Altro che Frecciarossa. Il treno dell’efficienza ferroviaria italiana, in questi giorni, sembra più un convoglio regionale in panne sotto il sole di luglio: lento, affollato, e con l’aria condizionata rotta.
Dopo settimane di disagi sulle tratte ad Alta Velocità – guasti tecnici, ritardi a catena, cancellazioni improvvise – arriva oggi, puntuale come solo i malumori sanno essere, lo sciopero del personale del gruppo FS. Dalle 21 del 7 luglio alle 18 dell’8, i lavoratori aderenti a Cub Trasporti e Usb incroceranno le braccia in segno di protesta per il mancato rinnovo del contratto nazionale.
Non si tratta di una protesta isolata. È l’epilogo – o forse solo l’inizio – di una tensione accumulata da tempo, acuita da condizioni di lavoro sempre più complesse, da turni sfiancanti e da una percezione crescente: quella di essere considerati ingranaggi, più che persone.
Tra guasti e nervi tesi
Negli ultimi giorni, i viaggiatori hanno già sperimentato cosa significa un sistema sotto pressione: interruzioni sulla Milano-Roma, rallentamenti a Napoli, convogli soppressi senza preavviso. Tecnicamente, le cause sono state varie: guasti agli impianti, problemi alla linea, criticità infrastrutturali. Ma dietro i codici dei comunicati stampa si cela una realtà ben più umana: la fragilità del lavoro su rotaia, spesso invisibile finché non si ferma.
“Siamo il cuore pulsante del sistema, ma veniamo trattati come cuscinetti usurabili – dice un macchinista con trent’anni di servizio, che preferisce restare anonimo – Gli orari sono sempre più stretti, i margini di riposo ridotti, e l’estate, con il caldo e il boom di passeggeri, diventa una stagione da sopravvivenza”.
La vertenza e le sue crepe
Il contratto nazionale di settore è stato firmato dalle principali sigle (Filt-Cgil, Uiltrasporti, Ugl, Fast-Confsal, Orsa). Ma Usb e Cub Trasporti non ci stanno. Rivendicano aumenti salariali più consistenti, tutele migliori, e un ruolo più equo nella definizione delle regole.
“Non siamo contro il servizio pubblico – spiegano in una nota – Siamo contro un modello che chiede sempre più a chi lavora e restituisce sempre meno”.
E intanto, i pendolari pagano il prezzo di una frattura che si allarga: ore perse, coincidenze saltate, e una fiducia che si sgretola a ogni ritardo annunciato a bordo. Anche le aziende – specie quelle che usano il treno per lavoro o trasporti – iniziano a subire danni indiretti, tra dipendenti in ritardo, logistica in affanno, e costi imprevisti.
Impatto economico, tra biglietti e produttività
Non esistono ancora stime ufficiali, ma l’impatto di queste 21 ore di sciopero, sommate ai disagi delle settimane precedenti, si misura in milioni di euro. Trenitalia e Trenord potrebbero registrare perdite importanti, sia in biglietti non venduti che in rimborsi da gestire.
Ma il vero costo, difficile da quantificare, è quello della produttività persa. In un momento in cui la mobilità sostenibile dovrebbe essere incentivata, il treno rischia di perdere attrattiva rispetto ad altri mezzi più flessibili – e meno collettivi.
Il bivio del sistema ferroviario
Lo sciopero non è solo un rumore di fondo: è il suono secco di un sistema che chiede manutenzione, non solo tecnica ma sociale. I lavoratori chiedono ascolto, dignità, un contratto che non sia solo carta ma riconoscimento concreto.
Nel frattempo, milioni di persone guardano i tabelloni nelle stazioni con ansia, domandandosi se arriveranno a destinazione.
Il rischio più grande, in fondo, non è lo sciopero. È l’assuefazione. Abituarsi a un servizio inaffidabile. Accettare che chi lavora per muovere il Paese venga lasciato fermo in stazione.
E mentre si attende il prossimo treno, qualcuno si chiede: chi è davvero in ritardo, qui? I sindacati, l’azienda o un intero modello di gestione?