Sullo sfondo una tregua fragilissima (come tutte le tregue), all’orizzonte più di un’incognita e molti interrogativi che restano dopo una guerra lampo che per gli Usa è durata circa 72 ore, per Israele una quindicina di giorni. Almeno per il momento. Non è detto, infatti, che questa tregua (ripetiamo, fragile) possa reggere.
Anche perché l’Iran non ha potuto contare su prestigiosi alleati come Russia e Cina. Infatti Mosca ha ampiamente alzato la voce contro Washington e Tel Aviv per gli attacchi ma non è andata oltre una ferma condanna. Putin, dopo l’incontro con il ministro degli Esteri iraniano, ha offerto sostegno «per il popolo iraniano» e «i migliori auguri» per Khamenei. Dichiarazioni che nascono dalla natura degli accordi politici tra i due paesi, accordi che nel caso di attacchi ad una delle due nazioni, l’altra non è obbligata a fornire assistenza militare sarà però obbligata ad attivarsi affinché semplicemente affinché le divergenze siano appianate sulla base della Carte delle Nazioni Unite. Un vantaggio per il resto del mondo dal momento che ciò ha evitato inasprimenti del conflitto ma un vantaggio anche per la Russia che, impegnata in Ucraina non solo non ha visto aprirsi un altro fronte di guerra ma ha permesso anche di non pregiudicare le relazioni con gli USA e con un “amico” di vecchia data di Vladimir Putin come Donald Trump. Questo per la Russia. Ma per la Cina?
Pechino e Repubblica islamica hanno alleanze chiave che vanno dal settore energetico a quello delle infrastrutture. Ed è anche per questo che recentemente il presidente Xi Jinping si è detto preoccupato per l’escalation in Medio Oriente ma, forte del ruolo della Cina, si è limitato come Putin, a condannare qualsiasi azione che violi la sovranità di altri Paesi invocando il dialogo tra le parti. Pechino e Teheran sono unite nell’alleanza e nella cooperazione industriale, economica e commerciale citata nel “Documento completo di cooperazione Iran-Cina” siglato nel 2021 e che illustra le direttive di un’alleanza che dovrebbe durare oltre 25 anni. La Cina è una preziosa acquirente del petrolio iraniano che, sebbene soggetto ad imbarco in varie occasioni, è stato acquistato ampiamente attraverso comode triangolazioni con hub intermedi. Numeri alla mano la Cina sono circa 43 i milioni di barili di petrolio che ogni mese arrivano dall’Iran e che Teheran rappresentano il 90% delle esportazioni petrolifere mentre per Pechino non solo che poco più del 13,6% degli acquisti totali di greggio.
Per quanto riguarda gli investimenti diretti si parla di oltre 320 milioni di dollari nel 2023 ed un commercio bilaterale che l’anno successivo ha superato i 13 miliardi di dollari. Capitali notevoli ma inferiori a quelli riservati ad altri partner. Secondo l’American Enterprise Institute, infatti, dal 2007, gli investimenti totali cinesi in Iran hanno toccato i 5 miliardi di dollari contro gli oltre 8 investiti negli Emirati Arabi Uniti tra il 2013 e il 2022 e i 15 in Arabia Saudita tra il 2007 e il 2024. Una strategia che nasce anche in virtù di una situazione geopolitica che, come dimostrato anche nelle ultime settimane, resta sempre un’incognita. Senza dimenticare che i rapporti commerciali con Teheran, nonostante i vari escamotage e le già citate triangolazioni, restano comunque spinosi a livello internazionale. Da parte sua, l’anno scorso, l’Iran ha esportato quasi 9 miliardi di dollari di merce verso la Cina importandone oltre 4,4.