Si chiamano Terre Rare ma non sono nè terre (in realtà sono metalli) e nemmeno rare perché il termine raro si riferisce, in effetti, ai giacimenti sfruttabili. In tutto sono 17 (i magnifici diciassette) e sebbene siano diventati recentemente molto famosi, in pochi li conoscono veramente. E singolarmente.
Terbio (Tb), disprosio (Dy), erbio (Er) samario (Sm) fanno parte di questo club a sua volta diviso tra Terre Rare Leggere e Terre Rare Pesanti. I primi a rendersi conto dell’importanza di questi materiali per il settore tecnologico sono stati i cinesi. Gli USA, per quanto attrezzati, hanno registrato un gap notevole in confronto a quanto fatto da Pechino.
I numeri
La conferma nei numeri. La Cina, infatti, è il primo produttore mondiale con 240mila tonnellate prodotte (70% del totale), + 6% alla voce export. Dall’altra parte, invece, gli Usa per il 2024 non sono andati oltre le 43mila tonnellate. Un gap che, però, l’amministrazione Trump potrebbe parzialmente colmare. Non è un caso che altro paese nel mirino di Trump, il Canada, possegga 14 milioni di tonnellate di terre rare. Guardando alle spalle, l’amministrazione Biden a giugno del 2022 diede vita alla Minerals Security Partnership per rafforzare le catene di approvvigionamento in vista della transizione energetica. L’intenzione era anche quella di ottimizzare i lunghi processi di purificazione degli elementi (vero tallone d’Achille della catena di approvvigionamento) dal momento che rischiano di essere svolti fuori dai confini nazionali.
La strategia di Washington
Evidentemente anche fattori come questi hanno contribuito a convincere Washington a cambiare strategia e a sfruttare quell’immenso forziere rappresentato dalle riserve dal 2,6 miliardi di tonnellate presente nel territorio ucraino. Non solo ma gli analisti devono aver preso in considerazione anche le proiezioni che parlano di una crescita del mercato delle terre rare, attualmente valutato intorno agli 11 miliardi, e che dovrebbe arrivare a superare i 21,5 nel 2031 con un aumento del 7,4% l’anno. Ma sull’Ucraina, e in particolare sulle miniere del Donbass, hanno messo gli occhi anche i russi che non si sono lasciati sfuggire i 12.400 miliardi di dollari di valore complessivo di giacimenti energetici, metalli e minerali presenti nelle zone dell’Ucraina di cui hanno il controllo.
A questo si aggiunge anche l’analisi dell’Institute of Geology, secondo cui l’Ucraina possiede quantità rilevanti di terre rare come il lantanio e il cerio e 500.000 tonnellate di litio (quest’ultimo nelle zone del centro, est e a sud-est) mentre secondo il World Economic Forum, l’Ucraina è anche un potenziale fornitore chiave di titanio (nelle zone nord-occidentale e centrale), berillio, manganese, gallio, zirconio, grafite (20% delle riserve mondiali), apatite, fluorite e nichel.
Le difficoltà normative
Ma al di là di questo restano sullo sfondo difficoltà normative. In considerazione di un panorama legislativo devastato dalla guerra, nonostante la forza lavoro altamente qualificata di Kiev, le infrastrutture sviluppate che erano presenti sul territorio sono andate distrutte. Non solo, ma gli USA dovranno anche fare i conti con una serie di processi normativi inefficienti e complessi per chi vuole investire. Il tutto senza tener conto di un altro elemento importante: lo stato delle analisi dei terreni che potrebbero contenere i giacimenti e i progetti ad essi legati. Lo studio e l’individuazione, infatti, potrebbero richiedere grandissimi investimenti e anni per essere sviluppati.
Ed è qui che si delinea un grande punto interrogativo: Kiev ha quello che Trump crede di poter ottenere?
Il punto interrogativo
Di fatto l’inquilino della Casa Bianca ha parlato di terre rare intendendo secondo i suoi collaboratori, “materiali critici” come la grafite (che non fa parte delle terre rare ma, appunto, dei materiali critici) indispensabili per il settore tecnologico più ampio. Ma, dati i tre anni di guerra, i dati in possesso delle varie intelligence, non sono aggiornati e particolareggiati. Inoltre non sembra essere chiaro il potenziale effettivo dei depositi minerari ucraini, la loro accessibilità ed eventualmente la convenienza economica e la potenzialità di sfruttamento.