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Report & analisi

Il Vietnam potrebbe presto occupare il posto d’onore nella grande vetrina delle economie asiatiche

Rossana Prezioso
23 Novembre 2024
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Un’economia segnata dal dramma della guerra si trova, oggi, ad attirare l’attenzione degli investitori internazionali

Nel cammino di eToro e Business24 tra i BRICS, oggi è la volta del Vietnam. La nazione, infatti, potrebbe essere sulla soglia di una svolta. Un’economia segnata dal dramma della guerra si trova, oggi, ad attirare l’attenzione degli investitori internazionali e ad avere un ruolo di primo piano tra i paesi emergenti. A scattare la fotografia di un’economia che rinasce dalle ceneri è  Gabriel Debach, market analyst di eToro.

Quando si parla di Vietnam si parla di un’economia che per decenni è stata segnata dal dramma della guerra. Una nazione che ha scommesso con se stessa di tornare alla ribalta sul panorama internazionale e che, a giudicare dai numeri, ci sta riuscendo. Qual è attualmente il quadro economico vietnamita?

«La storia economica del Vietnam traccia un percorso di sviluppo dinamico e di successo ed è un esempio ben riuscito di trasformazione e resilienza. Dopo decenni segnati dai conflitti e da un’economia debole e centralizzata, il Paese ha avviato una transizione verso un sistema di mercato aperto, favorendo l’integrazione nei flussi economici globali e la modernizzazione industriale.  Il Paese è stato una delle economie a più rapida crescita degli ultimi anni e, nonostante un lieve rallentamento nel 2023, segnato da un tasso di espansione del Pil del 5%, quest’anno gli indicatori puntano verso una nuova accelerazione. Secondo le stime della Banca mondiale, infatti, l’economia vietnamita è prevista salire del 6,1% nel 2024 e del 6,5% sia nel 2025 che nel 2026. Secondo le proiezioni del Fondo Monetario Internazionale, inoltre, quest’anno l’inflazione dovrebbe rimanere intorno all’obiettivo della Banca di Stato del Vietnam (4-4,5%), mentre il debito pubblico e garantito da enti pubblici del Paese è previsto al 33,8%. Il FMI ha osservato che le autorità vietnamite hanno contenuto efficacemente i rischi di inflazione, pur avvertendo che la politica monetaria deve rimanere cauta, data la complessità del contesto economico e l’incedere di nuove pressioni inflazionistiche legate, soprattutto, all’aumento dei prezzi dei generi alimentari.  In questo contesto, a destare preoccupazioni tra gli enti internazionali, come sottolineato dal FMI stesso, è la persistente debolezza del settore immobiliare e del mercato delle obbligazioni corporate, che hanno il potenziale di ostacolare la crescita economica e la stabilità finanziaria». 

Il Vietnam, pur non essendo membro effettivo dei BRICS, ha recentemente assunto lo status di partner insieme ad altre nazioni. Quali sono i vantaggi che il Paese potrebbe trarre da questa alleanza?  

«L’alleanza con i BRICS rappresenta un’opportunità significativa per il Paese tanto in ambito economico quanto politico e diplomatico. Un vantaggio chiave è l’avere accesso a una rete più ampia di mercati per le sue esportazioni, soprattutto per prodotti agricoli, tessili, di elettronica e di consumo. La Cina è già il primario partner commerciale del Paese, ma essere parte dei BRICS andrà ad approfondire i rapporti, ad esempio, con India e Brasile, riducendo la dipendenza da Europa e Stati Uniti. Inoltre, la Banca di Sviluppo dei BRICS potrebbe rappresentare una risorsa cruciale per finanziare progetti in aree chiave, come l’energia, i trasporti e la logistica, che presentano ancora carenze strutturali. Il Vietnam ha inoltre l’opportunità di acquisire maggiore peso e visibilità sulla scena internazionale, facendo parte di una rete che promuove la cooperazione economica e politica tra Paesi emergenti.  La piena concretizzazione di questi benefici dipenderà dalla capacità del Paese di affrontare le dinamiche interne dei BRICS, mantenendo un equilibrio strategico senza farsi coinvolgere in rivalità geopolitiche. Inoltre, sarà fondamentale che il Vietnam continui a implementare riforme economiche e politiche interne per allinearsi agli standard richiesti dai partner».

Quando Christine Lagarde era ancora direttore generale del Fondo monetario internazionale dichiarò che “in una sola generazione il Vietnam è passato […] da una forte dipendenza dai prodotti primari all’eccellenza nel campo manifatturiero, dalla stagnazione economica a un dinamismo inarrestabile”. Quali sono stati i motori che hanno dato la spinta per questo rally?

«Un impulso fondamentale alla trasformazione economica del Vietnam è stato fornito dal programma di riforme Đổi Mới (in italiano “Rinnovamento”), che a partire dal 1986 ha spinto il Paese verso un’economia di mercato. Le riforme hanno incentivato l’apertura agli investimenti esteri e la liberalizzazione del commercio, favorendo l’integrazione del Paese nelle catene di fornitura globali, specialmente nel settore industriale, dell’elettronica e dell’automotive. In parallelo, il Vietnam si è impegnato nello sviluppo di una solida rete di infrastrutture, che ne ha agevolato la competitività, rendendo più efficienti i trasporti e il commercio. Il miglioramento della qualità della forza lavoro, anche se ancora in fase di sviluppo, ha supportato, inoltre, l’espansione dei settori ad alta intensità tecnologica, creando le basi per una crescita stabile nel lungo periodo. Il Paese ha anche condotto politiche commerciali strategiche che lo hanno portato a unirsi ad alleanze internazionali come il CPTPP (l’Accordo globale e progressivo per il partenariato transpacifico) e l’accordo di libero scambio con l’Unione Europea (EVFTA), che hanno aumentato l’accesso ai mercati globali, accelerando ulteriormente l’ascesa del Vietnam come hub manifatturiero».

Il Paese è divenuto membro dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) nel 2007 ma, allo stesso tempo, può contare anche sulla presenza del suo utile vicino di casa, la Cina. Quali sono i rapporti commerciali ed economici che legano i due Paesi?

«Il Vietnam e la Cina sono legati da una complessa rete di rapporti economici e commerciali, agevolati dalla vicinanza geografica. Pechino è il principale partner commerciale di Hanoi, con scambi bilaterali che comprendono prodotti manifatturieri e materie prime, ma anche commodities agricole e risorse naturali. Nonostante le tensioni storiche legate alla disputa territoriale nel Mar Cinese Meridionale, le due economie sono sempre più interconnesse: la Cina sfrutta la vicinanza e la posizione geografica del Vietnam servendosene come punto di transito per le sue merci destinate al mercato globale, mentre il Vietnam usa la Cina per avere accesso ai mercati mondiali. La crescente integrazione del Vietnam nelle catene di approvvigionamento globali e la sua adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio nel 2007 hanno contribuito ad accentuare questi legami, con Hanoi che fa leva sulla Cina anche per attrarre investimenti, sviluppare infrastrutture e sostenere il proprio sviluppo economico, in particolare nel campo della produzione, ma anche delle costruzioni e infrastrutture. La collaborazione con la Cina, quindi, rappresenta un elemento cruciale per l’economia vietnamita, sebbene vada sempre affiancato da una gestione attenta delle problematiche politiche e territoriali che potrebbero emergere in futuro».

A novembre del 2023 il Vietnam registrava quasi 29 miliardi di dollari di investimenti diretti esterni (+14,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). Quali sono i motivi che attraggono gli investitori internazionali?

«Il Vietnam ha dato prova di essere una destinazione di primo piano nel panorama degli investimenti nei mercati emergenti. La sua posizione strategica nel Sud-est asiatico, lungo le principali rotte marittime, lo rende un hub privilegiato per produzione e commercio, offrendo un accesso diretto a mercati chiave, tra cui quello cinese. A ciò si aggiungono i numerosi accordi di libero scambio che permettono alle aziende che investono nel Paese di godere di numerosi vantaggi. Inoltre, gli investimenti infrastrutturali e i costi competitivi della manodopera, uniti alla qualità della produzione, rappresentano elementi di forte interesse per le aziende estere, in particolare in settori come l’elettronica o l’abbigliamento. A questo si aggiunge un fenomeno globale sempre più evidente: le imprese internazionali, in particolare le big tech americane, stanno ridefinendo le loro catene di approvvigionamento, diversificando la produzione e spostandosi fuori dalla Cina per mitigare i rischi geopolitici e aumentare la resilienza operativa. Esempi emblematici includono aziende come Apple, Alphabet, Dell e HP, che hanno avviato o ampliato le loro attività produttive in Vietnam, sfruttandone i vantaggi sopracitati. Un altro elemento importante è il fattore politico: la stabilità e l’impegno lungimirante del governo per promuovere la liberalizzazione del mercato, ridurre la burocrazia e perseguire una crescita sostenibile facilitano gli investimenti stranieri». 

Guardando la sua composizione demografica, Hanoi può contare anche su una forza lavoro ancora giovane e su salari ancora competitivi a livello regionale. Quali sono gli altri elementi a favore dell’economia nazionale? E quali i punti deboli?

«Il Vietnam offre un contesto economico estremamente dinamico, dove la forza lavoro giovane e competitiva rappresenta un punto di forza molto significativo: questo risultato è stato possibile grazie a un importante lavoro di diffusione e miglioramento dell’istruzione, che ha migliorato le competenze tecniche e digitali tra le nuove generazioni. Bisogna tuttavia considerare anche alcuni elementi critici nel quadro del Paese, tra cui la necessità di miglioramenti nelle infrastrutture, e la complessa gestione del peso, sempre più  dei crediti deteriorati nel sistema bancario. La Banca Mondiale ha evidenziato l’importanza di rafforzare gli investimenti pubblici, in particolare in settori chiave come energia, trasporti e logistica, per superare questi ostacoli e sostenere una crescita a lungo termine. Inoltre, l’impegno verso la sostenibilità rappresenta un elemento cruciale per il futuro».

Il Vietnam punta a diventare un’economia a reddito elevato entro il 2045, ma per raggiungere questo obiettivo, conclude Debach, dovrà bilanciare la crescita economica con la transizione verso modelli produttivi a basso impatto ambientale e adattarsi ai cambiamenti climatici​.

FOTO: shutterstock
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