I mercati finanziari sono sempre più in fibrillazione dopo che, con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, le politiche tariffarie sono diventate realtà concreta. Non solo, a spaventare gli operatori è stata anche la velocità con cui il tycoon ha deciso di mettere in atto i suoi propositi. Su molti fronti. Su quello commerciale, in particolare , a fare notizia sono stati i dazi del 25% sulle merci importate da Messico e Canada, poi sospesi per 30 giorni dopo che i due paesi si sono impegnati per aumentare i controlli alle rispettive frontiere. Contemporaneamente i vertici di Canada e Messico hanno anche confermato l’adozione di misure per limitare l’ingresso del Fenantyl, verso il territorio statunitense. Diversa, invece la questione con la Cina, che deve far fronte a tariffe sulle importazioni del 10% e che, a differenza della altre due nazioni, ha preferito rispondere a tono con tariffe fino al 15% sui prodotti americani .
Una serie di ripicche che non lasciano esenti da rischi nemmeno le economie europee. O quasi tutte. Infatti Trump ha dichiarato che si potrebbero chiudere alcune intese per accordi con Londra che, di fatto, permetterebbero all’isola di evitare i dazi a stelle e strisce. Una possibilità dettata da più elementi che giocano a favore della Gran Bretagna. Il primo è decisamente di natura politica. Il caos e l’incertezza presenti sul panorama francese e su quello tedesco permettono allìisola oltre Manica di rappresentare un interlocutore più affidabile dal punto di vista politico.
A questo si aggiunga il fatto che il Regno Unito è fuori linea come confermato dal Primo Ministro britannico di sinistra Keir Starmer il quale, ha dichiarato ai giornalisti di aver discusso di commercio nei colloqui con Trump e di non voler schierarsi su nessuno dei due fronti della querelle tra Stati Uniti e Unione Europea. Da sottolineare, infatti, che Londra non fa più parte dell’Unione proprio grazie alla famosa Brexirt i cui effetti, spesso negativi, potrebbero presto tramutarsi in vantaggi. Altro elemento che gioca a favore di Londra è la natura dei dazi di Trump. Questi, infatti, puntano ad aumentare i prezzi delle merci in entrata da altri paesi. Londra invece, vede tra le voci principali del suo export, i servizi, in particolar modo finanziari ed assicurativi, che di fatto non risentono delle tariffe doganali.
Nel frattempo, il ministro delle finanze britannico Rachel Reeves ha evidenziato che la Gran Bretagna “non fa parte del problema” dei deficit commerciali che Trump sta cercando di correggere. Infatti la verifica dei rispettivi conti delinea un numero delle bilance commerciali quasi in pareggio. Ciò significa che Londra e Washington esportano ed importano rispettivamente prodotti e servizi quasi nella stessa quantità.
Eventuali dazi statunitensi avrebbero impatti limitati a settori come la pesca e l’estrazione mineraria. Inoltre, allargando l’analisi alla tipologia delle merci più danneggiate dalle tariffe doganali, è evidente che le conseguenze maggiori sono avvertite da settori con catene di fornitura complesse, in cui le merci e gli elementi indispensabili per assemblarle devono attraversare vari confini. Un quadro in cui non rientrano i servizi offerti dal Regno Unito che, come detto, esporta principalmente servizi bancari e di consulenza negli Stati Uniti.
Numeri alla mano, i maggiori beni esportati dal Regno Unito verso l’America sono stati automobili, medicinali e prodotti farmaceutici oltre astrumenti scientifici e aeromobili, per un valore complessivo di 25,6 miliardi di sterline (31,8 miliardi di dollari). Un valore quasi irrisorio se si guarda al saldo offerto dall’export di servizi finanziari e assicurativi, che hanno raggiunto un valore complessivo di 109,6 miliardi di sterline.
Se il Regno Unito rimanesse esente da dazi, potrebbe trovarsi in una posizione unica per attrarre investimenti, talenti e nuove partnership commerciali. Infatti Londra risulterebbe essere un hub più conveniente per le aziende che cercano di aggirare le restrizioni con un parallelo aumento dell’afflusso di investimenti e opportunità commerciali”.