
Si tratta di 240 mila rapporti di lavoro nel 2020 nel comparto non agricolo che si sarebbero interrotti indipendentemente dall’emergenza sanitaria e 120 mila nel 2021
Il blocco dei licenziamenti ha impedito che saltassero 240 mila rapporti di lavoro nel 2020 nel comparto non agricolo, che si sarebbero interrotti indipendentemente dalla pandemia, e 120 mila nel 2021. In totale quindi ad oggi la misura ha preservato 360 mila posti. È quanto si legge nella comunicazione congiunta periodica di Banca d’Italia e Ministero del Lavoro, secondo la quale “a questi si aggiungono le cessazioni involontarie nelle attività sportive, ricreative e nei servizi alla persona (11.000 nel 2020 e 6.000 nel 2021)“.
Allo scoppio dell’emergenza sanitaria, per fronteggiare le conseguenze del fermo delle attività, il decreto Cura Italia ha disposto il blocco dei licenziamenti per motivi economici. Il provvedimento, inizialmente previsto per due mesi, è stato successivamente prorogato, fino all’attuale scadenza fissata al 30 giugno 2021 per le imprese che hanno accesso alla Cassa integrazione ordinaria (appartenenti soprattutto al comparto industriale) e al 30 ottobre 2021 per le altre.
Ed è stata una manna dal cielo visto che ha bloccato una tendenza che stava diventando preoccupante oltre che strutturale. In generale, nel periodo di espansione ciclica che va dal 2014 al 2019, in Italia i licenziamenti complessivi (sia di tipo economico sia per altri motivi) erano ogni mese quasi cinque ogni 1.000 posizioni effettive a tempo indeterminato, equivalenti nei mesi immediatamente precedenti la pandemia a circa 45.000 cessazioni, al netto di fattori stagionali.
Da quando il blocco è entrato in vigore il numero medio mensile dei licenziamenti complessivi si è più che dimezzato, scendendo a circa 20.000, due ogni 1.000 lavoratori a tempo indeterminato.
di: Maria Lucia PANUCCI
FOTO: ANSA/MATTEO BAZZI
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