
Va avanti la quinta udienza pubblica della commissione parlamentare sul 6 gennaio, focalizzata sulle pressioni di Trump verso il ministero della giustizia per ribaltare il voto
«Donald Trump era così frustrato dall’inazione del ministero della Giustizia, di fronte alle sue denunce di brogli elettorali, che tentò di silurare l’attorney general ad interim Jeffrey Rosen, sostituendolo con un oscuro ma compiacente dirigente del medesimo Dipartimento». A lanciare le pesanti accuse è lo stesso Rosen, uno dei testimoni chiamati a deporre nel processo sull’assalto a Capitol Hill. Prosegue così la quinta udienza pubblica della commissione parlamentare sul 6 gennaio, focalizzata sulle pressioni dell’ex presidente verso il ministero della giustizia per ribaltare il voto.
Dall’udienza è emerso che il 23 dicembre del 2020 Trump chiamò o incontrò Rosen quasi ogni giorno premendo in varie direzioni, anche perché nominasse un procuratore speciale per indagare sui sospetti di frodi elettorali. Il suo vice, Richard Donoghue, ha raccontato che in una conversazione di 90 minuti con Trump alla Casa Bianca il 27 dicembre gli disse schiettamente che le sue accuse di frodi erano senza fondamento. Ma secondo quanto emerso il tycoon premeva perché dicessero che le elezioni erano corrotte.
E siccome questo non avveniva Rosen poi venne a sapere che Trump aveva offerto il suo posto a Jeffrey Clark, un avvocato del dipartimento pronto a sostenere i suoi sforzi per ribaltare il voto, in particolare con una lettera da mandare ad alcuni Stati controllati dai repubblicani per seminare dubbi sulla vittoria di Biden. La lettera non fu mai spedita.
Non solo. Dall’udienza è emerso anche il ruolo dell’Italia. L’allora ministro della Difesa Christopher Miller, su richiesta del capo di gabinetto della Casa Bianca Mark Meadows, telefonò all’addetto militare Usa a Roma per indagare sulla voce secondo cui satelliti italiani avevano trasferito voti da Donald Trump a Joe Biden. Quest’altro dettaglio è stato riferito dallo stesso Miller, in una deposizione trasmessa in aula dalla commissione. La voce, rivelatasi una teoria cospirativa, è stata definita una “pura follia” da Richard Donoghue.