Mentre l’estate si avvicina e le vigne iniziano a maturare, il settore enologico italiano si prepara a una vendemmia complessa: da un lato, i numeri promettono bene; dall’altro, si affacciano vecchie e nuove fragilità strutturali che impongono scelte strategiche.
Dopo aver riconquistato nel 2024 il primato mondiale della produzione vinicola con oltre 41 milioni di ettolitri — superando la Francia anche grazie a condizioni climatiche più favorevoli — l’Italia si trova ora a gestire un surplus produttivo che rischia di pesare sull’equilibrio del mercato. Le stime per il 2025 confermano una produzione in linea con quella dell’anno precedente, ma le giacenze, salite a 55,4 milioni di ettolitri (dati Mipaaf – febbraio 2025), rappresentano un campanello d’allarme per l’intero comparto.
Secondo l’Osservatorio UIV-Ismea, le eccedenze sono concentrate soprattutto in Veneto, Emilia-Romagna e Puglia, che da sole detengono oltre il 60% del vino in giacenza. Il Prosecco DOC, in particolare, rappresenta l’11,8% del totale nazionale, a testimonianza di quanto il boom della bolla veneta stia ora affrontando una fase di maturità e, forse, di saturazione.
Nord: tra qualità e saturazione
Nel Nord Italia, le aree a denominazione d’origine, come Langhe, Franciacorta e Trentino, puntano da anni sulla qualità e sull’export, con buoni risultati. Tuttavia, anche qui iniziano a vedersi i primi segnali di rallentamento. In occasione dell’assemblea annuale dei soci del Consorzio Doc Prosecco, il senatore Luca De Carlo, in rappresentanza del Ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, ha ammesso: «È vero, il Prosecco si vende con facilità grazie alla sua qualità riconosciuta, ma questo non basta. Servono strumenti adeguati a vigilare i mercati attuali e a conquistarne di nuovi, con competenza e visione strategica».
La Lombardia, pur in crescita nei segmenti spumantistici di alta gamma, guarda con attenzione alle nuove esigenze dei consumatori, sempre più orientati verso vini biologici e a basso contenuto alcolico.
Centro: il nodo della redditività
Nel Centro Italia, la Toscana rimane un punto fermo della viticoltura nazionale, ma anche qui le criticità non mancano. «Abbiamo bisogno di difendere la redditività delle aziende — dichiara Fabrizio Bindocci, presidente del Consorzio del Brunello di Montalcino — perché i costi aumentano, ma i margini si assottigliano”. «Il rischio è che, con mercati più prudenti, anche le etichette premium trovino meno spazio — spiega Giovanni Manetti, presidente del Consorzio Vino Chianti Classico —. In questo scenario, differenziarsi diventa fondamentale.
Nel Lazio e nelle Marche, piccoli produttori soffrono una concorrenza crescente e la difficoltà di posizionarsi sul mercato internazionale. Alcuni stanno puntando su filiere corte e vendita diretta, spesso legate all’enoturismo, che rappresenta un bacino in crescita ma ancora troppo disomogeneo.
Sud: grandi volumi e nuove sfide
Il Sud resta la locomotiva quantitativa del settore. Sicilia e Puglia, insieme, producono oltre un terzo del vino italiano. Tuttavia, molte cooperative lamentano difficoltà di sbocco commerciale e prezzi alla fonte troppo bassi. “Se non si investe in qualità e trasformazione, il Sud resterà sempre il serbatoio del vino sfuso”, afferma Massimo Corrado, vitivinicoltore del Salento.
Eppure, i segnali di cambiamento ci sono: il boom dei vini autoctoni siciliani, come il Nero d’Avola e il Grillo, e la crescita di realtà emergenti in Campania e Basilicata, stanno contribuendo a riposizionare il Mezzogiorno nel panorama internazionale. In Calabria, nuovi progetti di viticoltura eroica in aree montane mostrano come innovazione e territorio possano convivere.
Export: bene gli USA, preoccupano Europa e Asia
Le esportazioni restano una voce fondamentale: a gennaio 2025, l’export ha superato i 579 milioni di euro (+7% su base mensile), ma già a febbraio i volumi sono calati dell’1,7%. Gli Stati Uniti si confermano primo mercato, con una ripresa trainata anche dal contenimento dei dazi. In calo invece la Germania e l’Est Europa, mentre in Cina i consumi languono, anche per effetto delle politiche anti-alcol varate da Pechino.
«Dobbiamo smetterla di essere passivi rispetto ai mercati — ha dichiarato a WineNews il direttore dell’ICE Matteo Zoppas — e iniziare a investire in storytelling, formazione e relazioni”.
Enoturismo e digitale: leve per il rilancio
Nel frattempo, le aziende più dinamiche stanno diversificando. Crescono le prenotazioni per esperienze enogastronomiche, degustazioni e soggiorni in cantina: secondo Coldiretti, l’enoturismo ha generato nel 2024 un giro d’affari di 2,6 miliardi di euro. Parallelamente, l’e-commerce del vino continua ad espandersi, sebbene i margini rimangano inferiori rispetto ai canali tradizionali.
Molte aziende hanno implementato piattaforme digitali, CRM personalizzati e campagne di comunicazione sui social, soprattutto per raggiungere le nuove generazioni di consumatori.
La vendemmia 2025 sarà un passaggio cruciale. Tra crisi strutturali e slanci di innovazione, il comparto enologico italiano è chiamato a un ripensamento profondo: non solo su come produrre, ma su come raccontare e vendere il vino italiano nel mondo. La quantità, da sola, non basta più.