Gli USA rischiano di trovarsi nella tempesta perfetta sia economicamente che politicamente. Questo perché proprio oggi sono scattati gli aumenti al 50% sui dazi che gravano sulle importazioni di acciaio e alluminio, aumento deciso, secondo quanto dichiarato dal presidente USA Donald Trump che ha firmato l’ordine esecutivo, per «garantire che (le importazioni) non mettano a repentaglio la sicurezza nazionale». «Sebbene i dazi imposti finora abbiano fornito un sostegno essenziale ai prezzi nel mercato statunitense, non hanno permesso a queste industrie di sviluppare e mantenere un tasso di utilizzo della capacità produttiva sufficiente per la loro sostenibilità e alla luce delle esigenze di difesa nazionale».
Tutto questo a poche ore dall’incontro tra i rappresentanti statunitensi e quelli della Commissione europea che dovrebbe avvenire durante i lavori della riunione dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).
«Se non si raggiungerà una soluzione reciprocamente accettabile, sia le misure UE esistenti sia quelle aggiuntive entreranno automaticamente in vigore il 14 luglio, o prima, se le circostanze lo richiederanno», ha affermato un portavoce dell’UE.
L’idea del presidente, quindi, sarebbe di difendere l’industria siderurgica in un momento in cui, a fronte di importazioni internazionali, si registra un calo della domanda di acciaio e alluminio. Ma secondo alcuni analisti la scelta di imporre tariffe doganali più alte potrebbe rappresentare un pericolo anche per la stessa economia USA. Infatti i dazi potrebbero far aumentare i prezzi dell’acciaio nel mercato statunitense con conseguente aumento dei prezzi sia per l’industria che per i consumatori. Paradossalmente, nel tempo, gli europei potrebbero trarre dei vantaggi con le spedizioni di acciaio che verrebbero dirottate all’interno dei confini UE abbassando così il prezzo della materia prima.
I maggiori esportatori di acciaio verso gli Stati Uniti sono il Canada e il Messico, mentre altri importanti paesi esportatori sono il Brasile e la Corea del Sud. Il raddoppio dei dazi rappresenta un duro colpo anche per molti rappresentanti dell’industria europea in particolare Germania e Svezia. Sembra andare meglio al Regno Unito che sarà gravato solo del 25% anche se i dettagli dell’accordo commerciale tra Stati Uniti e Londra potrebbero limare ulteriormente i margini visto che lo stresso Trump ha affermato che il Regno Unito merita un “trattamento diverso” anche in virtù dell’intesa firmata ad inizio maggio. Lo scorso anno gli USA hanno rappresentato per Londra il 7% delle esportazioni totali di acciaio con un valore commerciale pari a circa 500 milioni di dollari.
Come se tutto ciò non bastasse, Trump ha dichiarato che è “estremamente difficile” raggiungere un accordo con il presidente Xi Jinping. Non più tardi di venerdì scorso Scott Bessent, Segretario al Tesoro degli Stati Uniti, aveva dichiarato che i colloqui commerciali erano “in stallo” mentre all’inizio della settimana si è prospettato un possibile colloquio tra i due leader.
Le rinnovate tensioni riguardano la presunta violazione dell’accordo commerciale raggiunto in Svizzera il 12 maggio che prevedeva la sospensione per 90 giorni della maggior parte dei dazi doganali e la revoca delle contromisure commerciali imposte dalla Cina nei confronti degli Stati Uniti dall’inizio di aprile. Secondo le accuse USA la Cina non ha allentato le restrizioni sulle esportazioni di terre rare mentre Pechino ha criticato gli Stati Uniti di aver incrementato le limitazioni della Cina verso i sistemi tecnologici USA oltre alle politiche di restrizioni sui visti per gli studenti cinesi .
Ma la Casa Bianca deve affrontare anche altre problematiche, questa volta di natura politica. Molti senatori repubblicani stanno dimostrando una sempre più ampia riluttanza ad approvare il vasto pacchetto di riforme fiscali incentivato dal presidente. La riforma, dopo aver passato per un solo voto l’esame della Camera, è ora approdata al Senato ma sono gli stessi repubblicani a nutrire forti dubbi sul progetto. Capofila inatteso delle critiche alla riforma è Elon Musk che ha definito il testo «un abominio che porterà gli USA alla bancarotta». Contrari alla riforma anche la comunità degli economisti che teme i migliaia di miliardi di dollari che potrebbero facilmente aggiungersi al già enorme debito statunitense nei prossimi 10 anni. Sotto i riflettori, infatti, le mancate coperture che non riuscirebbero ad equilibrare i buchi che si verrebbero a creare con tutti i tagli fiscali in programma. A questa obiezione la Casa Bianca ha risposto sottolineando che la legge fiscale si autofinanzierà attraverso la prevista crescita economica derivante proprio dalle agevolazioni.