A quasi due settimane dall’inizio delle ostilità, il conflitto tra Israele e Iran sembra aver trovato un primo fragile punto di arresto. Lunedì 24 giugno 2025, l’ex presidente americano Donald Trump — che si è ritagliato un ruolo da mediatore non ufficiale — ha annunciato un cessate il fuoco “completo e totale”, che sarebbe dovuto entrare in vigore entro le successive 24 ore. Tel Aviv ha confermato l’intesa, mentre Teheran inizialmente ha negato di aver dato il proprio assenso, salvo poi confermare che un accordo, seppur mediato dal Qatar, effettivamente c’era.
La tregua arriva dopo giorni di scontri senza precedenti tra i due Paesi, segnati da lanci di missili, attacchi aerei e bombardamenti incrociati che hanno coinvolto anche soggetti terzi, come i ribelli Houthi dallo Yemen. Non si è trattato di una guerra per procura, come accaduto per decenni: per la prima volta, Israele e Iran si sono affrontati in modo diretto e dichiarato, mostrando al mondo il volto reale di una rivalità che, pur covando da oltre quarant’anni, finora era rimasta sul piano indiretto.
Un conflitto che ribalta gli equilibri regionali
Tutto è esploso ufficialmente il 13 giugno, quando Israele ha lanciato l’“Operazione Leone Ascendente”, un attacco preventivo contro numerosi siti strategici in territorio iraniano: impianti nucleari a Natanz e Fordo, basi missilistiche, depositi di droni e centri di ricerca avanzata. In risposta, Teheran ha scatenato un’offensiva di ampia portata: oltre 100 missili balistici, droni kamikaze e attacchi da terra sono partiti verso Israele, colpendo la città di Beersheba e varie postazioni nel sud del Paese. Le autorità israeliane parlano di decine di vittime e gravi danni alle infrastrutture, mentre l’Iran ha lamentato almeno 300 morti, tra cui anche tecnici e scienziati coinvolti nel programma nucleare.
Israele, pur colpendo raffinerie e impianti energetici in Iran, ha evitato di prendere di mira obiettivi strategici come il terminal petrolifero di Kharg Island. Una scelta mirata, che rivela la volontà di colpire duramente ma senza provocare un’escalation irreversibile, mantenendo una finestra aperta alla diplomazia. In parallelo, in Iran è cresciuta la stretta repressiva interna: decine di presunti agenti del Mossad sono stati arrestati, con il coinvolgimento diretto della polizia religiosa e delle milizie Basij, in un clima di crescente paranoia.
Macron e l’Europa provano la via diplomatica
Nei giorni successivi, anche l’Europa ha cercato di inserirsi nella partita diplomatica. Il presidente francese Emmanuel Macron ha proposto un pacchetto articolato: fine del sostegno iraniano ai gruppi armati in Medio Oriente, limitazione del programma missilistico e, soprattutto, congelamento dell’arricchimento dell’uranio da parte di Teheran. Un tentativo ambizioso, accolto con freddezza da Israele e con cautela dall’Iran, che si dice disponibile solo in cambio della revoca delle sanzioni economiche.
Ma perché siamo arrivati a questo punto?
Una storia di alleanze spezzate e guerre nell’ombra
Fino al 1979, Israele e Iran avevano rapporti tutt’altro che ostili. Durante il regno dello Shah Mohammad Reza Pahlavi, i due Paesi cooperavano su più fronti, dalla sicurezza alle forniture di petrolio. Un esempio poco noto ma significativo è il “Progetto Flower”, avviato nel 1977: un’iniziativa congiunta per lo sviluppo di missili antinave, in cui Israele avrebbe dovuto fornire tecnologia e know-how militare. Dopo la caduta dello Shah, tutto cambiò radicalmente. Con l’avvento della Repubblica Islamica, Israele divenne il “piccolo Satana”, da combattere e cancellare dalla mappa. L’ideologia khomeinista non lasciava margini di ambiguità.
Negli anni Ottanta, tuttavia, la realpolitik fece capolino: durante la guerra Iran-Iraq, Israele fornì segretamente armi a Teheran, per evitare che Saddam Hussein, sostenuto da Stati Uniti e Paesi arabi, ne uscisse troppo rafforzato. Ma fu solo un’eccezione. Dal 1990 in poi, i rapporti si deteriorarono in modo irreversibile.
Con l’inizio del programma nucleare iraniano e il sostegno aperto di Teheran a Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza, Israele percepì l’Iran come una minaccia esistenziale. Da allora è iniziata una guerra silenziosa ma costante: sabotaggi, omicidi di scienziati, virus informatici come Stuxnet, bombardamenti su milizie filo-iraniane in Siria. Tutto nell’ombra.
La svolta del 7 ottobre e l’escalation del 2024
La guerra a Gaza iniziata il 7 ottobre 2023, con l’attacco brutale di Hamas, ha rappresentato la miccia più recente. Israele ha risposto con una campagna militare durissima, ma ha anche iniziato a colpire direttamente l’Iran, accusato di finanziare e coordinare l’offensiva. Nell’estate del 2024, una serie di attentati a Beirut e Teheran ha eliminato figure chiave del fronte anti-israeliano, tra cui Ismail Haniyeh e un alto ufficiale del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie. A ottobre, l’assassinio a Damasco del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah ha portato la tensione al punto di rottura.
E proprio da lì si è arrivati all’attacco diretto di giugno 2025.
Verso una nuova fase?
Il cessate il fuoco raggiunto con la mediazione del Qatar e, in parte, degli Stati Uniti, potrebbe rappresentare una svolta. Ma la tregua reggerà solo se accompagnata da un quadro negoziale credibile. Israele chiede garanzie sulla fine del programma nucleare e sulla cessazione del sostegno ai gruppi armati. L’Iran pretende invece la fine delle sanzioni economiche e il rispetto della propria sovranità.
Intanto, l’instabilità interna di Teheran — acuita dalle spaccature tra moderati e ultraconservatori — e la crescente dipendenza militare da gruppi paramilitari rischiano di far deragliare qualsiasi processo negoziale. Allo stesso modo, la tenuta del governo israeliano, diviso tra falchi e colombe, resta una variabile imprevedibile.
Quel che è certo è che, per la prima volta dal 1979, Israele e Iran si sono trovati su un campo di battaglia reale. La guerra, quella vera, non è più un’ipotesi teorica. E da adesso in poi, ogni scelta avrà il peso della storia.
(foto ANSA)