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Clima, Legambiente all’Italia: “non basta tagliare le emissioni del 40%. Serve una legge per fermare il consumo di suolo”

Maria Lucia Panucci
10 Febbraio 2024
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Il responsabile scientifico Andrea Minutolo ci spiega quali sono i passi che l’Italia deve compiere nel contrasto al cambiamento climatico sul piano governativo, ma anche individuale. Altrimenti i rischi non […]

Il responsabile scientifico Andrea Minutolo ci spiega quali sono i passi che l’Italia deve compiere nel contrasto al cambiamento climatico sul piano governativo, ma anche individuale. Altrimenti i rischi non saranno “sostenibili”

In fatto di performance climatiche l’Italia risulta perdere sempre più posizioni rispetto agli altri paesi europei. Vediamo perché e come si può intervenire con il responsabile scientifico di Legambiente, Andrea Minutolo.

Nel 2023 la crisi climatica ha accelerato il passo. Qual è il quadro che ci lasciamo alle spalle? E qual è la conta dei danni economici?

«Il 2023 è stato un anno che noi abbiamo definito da bollino rosso per il clima e per gli impatti sui territori. C’è un trend in continua crescita degli eventi metereologici estremi che comportano disagi, danni, vittime in Italia e non solo. Per l’anno appena concluso ne abbiamo mappati circa 378, in crescita del 22% rispetto al 2022 con danni miliardari ai territori e 31 morti. Solo per dare un ordine di grandezza, le sole due alluvioni, quella in Emilia Romagna nel maggio scorso e quella della Toscana a novembre, contano qualcosa come 11 miliardi di danni. Prima di ciò, noi venivamo da anni in cui si parlava spesso di siccità con l’assenza prolungata di piogge che aveva anche in quel caso provocato danni miliardari a settori produttivi come l’agricoltura, senza contare le vittime di ondate di calore, frane ed altri eventi legati alla mancanza di piogge. Quindi capiamo bene che si tratta di vere e proprie emergenze umane, strutturali ed economiche».

Ed avete sicuramente bocciato l’Italia sul fronte delle performance climatiche. Secondo un vostro ultimo report scende infatti dal 29esimo al 44 posto nel mondo sul questo fronte. Perché?

«Noi abbiamo partecipato per l’Italia al rapporto annuale di Germanwatch, CAN e NewClimate Institute sulla performance climatica dei principali paesi del pianeta, 63 per l’esattezza più l’Unione europea, che insieme rappresentano oltre il 90% delle emissioni globali. La performance è misurata attraverso un indice abbastanza standardizzato, il Climate Change Performance Index (CCPI), che prende come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030. Il CCPI si basa per il 40% sul trend delle emissioni, per il 20% sullo sviluppo sia delle rinnovabili che dell’efficienza energetica, e per il restante 20% sulla politica climatica. Analizzando quindi questi parametri abbiamo visto che la decrescita italiana è dovuta sia alla poca efficacia della riduzione delle emissioni climalteranti sia ad una politica climatica fortemente inadeguata a fronteggiare l’emergenza. Infatti, l’attuale aggiornamento del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) conta un taglio delle emissioni entro il 2030, tutto ancora da verificare, di appena il 40,3% rispetto al 1990, quando invece l’obiettivo climatico europeo supera il 65%. Un ulteriore passo indietro rispetto al già inadeguato 51% previsto dal PNRR del Governo Draghi. Ora stiamo giocando ancora più al ribasso, motivo per cui l’Italia perde ben 15 posizioni sul fronte delle performance climatiche rispetto allo scorso anno».

Ormai un mese fa però è stato approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. Una lunga trafila ma ci siamo. Ora quali sono i prossimi passi per risalire la china?

«Le politiche climatiche si misurano sotto due aspetti: la prima è la mitigazione, cioè la riduzione delle emissioni climalteranti e su questo, come detto, abbiamo notato un peggioramento, l’altro pilastro è invece l’adattamento, ovvero in attesa che la riduzione di tali emissioni arresti il surriscaldamento globale, cosa per cui ci vorranno anni, bisogna adattare i territori al clima che cambia. Quindi ben venga il PNAC, anche se abbiamo dovuto aspettare 6 anni per la sua approvazione, ovvero quattro Governi. Il Piano ha individuato più di 360 azioni che devono guidare i territori nell’adattamento climatico. Cosa manca ora? Le risorse finanziarie per poter mettere in pratica queste azioni, altrimenti si rischia che il piano rimanga solo sulla carta. Bisogna approvare un PNIEC molto più ambizioso: non basta tagliare le emissioni del 40%, bisogna fare una legge e fermare il consumo di suolo perché abbiamo notato che il grosso dei problemi legati agli eventi estremi è dovuto alla cementificazione. Bisogna quindi restituire lo spazio ai fiumi, agendo su delocalizzazioni, desigillatura di suoli impermeabilizzati, rinaturazione delle aree alluvionali, azzerando il consumo di suolo e non concedendo nuove licenze per edificazioni in aree prossime ai corsi d’acqua. Deve essere emanato anche un decreto ministeriale che attiva l’Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici con una sorta di commissione che riesca ad indirizzare, validare e migliorare le eventuali progettualità che arriveranno a richiedere fondi per attuare azioni di adattamento. Dal Governo ci aspettiamo pianificazione, risorse e competenze».

La Cop28 ha sancito per la prima volta l’uscita dalle fonti fossili in modo da raggiungere emissioni nette zero entro il 2050. Cosa chiedete all’Europa e all’Italia? Quali sono i rischi se non raggiungiamo gli obiettivi preposti?

«Partiamo con il dire che il 2050 è uno scenario molto lontano, si poteva fare di meglio. L’Italia può colmare l’attuale ritardo e centrare l’obiettivo climatico del 65% delle riduzioni delle emissioni e contenere l’innalzamento della temperatura ad un 1.5°C, puntando sull’efficienza energetica e sullo sviluppo delle rinnovabili. Una temperatura fuori controllo cambia la distribuzione delle piogge, l’irradiamento solare, l’evaporazione dei mari, provocando quindi tutta una serie di squilibri che possono essere preoccupanti. Il contributo degli scienziati non basta se non individuiamo azioni e cambi di modelli di sviluppo economico, industriale e di stili di vita personali che siano più sostenibili».

Ecco, per concludere, noi nella nostra quotidianità come possiamo tutelare l’ambiente?

«Ogni attività dell’uomo ha un impatto sull’ambiente, dal caffè che beviamo all’acqua che usiamo nei nostri appartamenti agli abiti che indossiamo e al modo in cui ci muoviamo. Il segreto per tutto è fare delle scelte che siano il meno impattanti possibile. Penso per esempio all’utilizzo di indumenti usa e getta, è vero che costano poco ma sono dannosi in termini di rifiuti prodotti e materiali sottratti all’ambiente. Siamo poi abituati a muoverci sempre in auto, con le strade pensate per la circolazione dei motori. Quarant’anni fa non era così, le strade erano concepite per la mobilità pedonale. Impariamo quindi anche noi a cambiare stile di vita, ad usare la macchina solo quando veramente necessario, preferendo magari delle passeggiate a piedi o in bicicletta. Le decisioni dell’amministrazione comunale di aumentare le ztl, di introdurre le giornate ecologiche, sono volte a favorire questo cambiamento ed anche noi dobbiamo esserne partecipi con decisioni quotidiane più responsabili. Infine anche le nostre scelte alimentari incidono. Una dieta più equilibrata, attenta alla qualità del prodotto che sia stagionale, evitando sprechi, può avere un impatto notevole sull’ambiente oltre che sulla nostra salute».

Insomma per Legambiente tutti devono fare la loro parte nel “sostenere” la lotta al cambiamento climatico, per rendere il mondo più vivibile e per garantire alle prossime generazioni un futuro migliore.

FOTO: SHUTTERSTOCK

  • legambiente
  • clima
  • efficienza energetica
  • rinnovabili
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