Il calcio, nella sua essenza più pura, è competizione e passione ma quando i confini continentali si dissolvono e i migliori club del pianeta si sfidano per la corona mondiale, l’emozione raggiunge vette ineguagliabili.
Il Mondiale per Club FIFA, tanto discusso all’inizio della sua presentazione, da sempre vetrina del meglio del calcio di club, si appresta a vivere una rivoluzione epocale con l’edizione del 2025.
Un torneo ripensato, ampliato e pronto a incendiare i cuori degli appassionati di ogni angolo del globo, ospitato nella vibrante cornice degli Stati Uniti d’America. Questa non è solo un’espansione di un torneo esistente; è la genesi di un nuovo capitolo nella storia del calcio intercontinentale, un evento che promette di ridefinire la gerarchia globale tra club e di offrire uno spettacolo senza precedenti.
Mondiale per club 2025: un’evoluzione necessaria
Il palcoscenico di questa storica edizione saranno gli Stati Uniti d’America dal 14 giugno al 13 luglio, una scelta tutt’altro che casuale. Attraverserà gli States in 12 città simbolo a partire da Miami per chiudere la finale evento a New York.
Con il paese già proiettato verso l’organizzazione del Mondiale FIFA 2026, il torneo del 2025 rappresenta un’opportunità cruciale per testare infrastrutture, capacità organizzative e generare un’ondata di entusiasmo calcistico.
Il cuore pulsante della riforma risiede nel nuovo format: si passerà da un torneo con un numero esiguo di partecipanti a una competizione maestosa che vedrà sfidarsi ben 32 squadre. La formula adottata prevede una fase a gironi, con 8 gruppi composti da 4 squadre ciascuno. Le prime due classificate di ogni girone accederanno alla fase a eliminazione diretta , a partire dagli ottavi di finale, fino alla tanto attesa finalissima che decreterà il campione del mondo per club.
Questa struttura garantisce un numero maggiore di partite di alto livello e la possibilità di assistere a scontri inediti tra scuole calcistiche diverse.
La composizione delle 32 squadre è un vero e proprio mosaico globale di talento. I criteri di qualificazione, come dettagliato sul sito della FIFA, premiano la performance e la costanza a livello continentale:
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UEFA (Europa): 12 squadre qualificate in base alle loro prestazioni nella UEFA Champions League nelle stagioni precedenti (le ultime vincitrici e le migliori squadre nel ranking).
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CONMEBOL (Sud America): 6 squadre qualificate con criteri simili, basati sulla Copa Libertadores.
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AFC (Asia): 4 squadre qualificate attraverso la AFC Champions League.
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CAF (Africa): 4 squadre qualificate tramite la CAF Champions League.
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Concacaf (Nord e Centro America e Caraibi): 4 squadre qualificate attraverso la Concacaf Champions Cup.
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OFC (Oceania): 1 squadra qualificata attraverso la OFC Champions League.
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Paese Ospitante: 1 posto riservato (potrebbe essere una squadra campione nazionale o con particolari meriti).
L’impatto trasformativo sul calcio mondiale
L’introduzione del Mondiale per Club FIFA 2025 non è un semplice cambiamento di formato; è un evento destinato a generare un impatto profondo e duraturo sul panorama calcistico globale.
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E per gli Stati Uniti sarà un banco di prova di livello. Nel giro di due anni gli States apriranno le porte a questa manifestazione per poi tornare alla carica nel 2026 con laCoppa del Mondo organizzata insieme a Messico e Canada. Due tornei che avranno un effetto sull’economia del Paese, con un impatto – come riportato da uno studio FIFA– che ammonterà a 47 miliardi di dollari (più o meno 43 miliardi di euro). Il report è stato realizzato tramite uno studio congiunto di FIFA e WTO ed è stato sviluppato da OpenEconomics.
Un business importante
L’ultima volta che gli Stati Uniti hanno ospitato un evento calcistico di questo livello è stato nel lontano 1994, un’altra epoca in pratica dal punto di vista economico e sportivo. I prossimi due Mondiali saranno un’occasione di business importante e, sempre secondo lo studio, l’impatto economico complessivo del Mondiale per Club viene stimato intorno ai 17,1 miliardi di dollari con una ricaduta da 9,6 sul Pil Nazionale americano.
Il torneo avrà anche un impatto rilevante sull’occupazione con una previsione di circa 105.000 nuovi posti di lavoro. I numeri sono di spessore anche per il Mondiale legato alle Nazionali con un impatto da 30,5 miliardi di dollari e con una ricaduta sul Pil da 17,2. Con previsioni super positive anche per quanto riguarda la creazioni di posti di lavoro, stimati in 185.000.
La FIFA di Gianni Infantino è pronta ad aprire il sipario sul nuovissimo Mondiale per Club con, come appena scritto, numeri da record: dall’affluenza totale ai posti di lavoro generati, fino ai costi della manifestazione e al ritorno sociale sugli investimenti.
Alla luce di dati e numeri da capogiro, abbiamo sentito Marcel Vulpis, direttore dell’Agenzia Sporteconomy per avere un quadro generale e approfondire, non solo le cifre ma l’intero business del Mondiale per club che sta per andare in scena proprio negli Stati Uniti di Donald Trump.
Foto: Marcel Vulpis, Direttore Sporteconomy
Il nuovo Mondiale per Club targato FIFA, ci racconti la genesi della riforma?
«L’idea nasce dalla volontà della FIFA di creare un format internazionale che coinvolga i migliori club del mondo. Si tratta di una competizione che si terrà dal 14 giugno al 13 luglio, con partite in una decina di grandi città statunitensi. Parliamo di ben 32 squadre, molte delle quali tra le più blasonate del panorama mondiale.
Tra queste, ci saranno anche club europei di primissimo piano, come Inter e Juventus. Per loro, come per gli organizzatori, si tratta di una grande opportunità di business. In questa prima edizione, ad esempio, l’UEFA sarà rappresentata da ben 12 squadre. Quindi, una sorta di “super elite” del calcio internazionale.
La FIFA punta a rendere questo nuovo Mondiale per Club un appuntamento annuale sempre più attrattivo, sia per i tifosi che per i broadcaster. L’obiettivo è un mix tra valorizzazione sportiva e premi economici. I club verranno selezionati anche in base ai risultati ottenuti nei rispettivi continenti — Europa, Asia, Africa e CONCACAF — ma anche in base alla dimensione della fanbase e al potenziale commerciale».
È un’opportunità importante anche per il calcio italiano?
«È un’occasione per il calcio italiano di farsi notare a livello globale, ma anche di recuperare terreno rispetto a club di altri paesi — come quelli spagnoli, inglesi o il Bayern Monaco — che hanno avviato processi di internazionalizzazione ben più strutturati negli ultimi 10-15 anni.
La FIFA incentiva la partecipazione mettendo in piedi un sistema premiante molto generoso. Parliamo di 29 giorni di gare, 63 partite totali, con la finale prevista al MetLife Stadium di New York. I match si disputeranno in 12 città americane, da nord a sud, dalla Florida al New Jersey. Si tratta di un evento che promuove il calcio in un mercato in espansione come quello statunitense, dove la Major League Soccer sta già crescendo in modo importante.
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Bisogna sapere che la Major League Soccer, oggi, è già tra i primi 8 campionati al mondo per valore commerciale, includendo diritti TV, sponsorizzazioni, merchandising e altro. Secondo alcuni esperti, nel giro di 10-15 anni potrebbe addirittura superare la Ligue 1 francese.
Il Mondiale per Club rappresenta quindi un enorme booster per promuovere il calcio in America, soprattutto in vista dei Mondiali 2026 che si giocheranno tra Stati Uniti, Canada e Messico. L’obiettivo è accelerare il processo di allineamento del mercato americano agli standard del calcio internazionale, superando un’impostazione “socceristica” troppo legata al modello statunitense».
Si cerca di replicare nel calcio il successo commerciale di altri sport come NBA o NFL?
«Negli Stati Uniti, il modello sportivo è altamente orientato al marketing e al ritorno economico. Questo ha già portato grandi risultati con NBA, NFL e MLB. Ora si vuole fare lo stesso con il calcio.
L’MLS ha un enorme potenziale, ma non è ancora al livello dei giganti. Tuttavia, se il calcio diventa un prodotto d’intrattenimento competitivo — o anche solo complementare — agli altri sport americani, allora può conquistare l’interesse di grandi inserzionisti, broadcaster, piattaforme streaming e sponsor internazionali».
In questo scenario, i mercati come quello europeo che ruolo hanno?
«Mercati come l’Italia o l’Europa occidentale sono ormai “maturi”, cioè con margini di crescita molto più contenuti. Paradossalmente, è più probabile che il valore dei diritti TV cali qui piuttosto che salire.
Al contrario, mercati emergenti come l’America, l’Asia o il Medio Oriente — pensiamo ad esempio all’Arabia Saudita — sono affamati di calcio e rappresentano il futuro. Per la FIFA, ha perfettamente senso puntare su di loro, portando eventi globali in quei territori».
L’impatto economico previsto è enorme, possiamo definire reali le cifre date di 9,6 miliardi di ricaduta sul Pil americano per esempio?
«Alcuni numeri fanno discutere. Si parla di un impatto complessivo di 17,1 miliardi di dollari, con una ricaduta di 9,6 miliardi sul PIL americano. Sono dati straordinari, forse fin troppo ottimistici.
Quel che è certo è che il montepremi è reale: 1 miliardo di dollari. E questa cifra è sostenuta da un accordo altrettanto enorme, Dazn ha acquistato i diritti esclusivi del torneo per la stessa cifra — un miliardo.
Poi, tramite sub-licenze, Dazn sta cercando di rivendere i diritti in altri paesi, come ha fatto in Italia con Mediaset per trasmettere alcune partite in chiaro. L’obiettivo è rientrare dell’investimento — e magari generare profitti — grazie alla pubblicità.
Dal punto di vista della FIFA, oltre ai diritti televisivi c’è anche il tema del ticketing, dei ricavi da botteghino e da sponsorizzazione. Alcuni analisti parlano di un possibile incasso complessivo di 2,5 miliardi di dollari, un’ipotesi verosimile considerando la durata dell’evento e il valore dei 32 club coinvolti.
Ciò rappresenta un surplus importante per la FIFA. Tuttavia, con la nascita di nuovi format come questo, si rischia di impoverire i campionati nazionali. La “torta pubblicitaria” — ovvero la somma complessiva degli investimenti di broadcaster e sponsor — non si espande automaticamente. Se grandi eventi internazionali come questo attirano una fetta sempre più ampia, è inevitabile che i campionati locali ne risentano.
Insomma, meglio vedere Juventus–Real Madrid che Juventus–Parma, con tutto il rispetto per il Parma. Lo spettatore oggi cerca lo spettacolo, il match di cartello. Se format come questo crescono, offrono show ad alto livello tecnico e televisivo. Ma allo stesso tempo, i campionati locali rischiano di perdere interesse e valore economico.
Lo stesso De Siervo, amministratore della Lega Serie A, ha recentemente lanciato l’allarme su questo tema. Perché non è che creando dieci nuovi format magicamente crescano anche i soldi a disposizione nel mercato. La realtà è che gli sponsor e i broadcaster spostano il budget da un contenuto all’altro».
Quindi si potrebbe arrivare a un campionato a parte, una sorta di Superlega?
«Di fatto, questo Mondiale per Club è già una Superlega, concentrata in un mese. I club partecipano perché l’impatto economico è altissimo. Un club come Inter o Juventus, anche solo arrivando agli ottavi, può incassare oltre 35 milioni di dollari.
E se si aggiungono i ricavi da Champions League, tournée internazionali, stadio sempre sold out… ecco che il valore della produzione dei top club italiani può aumentare sensibilmente.
Ma questo rischia anche di allargare il divario interno: i top club italiani diventeranno sempre più forti e ricchi, mentre quelli più piccoli avranno a disposizione solo il mercato domestico. E se non riescono a salire in Serie A, trovare una sostenibilità tra Serie B e Serie C diventa davvero difficile».
L’incertezza economica legata ai dazi annunciati e poi bloccati da Trump può influire su eventi come questo?
«La sospensione dei dazi per 90 giorni limita temporaneamente l’impatto. Il Mondiale per Club, che termina il 13 luglio, non dovrebbe subire effetti diretti.
È un prodotto d’intrattenimento con contratti già firmati: diritti TV, sponsor, organizzazione logistica, tutto è stato definito. Anche se dovessero esserci effetti negativi su alcuni brand, eventuali ripercussioni si vedrebbero nel medio-lungo periodo, magari sul Mondiale 2026 o sulle Olimpiadi 2028».
Eventuali danni economici per le aziende sponsor potrebbero riflettersi sull’evento?
«Solo in casi molto specifici. I contratti pubblicitari non riguardano la vendita diretta di prodotti, ma l’esposizione del marchio. Quindi è difficile che un’azienda esca da un contratto già firmato. Potrebbero esserci rinegoziazioni come avvenuto durante la pandemia, ma niente di drammatico».
Come si presentano Inter e Juventus a questo appuntamento, anche dal punto di vista economico-finanziario?
«Oggi i club italiani stanno attraversando una fase di ristrutturazione finanziaria. Nessuno di loro è in una situazione particolarmente florida, ma questo è vero anche per molti top club europei: il debito è diffuso.
La chiave è il fatturato: finché cresce, anche l’indebitamento può essere gestito. Il problema nasce quando il fatturato cala, magari per mancanza di qualificazione in Champions League. Un top club italiano, se vuole mantenere competitività, deve partecipare con continuità ai grandi tornei.
Oggi, quei quattro posti in Champions sono una sorta di “biglietto per l’Arca di Noè”. Chi resta fuori rischia di scivolare indietro. L’Europa League o la Conference League, purtroppo, non sono comparabili né per prestigio né per ricavi.
Se arrivi in finale al Mondiale per Club e vinci la Champions League nello stesso anno, puoi superare tranquillamente i 250 milioni di euro di fatturato solo da quelle due competizioni.
In Italia non esiste un mercato interno capace di generare cifre simili — almeno finché non tornano grandi star nel campionato. Ecco perché per i club italiani è vitale esserci e restarci».