Dopo l’incontro di giovedì scorso tra il presidente Usa Donald Trump e la premier italiana Giorgia Meloni si aprono possibili spiragli di trattative tra Usa ed Ue sui dazi. Trattative che, per quanto possibili, non prevedono l’attuazione di quello zero per zero, ovvero annullamento reciproco delle tariffe, proposto dalla Meloni. Resta sullo sfondo, però, la tensione per le conseguenze di un quadro a tinte fosche e soprattutto dall’andamento imprevedibile. Giovedì, infatti la banca centrale europea ha confermato un nuovo taglio dei tassi. Si tratta del terzo dall’inizio del 2025 e del settimo da giugno 2024. Christine Lagarde, numero uno della BCE ha annunciato il taglio al 2,25% dal precedente 2,5%. Alla base della decisione le turbolenze e la guerra, ormai mondiale, sui dazi, che hanno creato un’incertezza diffusa e alimentato nuovi timori sulla crescita economica della zona euro.
Le prospettive del commercio globale sono “fortemente peggiorate” a causa dell’incertezza sui dazi di Trump. A dichiararlo sono i vertici dell’OMC l’Organizzazione mondiale del commercio nel suo ultimo rapporto “Global Trade Outlook and Statistics” in cui afferma che “Le prospettive del commercio globale sono peggiorate drasticamente a causa dell’aumento delle tariffe e dell’incertezza sulle politiche commerciali”.
Questo è solo l’ultimo in ordine di tempo, di una lunga serie di allarmi lanciati dalle istituzioni finanziarie e politiche internazionali dall’entrata in vigore dei dazi voluti dal presidente USA Donald Trump, entrati in vigore il 2 aprile (“Giorno della Liberazione” secondo quanto dichiarato dal tycoon) ed ampiamente pubblicizzati già durante la sua campagna elettorale.
Dal Fondo Monetario Internazionale la direttrice generale del Kristalina ha provato a gettare acqua sul fuoco dichiarando, sempre nella giornata di giovedì, “Quello che vediamo in questa circostanza è un forte aumento dell’incertezza ma i fondamentali economici sono ancora piuttosto forti. Per questo nell’aggiornamento dell’outlook che pubblicheremo la prossima settimana ci saranno ribassi delle stime di crescita ma non vediamo recessione. Tuttavia più dura l’incertezza e più diventa probabile un impatto negativo sulla crescita. Al momento tuttavia vediamo che l’economia reale funziona, il mercato del lavoro è ancora alquanto forte e il sistema finanziario ha dimostrato capacità di tenuta nonostante il nervosismo attuale e questo perché dopo la grande crisi finanziaria è stato fatto molto proprio per prepararsi a momenti come questo”.
Nei giorni scorsi si è anche aperto un altro fronte, ovvero le tensioni, mai sopite, tra il presidente Usa e il governatore della Federal Reserve Jerome Powell. Il primo, infatti, non sembra aver gradito le dichiarazioni di Powell secondo cui la banca centrale statunitense potrebbe trovarsi di fronte a un dilemma tra il controllo dell’inflazione e il sostegno alla crescita economica. Per quanto riguarda l’andamento delle politiche monetarie, lo stesso Powell ha dichiarato che “per il momento siamo ben posizionati per attendere maggiore chiarezza prima di prendere in considerazione eventuali modifiche alla nostra posizione politica”.
Non solo ma a differenza di quanto affermato dal presidente USA Donald Trump, il numero uno della Fed ha invece confermato un progressivo rialzo dell’inflazione a causa dei dazi pur sottolineando che è difficile isolare gli effetti delle imposte sugli aumenti dei prezzi. In altre parole le incertezze che si stanno creando all’orizzonte sono tali e tante che la Fed dovrà capire di volta in volta a quali prestare maggiore attenzione e su quali intervenire.
Una politica che l’inquilino della Casa Bianca ha criticato aspramente chiedendo a gran voce, invece il taglio immediato dei tassi sulla falsa riga di quanto fatto dalla BCE. Dal WSJ sono contemporaneamente filtrate indiscrezioni secondo cui Trump potrebbe aver preso contatto con l’ex governatore della Fed Kevin Warsh considerandolo un possibile successore di Powell. Laconica la risposta di Warsh che ha invece suggerito al tycoon di non licenziare Powell ed attendere la naturale scadenza del mandato prevista per il 2026.
Una serie di contraccolpi che sembrano avere una sola origine: la politica dei dazi di Trump. Ma cosa è successo?
Il 2 aprile è entrata in vigore la legge che istituisce tariffe commerciali su vari beni commerciali, tariffe che cambiano non solo a seconda del paese di provenienza ma anche della merce di riferimento. Infatti mentre per la Gran Bretagna non si va oltre il 10% e per l’Europa il 20%, per il Giappone si parla del 34% e per la Cina si parte dall’84% che, a seconda dei casi, arriva al 125% con punte, successivamente, del 145%. Sì, perché il tycoon da quel 2 aprile ha cambiato varie volte idea. Dallo stop di 90 giorni deciso qualche giorno più tardi, anche a fronte di un sell off sui Treasury USA a lunga scadenza che ha fatto allarmare gli analisti dal momento che i titoli di stato USA sono da sempre nell’Empireo dei beni rifugio, fino ad arrivare alla cancellazione delle tariffe per alcune voci. Di qualche giorno fa la decisione di esentare il settore tecnologico con smartphone ed iPhone. Un regalo, solo apparente, a quei magnati della Silicon Valley che grande parte ebbero durante la sua campagna elettorale. Regalo a tempo determinato perché Trump aveva già annunciato che questa esenzione sarebbe stata solo temporanea. Una decisione di fronte alla quale alcuni hanno visto un possibile assist del tycoon a Pechino, patria della maggior parte degli impianti di produzione di device e microchip.
Tutte strategie che, invece, sembrano aver creato più confusione che incertezza. Infatti nella tempesta gli altri paesi hanno adottato una strategia di difesa basata a sua volta, su dazi reciproci. Non ultima la Cina che si è vista come bersaglio preferito dalle politiche protezioniste della Casa Bianca. Da qui la decisione di bloccare l’export e la vendita di terre rare, minerali critici e magneti, tutti elementi essenziali a industrie come quella dell’automotive, dei computer delle aziende della difesa ma anche indispensabili per il ramo biomedico. Inoltre su quest’ultimo grava un’altra incognita: i dazi, che finora per le medicine sono stati al minimo quando addirittura assenti, potrebbero essere equiparati a quelli del resto delle merci. In conclusione, considerando il sistema sanitario statunitense molti farmaci potrebbero avere un costo proibitivo.
Da parte sua, intanto, la Cina ha istituito un sistema di licenze speciali per l’export di terre rare e magneti, sistema che, stando a quanto riferito dal NYT, al momento è fermo.
Ma nel vortice delle giravolte di Trump sono incluse anche le auto europee: anche per loro è probabile sia in arrivo uno stop ai dazi. Il motivo? Dare tempo ai produttori di autoveicoli di spostare la produzione in territorio statunitense. Considerate le principali responsabili della crisi del settore auto a stelle e strisce, soprattutto le auto tedesche, accusate di invadere il mercato USA, ora auto e componenti importati da Europa, Corea del Sud e altri Paesi alleati potrebbero essere a loro volta esentati. La Cina resterebbe ancora nella black list e per questo motivo molti considerano la scelta del presidente come una mossa tattica per allentare le tensioni politiche con gli alleati ma anche per isolare Pechino dalla rete di nuove partnership economiche che il Dragone ha deciso di stringere e rafforzare proprio in virtù dei dazi USA.
Ma le decisioni (e le controdecisioni) del presidente stanno iniziando ad avere ripercussioni anche sul piano politico. Infatti il governatore della California è pronto a fare causa al presidente accusato di aver attuato senza averne l’autorità, un programma commerciale protezionistico .“Donald Trump non ha l’autorità di imporre unilateralmente il più grande aumento delle tasse della nostra epoca con i suoi dazi distruttivi”, ha scritto il governatore della California Gavin Newsom su X. “Lo porteremo in tribunale”. Al centro del contendere l’uso da parte di Trump dell’International Economic Emergency Powers Act, da lui recentemente invocato ma il cui uso è stato giudicato come “illegale e senza precedenti2. Non solo ma la strategia dei dazi ha creato “danni immediati e irreparabili alla California, lo stato con la maggiore economia, produzione e agricoltura della nazione”.