C’è un tema, silenzioso ma centrale, che potrebbe cambiare per sempre il rapporto tra cittadini, banche e Stato: è l’euro digitale. L’idea di una versione elettronica della moneta europea, garantita dalla BCE e accessibile a tutti, non è nuova. Ma in queste settimane il progetto ha fatto un passo cruciale: è diventato politico, oltre che tecnico.
Il vicepresidente della Banca Centrale Europea, Luis de Guindos, in un’intervista pubblicata lunedì da Reuters, ha chiarito il punto: «L’euro digitale sarà una forma di moneta pubblica, alternativa – ma non sostitutiva – del contante. L’obiettivo è rafforzare la sovranità monetaria dell’Eurozona». Il messaggio è chiaro: in un’Europa dove il 90% dei pagamenti passa attraverso circuiti privati, costruire una rete pubblica diventa una questione strategica.
Da progetto teorico a snodo geopolitico
L’idea di introdurre una moneta digitale di Stato circola dal 2020, ma è con l’avvio della fase “preparatoria”, nell’ottobre 2023, che la BCE ha deciso di accelerare. In questa prima fase, tuttora in corso, si stanno testando le infrastrutture tecnologiche, le regole di accesso e i limiti di utilizzo individuale. La soglia ipotizzata è di circa 3.000 euro a testa, per evitare che il nuovo strumento diventi un’alternativa diretta ai depositi bancari tradizionali.
Nel 2024, la BCE ha selezionato aziende europee (tra cui Nexi, Worldline, CaixaBank e Amazon per l’e-commerce) per sviluppare i prototipi. Il progetto è oggi regolato da un “manuale operativo” (Digital Euro Scheme Rulebook) che stabilisce diritti, doveri e standard tecnici per tutti gli attori coinvolti.
Ma a rallentare l’ingranaggio è il nodo politico. Il regolamento che dovrebbe istituire formalmente l’euro digitale è fermo da mesi nella Commissione Affari Economici del Parlamento europeo. Senza una cornice legislativa chiara, la BCE può fare solo preparazione tecnica. La parte decisionale spetta agli organi elettivi.
Una moneta pubblica che fa discutere
Dietro l’apparente tecnicismo, la posta in gioco è alta. Da un lato c’è la volontà di proteggere l’euro da pressioni esterne – siano esse geopolitiche, come nel caso della Cina, o commerciali, come per i giganti delle carte di credito americane. Dall’altro, emergono dubbi: quanto sarà privata questa moneta digitale? Sarà possibile usarla offline? Chi controllerà i dati?
Per Philip Lane, capo economista della BCE, l’euro digitale serve anche a evitare “coercizioni economiche” in scenari di crisi, facendo riferimento implicito alla guerra in Ucraina e alle recenti tensioni con Washington sulle piattaforme di pagamento. Il collega italiano Piero Cipollone, membro del board BCE, ha parlato di “una prima versione operativa tra fine 2026 e inizio 2027”, a patto che l’Europa riesca ad approvare il regolamento entro l’anno prossimo.
Una spaccatura politica interna
Il tema sta anche spaccando i gruppi parlamentari europei. I partiti progressisti, in particolare Verdi e Socialisti, vedono nell’euro digitale un’occasione per estendere l’accesso ai pagamenti digitali a tutta la popolazione, riducendo le commissioni per imprese e famiglie. I conservatori e alcune frange liberali, invece, temono un “controllo centralizzato” e una competizione sleale con le banche commerciali.
Sullo sfondo, la questione dell’anonimato: il contante non lascia tracce, l’euro digitale sì. Ma è davvero questo il punto? Oppure la vera partita si gioca sull’equilibrio tra innovazione e sovranità finanziaria?
Gli effetti economici: promesse e rischi
Per i consumatori, l’euro digitale potrebbe significare pagamenti istantanei, gratuiti, sicuri, anche in assenza di connessione. Per le imprese, soprattutto le piccole, sarebbe un modo per semplificare la gestione finanziaria, abbattere le commissioni e ridurre l’evasione fiscale.
Ma per le banche, il quadro è più complesso. Se milioni di cittadini trasferissero una parte dei propri risparmi in euro digitali, gli istituti di credito si ritroverebbero con minori fondi da utilizzare per prestiti e investimenti. Una perdita di raccolta che – se non compensata – potrebbe rendere più costoso il credito per famiglie e imprese.
Per questo la BCE studia soluzioni correttive: limiti individuali, meccanismi di remunerazione differenziata, cooperazione stretta con il sistema bancario. Nessuno vuole una rivoluzione: l’obiettivo è un’evoluzione ordinata.
Conclusione: l’Europa tra ritardo e ambizione
Mentre la Cina sperimenta lo yuan digitale e la Federal Reserve americana discute il digital dollar, l’Europa si trova davanti a una scelta chiave. Introdurre una moneta digitale pubblica è un’azione di forza, ma anche di fiducia: serve una governance solida, una strategia condivisa e soprattutto una visione politica all’altezza.
L’euro digitale può diventare una leva per rafforzare il ruolo dell’Europa nel mondo. Ma può anche fallire, se verrà vissuto solo come un progetto tecnico. O peggio: come un rischio da evitare. È tempo di decidere.
(Christine Lagarde, presidente BCE – foto ANSA)