori che orientano i comportamenti. In molti casi gli stereotipi non sono nemmeno motivati, dato che le tecnologie stanno modificando la qualità delle professioni esecutive. La scuola deve preparare al mondo del lavoro. Se i giovani sono disorientati e non sanno cosa fare è un bel problema. La pervasività delle tecnologie digitali in ogni ambito della vita sta modificando i confini tradizionali tra i percorsi educativi, formativi e lavorativi. La tradizionale distinzione tra o percorsi teorici e quelli pratici in un mondo in costante mutamento non ha molto senso. La formazione permanente richiede il concorso numerosi attori, una capacità di dialogo tra le istituzioni scolastiche e il mondo del lavoro e un concorso attivo delle persone coinvolte».
Come giudica le politiche attive messe in campo finora dal Governo Meloni? E guardando al futuro, cosa auspicate per aumentare il lavoro e quindi il benessere economico del nostro Paese?
«Dopo la pandemia si è verificata una inversione di tendenza delle politiche del lavoro che ha attenzionato i fabbisogni produttivi e l’esigenza di sfruttare adeguatamente le nuove opportunità di lavoro che risultano superiori all’offerta di lavoratori disponibili. I risultati sono evidenti: oltre un milione di nuovi posti di lavoro rispetto al 2019, il numero degli occupati a 24,1 milioni e un tasso di occupazione record del 62,5%, che rappresentano dei record storici per il nostro mercato del lavoro. Bisogna proseguire su questa strada aumentando i livelli di impiego delle risorse finanziarie, tecnologiche e umane che sono ancora sottoutilizzati».
Nel suo intervento lo ha sottolineato anche ministro del Lavoro, Marina Calderone: la vera sfida sono le competenze, impegnarsi per avere un mondo del lavoro più efficiente e inclusivo e ridurre le diseguaglianze che permangono.