L’andamento dei mercati in questi giorni di guerra aperta tra Iran e Israele ha sorpreso molti analisti. A differenza di quanto ci si sarebbe potuto aspettare, la reazione degli investitori non è stata dettata da paura ed allarme. Per quale motivo? A rispondere è Matteo Farci Financial Markets Content Specialist di Investing.com.
I mercati dopo un lunedì cauto ma positivo, hanno registrato con un leggero ritardo i pericoli in arrivo dal medio oriente. Come spiegare questo atteggiamento?
«I mercati finanziari tendono a reagire con decisione – al rialzo o al ribasso – solo quando vengono colti di sorpresa, sia in positivo che in negativo. Oggi, però, la geopolitica sembra non sorprendere più gli investitori. Nemmeno l’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina, all’epoca, aveva generato un livello di incertezza tale da provocare un crollo dei mercati: dopo una reazione iniziale, i listini si sono adattati rapidamente al nuovo scenario. Allo stesso modo, anche gli sviluppi in Medio Oriente sembrano al momento non bastare a innescare una svolta decisa. La seduta di venerdì è stata negativa ma senza un aumento significativo della volatilità; quella di lunedì, al contrario, ha mostrato un tono positivo. Sembra che gli operatori stiano attendendo segnali più forti, come ad esempio un eventuale coinvolgimento diretto di figure di primo piano – basti pensare all’ex presidente Trump – per ricalibrare le proprie posizioni in modo più netto».
Quali sono gli asset che possono trarre vantaggio da questa situazione? Quali quelli che, invece, rischiano di più?
«Se il conflitto in Medio Oriente dovesse diventare un vero e proprio market mover, alcuni asset potrebbero trarne beneficio. In primo luogo, l’oro, che verrebbe acquistato in quanto bene rifugio nei momenti di incertezza. Anche il petrolio registrerebbe dei rialzi, con effetti positivi sulle società del comparto energetico, le cui prospettive di utili migliorerebbero in un contesto di prezzi più alti. Un altro settore che potrebbe beneficiare è quello della difesa: aziende come l’italiana Leonardo potrebbero vedere un aumento dell’interesse da parte degli investitori, in previsione di una crescita della spesa militare. Al contrario, tra i settori più esposti in senso negativo troviamo senz’altro quello aereo. L’incertezza geopolitica e l’aumento del prezzo del greggio rappresentano un doppio colpo per le compagnie aeree: da un lato, l’instabilità può ridurre la domanda di viaggi e ostacolare le rotte internazionali, dall’altro l’aumento dei costi del carburante – voce di spesa primaria per il settore – incide direttamente sulla redditività delle compagnie».
Quale analisi è possibile fare sulle borse USA, in particolare sull’S&P 500?
«Al momento, come accennato in precedenza, le tensioni geopolitiche non sembrano aver turbato in modo significativo il sentiment degli investitori. Un segnale in tal senso arriva dall’indice di volatilità VIX – noto anche come “indice della paura” – che rimane vicino ai 20 punti, un livello relativamente contenuto in un contesto potenzialmente instabile. L’S&P 500, inoltre, si trova in prossimità dei suoi massimi storici, segno di una resilienza notevole del mercato statunitense. Se la conferenza stampa del presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, prevista per mercoledì, dovesse trasmettere un messaggio rassicurante ai mercati e se non dovessero emergere ulteriori escalation dal fronte geopolitico, non sarebbe sorprendente vedere l’indice spingersi nuovamente verso nuovi massimi».
Oro, petrolio, dollaro: quali prospettive per questi tre asset?
«Le prospettive di oro e petrolio restano fortemente legate all’evoluzione del contesto geopolitico. Un aumento dell’incertezza globale favorirebbe entrambi gli asset, seppur per motivi diversi: l’oro verrebbe acquistato in quanto bene rifugio, come avviene storicamente nei periodi di tensione, mentre il petrolio potrebbe beneficiare di una possibile contrazione dell’offerta. Per quanto riguarda il dollaro statunitense, la valuta tende spesso a rafforzarsi in momenti di instabilità, proprio perché rappresenta la prima economia mondiale. Tuttavia, un elemento cruciale da monitorare sarà l’orientamento della Federal Reserve. Le prossime indicazioni di politica monetaria, soprattutto in merito a eventuali tagli dei tassi o a una pausa prolungata, potrebbero influenzare significativamente la direzione del dollaro. È un tema che, pur essendo attualmente poco al centro dell’attenzione mediatica, rappresenta un punto chiave per tutti gli operatori di mercato».