La Commissione Europea oggi ha dato il suo ok a 1,3 miliardi di euro di aiuti di stato italiani che saranno stanziati per la realizzazione di un nuovo impianto di packaging avanzato per semiconduttori in Piemonte. Sarà la prima fabbrica europea di advanced packaging e chiplet integration di Silicon Box, esempio unico nel suo genere in Europa. Ma per quale motivo la corsa al settore dei microprocessori sta vivendo (e non da adesso) un’accelerazione così improvvisa?
A maggio di quest’anno il governo della Corea del Sud e per lei il ministro delle Finanza Choi Sang-mok annunciava una serie di investimenti per un totale di oltre 7 miliardi di dollari per sostenere l0industria dei microchip e dei semiconduttori. La decisione nasceva all’interno di una più ampia strategia che puntava a preservare il ruolo di Seoul all’interno del panorama globale dell’industria dei semiconduttori. Se la punta di diamante per la nazione resta Samsung, con il progetto per la più grande fabbrica di chip al mondo che verrà costruita proprio in Corea del Sud, con investimenti per oltre 220 miliardi di dollari in 20 anni, resta ancora da battere il vero vincitore della corsa sul fronte microchip: Nvidia. Infatti è lei la produttrice dei chip più richiesti per i sistemi di intelligenza artificiale. Altro avversario di tutto rispetto è la taiwanese Tsmc (Taipei è la diretta antagonista di Seoul).
Intanto, però, proprio Seoul punta sulla ricerca, con la costruzione di poli di produzione che potrebbero portare ad un giro di affari pari a 340 miliardi di dollari nei prossimi anni se si guarda anche alla presenza di un altro protagonista SK Hynix.
Infatti il trend che interessa maggiormente le economie attualmente vocate alla produzione di semiconduttori, è la produzione in casa di questi elementi sempre più indispensabili nell’intero settore produttivo. Una filiera il più possibile a km 0 o al massimo in territorio di nazioni storicamente alleate, vicini ai siti produttivi in modo da poter ottimizzare i vari step di una filiale produttiva tra le più complesse al mondo. Alcune tipologie di chip, infatti, richiedono oltre mille passaggi considerando l’intero processo che parte dalla progettazione alla produzione. Non solo ma la loro fabbricazione può richiedere fino a 300 materiali differenti provenienti da 16mila fornitori. Un processo che, quindi, può veder coinvolti 70 paesi. Un esempio? L’azienda olandese è la sola al mondo a produrre apparecchiature per la litografia a radiazione ultravioletta estrema (EUV), apparecchi che nella loro progettazione prevedono l’uso di lenti speciali a loro volta fornite da una sola azienda al mondo, la tedesca Zeiss (l’unico fornitore al mondo).
Considerando quanto detto è immediatamente evidente la necessità di evitare scomode ingerenze ed inopportune dipendenze da potenze straniere che, come ad esempio la Cina, hanno il monopolio di elementi determinanti nella produzione dei chip come le terre rare. Cina che, a sua volta, anche grazie ai ben noti aiuti di stato, vuole riversare circa 45 miliardi di euro nel settore. Nemmeno l’orizzonte nipponico sta a guardare e memore di un glorioso passato nel settore della tecnologia anni ‘80, il governo di Tokyo ha dichiarato aiuti e finanziamenti, anche per chi decide di investire dall’estero, che potrebbero arrivare fino a un terzo dei costi sostenuti dai produttori che operano sul territorio nazionale.
Ma perché tutti si affollano in questo settore diventato cruciale non solo per l’industria ma anche per l’economia bellica? Sappiamo che smartphone, auto, data center che alimentano Internet, come anche i satelliti oppure i razzi a lunga gittata (volendo considerare solo elementi apparentemente antitetici tra loro) sono tutti accomunati da un elemento unico: i semiconduttori.
Oltre all’importanza delle loro funzioni a colpire sono anche i numeri del mercato. Al mondo si vendono ogni anno più di 1000 miliardi di chip (si pensi solo che un automobile mediamente contiene 1400 semiconduttori) una media che è solo orientativa dal momento che variano a seconda della loro funzione. E se per quelli destinati all’industria automobilistica, complice il calo della domanda, rischiano addirittura un’offerta superiore alla domanda, quelli per i sistemi AI, invece, continuano a vedere rialzi verticali sia per la richiesta, sia per le quotazioni.
In questo quadro sempre più complesso gli USA si trovano in una fase di discesa con una quota di mercato mondiale (sulla base del fatturato) che fra 6 anni non andrà oltre il 36%. IL tutto mentre la Cina non solo sta correndo e superando il suo avversario ma guarda anche a Taiwan con una possibile riunificazione entro il 2049, anno del centenario della nascita della Repubblica Popolare Cinese. Proprio per evitare lo strapotere di Pechino, Washington ha creato una strategia di incentivi e sgravi fiscali (52 miliardi di dollari) presenti nel Chips and Science Act. Lo stesso dicasi dell’Europa che ne vorrebbe investire 43 nell’European Chips Act.