L’attenzione mondiale è da qualche tempo puntata verso il Medio Oriente fulcro da decenni di grandi tensioni e, sempre più spesso, teatro di guerra, come in queste ore. L’Iran, in particolare, rappresenta uno dei giganti economici, religiosi e storici del complesso mosaico. Attualmente la nazione è governata da un mix di potere religioso e politico che l’ha di fatto resa una repubblica islamica sciita dopo la cosiddetta Rivoluzione iraniana o Rivoluzione islamica scoppiata nel 1978.
Allora l’Iran era governato dallo scià Mohammad Reza Pahlavi che aveva accentuato il carattere nazionalista ed autocratico del suo regno e bloccato varie riforme economiche preferendo rafforzare l’esercito. Una scelta che creò allo stesso tempo anche la ferma opposizione del clero sciita soprattutto dopo le direttive di stampo occidentale verso le donne che godevano anche del diritto di voto oltre che della libertà di non portare il velo sebbene all’interno di una società che conservava comunque dei privilegi maschili.
La politica dello scià, però, non fu radicale ma solo superficiale e la concessione di diritti e ricchezza si limitò ad una fascia ristretta della popolazione. Tutto questo portò la nazione ad avere regole spesso contraddittorie ma, soprattutto, un esercito sempre più potente sullo sfondo di una società tendenzialmente povera. Lo scià era appoggiato dagli Stati Uniti a loro volta preoccupati dal ritiro del Regno Unito dal Golfo Persico. Nel 1975 per sedare ogni protesta, lo scià dichiarò illegali tutti i partiti politici favorendo l’alleanza delle varie formazioni diventate clandestine. Una coagulazione che permise alla figura carismatica dell’Ayatollah Ruhollah Khomeyni di emergere e tornare dal suo esilio vicino Parigi, esilio a cui era stato condannato per alcune critiche rivolte allo scià. Nel gennaio del 1978, dopo alcune prese di posizione da parte della stampa di regime contraria al ritorno di Khomeyni in Iran, nacquero disordini e sommosse che portarono al blocco del Paese.
A guidare la protesta furono i Fedayyin-e khalq (“volontari del popolo”di corrente marxista) a cui si unirono i mujaheddin islamici. Questi ultimi, forti dell’appoggio del clero sciita riuscirono a far prevalere la corrente religiosa a discapito di quella politica di sinistra. Dopo l’aumento degli episodi di violenza, non ultimo un incendio doloso che portò alla morte di 430 persone, incendio attribuito alle forze di polizia dello Scià ma probabilmente appiccato da quelle sciite, la rabbia contro il governo aumentò fomentata dai messaggi che lo stesso Khomeini diffondeva dal suo esilio. Per cercare di salvare la situazione lo scià nominò nel gennaio del 1979 Shapur Bakhtiar come primo ministro mentre il sovrano accettava di lasciare temporaneamente il paese. Ma la partenza di Reza Pahlavi per il Marocco non placò i disordini e favorì gli insorti che interpretarono la partenza come un abbandono del sovrano.
Khomeyni non riconobbe il governo di Bakhtiar e il 31 gennaio 1979 fece ritorno in Iran. La prima mossa dell’ayatollah fu quella di nominare un proprio primo ministro dando così vita ad un secondo governo di stampo rivoluzionario. Nel caos degli scontri Bakhtiar decise di fuggire a Parigi mentre Khomeyni si proclamava capo del consiglio rivoluzionario. A marzo del 1979, infine, un referendum sancì la nascita della Repubblica Islamica dell’Iran con il 98% dei voti.