L’economia britannica sembra aver finalmente ripreso fiato dopo mesi di rallentamenti, stretta monetaria e tensioni commerciali. I numeri diffusi dall’Ufficio Nazionale di Statistica parlano chiaro: nel primo trimestre del 2025, il Pil del Regno Unito è cresciuto dello 0,7%, il ritmo più sostenuto tra le principali economie avanzate. Un dato che, da solo, basterebbe a infondere ottimismo. Ma a guardare meglio, le ombre non mancano.
La crescita che non si sente
Dietro il rimbalzo iniziale – trainato soprattutto dal comparto immobiliare e da una corsa agli acquisti prima della stretta fiscale – si nasconde una realtà più fragile. I segnali arrivati nei mesi successivi raccontano infatti un’economia già in fase di raffreddamento: ad aprile il Pil è sceso dello 0,3%, mentre la Banca d’Inghilterra prevede una crescita contenuta allo 0,25% per il secondo trimestre. Sullo sfondo, resta un’inflazione che fatica a rientrare e un contesto globale incerto, tra nuove barriere commerciali e rialzi nei costi energetici.
A rendere ancora più percepibile il disagio, è il dato sul reddito reale delle famiglie: nel primo trimestre dell’anno, si è registrato un calo dell’1%, il più marcato dal 2023. Le famiglie britanniche, insomma, fanno più fatica ad arrivare a fine mese, e lo si vede anche dal tasso di risparmio, sceso ai minimi da due anni. Eppure, paradossalmente, la fiducia dei datori di lavoro è in crescita e la spesa per abitazioni è in lieve ripresa. Una contraddizione che sintetizza bene l’attuale congiuntura: macroindicatori in ripresa, ma percezione sociale ancora negativa.
Il nodo energetico e il rischio esterno
Come se non bastasse, nelle ultime settimane è esplosa la questione energetica: la raffineria Prax Lindsey, una delle più importanti del paese, ha annunciato l’ingresso in amministrazione controllata. Una notizia passata relativamente sotto traccia sui media generalisti, ma che ha riacceso il dibattito sulla tenuta della sicurezza energetica britannica in un momento di forte volatilità internazionale. Anche le tensioni commerciali con gli Stati Uniti, legate ai possibili nuovi dazi, preoccupano il mondo imprenditoriale, che teme contraccolpi soprattutto sulle esportazioni industriali.
Dal punto di vista fiscale, invece, il governo Sunak si trova stretto tra due fuochi: da un lato la necessità di contenere il debito pubblico, dall’altro la pressione sociale per nuove misure di sostegno. Le elezioni anticipate di fine anno potrebbero rimettere tutto in discussione, ma per ora la linea rimane quella dell’austerità moderata.
Turismo: numeri alti, ma spesa in calo
Un’altra variabile da tenere d’occhio è il turismo. Le previsioni per l’estate sono incoraggianti sul piano dei flussi: secondo VisitBritain, gli arrivi internazionali nel Regno Unito dovrebbero raggiungere quota 43,4 milioni nel corso del 2025, con una spesa complessiva stimata attorno ai 33,7 miliardi di sterline. Un incremento rispetto allo scorso anno, sia in termini di presenze che di valore.
Eppure, nonostante il boom di visitatori, c’è un dettaglio che inquieta gli operatori: la spesa media per turista è in calo. A pesare sono l’inflazione interna, l’apprezzamento della sterlina e la controversa abolizione del rimborso IVA per gli acquisti effettuati dai turisti extra-UE. In altre parole, i turisti arrivano, ma spendono meno. E se il turismo continua a generare circa 250 miliardi di sterline l’anno tra diretto e indotto, il potenziale di crescita rischia di restare inespresso.
Scozia silenziosa, marketing in calo
Un caso esemplare arriva dalla Scozia (nella foto): dopo il record di presenze del 2024, l’estate 2025 si presenta insolitamente tranquilla. Hotel e bed&breakfast sono più vuoti del previsto e le offerte last-minute non mancano. Si conferma così la tendenza verso un “quiet tourism”: viaggi più brevi, meno dispendiosi, spesso individuali o in piccoli gruppi. Un turismo che fa meno rumore, ma anche meno margine.
In parallelo, il governo britannico ha deciso di tagliare drasticamente – del 41% – i fondi destinati alla promozione internazionale del brand “GREAT Britain & Northern Ireland”. Una mossa che VisitBritain ha definito rischiosa, soprattutto in vista della nuova strategia nazionale del turismo, attesa per l’autunno. L’obiettivo resta ambizioso: 50 milioni di visitatori entro il 2030. Ma senza una promozione adeguata, e con una concorrenza globale sempre più agguerrita, la sfida appare tutt’altro che semplice.
Prospettive tra prudenza e rilancio
Guardando al quadro complessivo, il Regno Unito si trova in un momento di equilibrio instabile. L’economia è tecnicamente in crescita, ma ancora vulnerabile. Il turismo è in espansione, ma non trainante come potrebbe. E le tensioni globali – energetiche, commerciali, geopolitiche – rischiano di frenare i segnali positivi.
La chiave dei prossimi mesi sarà probabilmente nella capacità del governo di riattivare i consumi interni senza alimentare l’inflazione, di rilanciare il marketing turistico e di mantenere la rotta in una fase politica che si annuncia turbolenta. L’estate 2025, insomma, sarà un banco di prova non solo per le località balneari del Kent o per le Highlands scozzesi, ma per l’intero sistema economico britannico. Con lo spettro – mai del tutto rientrato – di un autunno caldo.
(foto ANSA)