I sogni di autonomia dell’Europa, sogno che si è declinato sia in chiave AI che in quello energetico, potrebbe svanire sul fronte delle batterie per auto. Infatti il gigante svedese Northvolt ha dichiarato bancarotta.
Il caso Northvolt
La zavorra che ha fatto calare a picco l’azienda è rappresentata da due elementi: il debito da circa 7,5 miliardi di euro e le difficoltà di produzione (tra questi la rescissione di un ordine da 2 miliardi da parte di Bmw a causa di ritardi nelle consegne) sullo sfondo di una serie di difficoltà finanziarie con prestiti sempre più difficili da ottenere. In particolare un finanziamento da 5 miliardi di dollari saltato. A peggiorare il quadro anche una serie di progetti manageriali economicamente troppo ambizioni ma anche una produzione che dipendeva ancora da macchinari cinesi.
Ancora incerta la sorte dei 5mila dipendenti (3mila dei quali divisi tra le cittadine svedesi di Skellefteå e Västerås) anche perché i rami tedeschi e gli impianti produttivi presenti in Germania, Nord America e Polonia restano fuori dal processo fallimentare. Per questo motivo si guarda a possibili operazioni di acquisizioni, fusioni o riorganizzazione dell’azienda, anche in virtù di un settore, quello delle batterie auto, che sembra essere un ramo strategico. All’orizzonte si profila un certo interesse da parte di alcuni soggetti, primo fra tutti Scania, produttore svedese di camion e primo cliente di Northvolt che vorrebbe acquistare Northvolt Industrial.
Si muove anche la Germania che in queste ore, tramite dichiarazioni del ministro dell’Economia Robert Habeck fa sapere che Berlino potrebbe puntare a finanziamenti e strategie di interesse per gli stabilimenti presenti su suolo tedesco.
I problemi del settore
Sul tavolo non solo la corsa in un settore di primo piano come quello delle batterie auto e, più in generale, dell’energia, ma anche, da un punto di vista prettamente geopolitico, il pericolo di interferenze da parte di Pechino. La Cina, infatti, rappresenta il leader di settore a livello mondiale con tutto l’intero continente asiatico ai blocchi di partenza con le nazioni del sud est pronte per essere competitor di primo piano, Corea del Sud e Taiwan su tutte.
Lunga la storia di Northvolt che, con l’aumento della domanda di batterie al fosfato di ferro e litio (Lfp) e il crollo dei prezzi delle celle non è riuscita a mangiare quote di mercato a giganti globali come CATL e LGES. Infatti CATL, il più grande produttore al mondo, è presente con investimenti in Germania, Ungheria e Spagna.
La storia di Northvolt
Lunga la storia di Northvolt che, nata 10 anni fa, nel 2015 da due ex dirigenti della Tesla, annoverava stabilimenti in Svezia e centri di ricerca in California. L’intenzione era quella di conquistare il 25% del mercato europeo delle batterie entro il 2030 ma alla vigilia del fallimento non era arrivata nemmeno al 7%.
Il 2030 è la deadline prevista entro la quale il 90% della domanda di batterie EV dovrebbe essere soddisfatta dalla produzione interna allo stesso Vecchio Conveniente. A stabilirlo, a suo tempo, è stato il Net Zero Industry Act ma molti studi evidenziano che, allo stato attuale dei fatti, l’obiettivo rischia di non essere raggiunto a causa di deficit produttivi importanti.
Un esempio arriva dal report Fraunhofer Institute la cui analisi, pubblicata su Nature Energy prevede diversi possibili scenari. Ebbene solo il 39% di questi scenari evidenzia una produzione sufficiente mentre nel 50% l’Europa arriverà, entro il 2030, a coprire la domanda per l’80-100%. Nota positiva è la riduzione della dipendenza da filiere esterne per litio, nichel e grafite in traguardo che sarà raggiunto per lo più grazie al riciclo sulla filiera del riciclo.
Le prime difficoltà
Le prime difficoltà serie registrate da Northvolt risalgono a novembre del 2024 quando l’azienda aveva presentato negli USA, dove aveva sede legale, istanza di fallimento (Chapter 11) nella speranza di trovare nuovi partner e capitali da investire. Le normative relative al capitolo antifallimento statunitense, infatti, prevedono una sorta di moratoria per i debiti per qualche mese, una strategia adottata per aiutare le aziende in difficoltà a trovare nuove risorse. Strategia che, purtroppo per Northvolt non ha funzionato. Infatti tra le speranze c’era anche quella di un intervento del governo svedese che, però, non è arrivato.
“Non è previsto che lo Stato svedese diventi comproprietario di Northvolt o qualcosa del genere”. A dichiararlo è stato il primo ministro svedese, Ulf Kristersson.
Molti i grandi nomi che avevano creduto nel progetto, tra questi VolkswagenGoldman Sachs e BlackRock e tante anche le istituzioni che vi avevano partecipato, in primis la Banca europea per gli investimenti e diversi istituti finanziari, inclusa Intesa Sanpaolo.
Cosa resta per l’Europa?
Il Vecchio Continente, privo quindi di quest’altra pedina, dovrà perciò continuare a gestire le sue forniture ancora da produttori esteri ovvero Lg Energy solution e la coreana Samsung, senza contare la già citata CATL cinese.