I mercati tentano di ritrovare stabilità dopo le ultime notizie relativamente rassicuranti riguardanti l’avvio di negoziati tra USA e Cina e un primo accordo commerciale tra Washington e Londra. Sullo sfondo, invece, restano i timori sollevati dalle ultime parole del governatore della Fed Jerome Powell che in occasione della conferenza stampa che segue la riunione mensile del FOMC il braccio operativo della banca centrale statunitense, ha sottolineato il pericolo di una possibile stagflazione.
Ieri la Federal Reserve statunitense ha mantenuto invariato il suo tasso di interesse in un intervallo compreso tra il 4,25% e il 4,5%, tasso che resta allo stesso punto da dicembre. Contemporaneamente, però, ha lanciato un primo allarme: i dazi potrebbero avere un effetto negativo sull’economia. Un allarme che nasce dopo le dichiarazioni di marzo quando il problema delle tariffe si stava ampiamente delineando già a livello mondiale. Proprio in virtù di questo dato i responsabili delle politiche della Fed si stavano preparando già dalla riunione di marzo all’impatto rivedendo al rialzo le previsioni sul fronte inflazione e al ribasso quelle economiche statunitensi.
Il presidente Donald Trump, però, ad aprile ha sorpreso tutti con livelli tariffari anche più alti di quanto ipotizzato. A peggiorare la situazione si è registrata una serie di ripensamenti, cancellazioni, rielaborazioni e posticipazioni delle politiche protezioniste che hanno confuso i mercati e reso impossibile fare previsioni sul medio termine. Un quadro che il governatore della banca centrale USA ha dipinto senza usare metafore durante l’ultima conferenza stampa di ieri nella quale ha attribuito la responsabilità direttamente ai dazi di Trump, affermando che “probabilmente” causeranno un’inflazione più elevata, una crescita economica più lenta e una maggiore disoccupazione. Non solo, sempre durante il colloquio con i giornalisti, Powell non ha esitato a parlare di stagflazione sottolineando che i dazi “reciproci” di Trump erano “sostanzialmente superiori alle aspettative”.
Parole che potrebbero non essere prese in considerazione dal tycoon il quale ha già reso noto che i prossimi negoziati con la Cina saranno eventualmente avviati senza un ribasso dell’attuale livello dei dazi sui prodotti in arrivo da Pechino, livello che si attesta intorno al 145% anche se alcuni valori cambiano a seconda della tipologia merceologica. Buone notizie, però, arrivano per il settore tecno e sempre legate all’andamento delle politiche sui dazi. Infatti l’amministrazione Trump si preparava ad abrogare la cosiddetta “regola sulla diffusione dell’IA” che, approvata durante il governo Biden, suddivide i paesi in tre fasce, ognuna con restrizioni diverse per l’invio e il commercio dei chip dedicati all’AI.
Intanto Arm tra i maggiori produttori di chip, ha pubblicato previsioni inferiori alle aspettative per il trimestre in corso con un utile per azione compreso tra 30 e 38 centesimi invece dei 42 centesimi previsti dagli esperti. Un altro grande indicatore del commercio internazionale, il colosso delle spedizioni Maersk, ampiamente considerato il barometro del commercio globale, ha ridotto le previsioni sul proprio mercato di riferimento a causa delle tensioni commerciali tra USA e Cina. Infatti la crescita del volume del mercato globale dei container è stata rivista in calo tra l’1 e il 4% “data la crescente incertezza macroeconomica e geopolitica”.
Sempre sul fronte dazi, fonti di stampa statunitense poi confermate dallo stesso Trump, hanno parlato di un imminente accordo commerciale tra Washington e Londra, finora risparmiata relativamente dalla politica delle tariffe commerciali ferma al 10% visto il non eccessivo squilibrio della bilancia commerciale. La Gran Bretagna è perciò il primo Paese a chiudere ufficialmente un accordo dopo l’avvio delle tariffe annunciato ad inizio aprile dalla Casa Bianca.