
Le due aziende lo hanno annunciato venerdì, ecco come cambia l’equilibrio della distribuzione alimentare
Per ora è solo l’annuncio di un accordo, su cui si dovrà anzitutto pronunciare l’autorità anti-trust. Ma le associazioni dei consumatori sono già in fibrillazione per il matrimonio tra Kroger e Albertson, le due mega catene della distribuzione alimentare che insieme vantano un fatturato da 209 miliardi di dollari, oltre a 5 mila negozi in tutti gli Usa. La “dote” offerta da Kroger per acquisire Albertsons è di 24,6 miliardi di dollari.
Di romantico e coniugale ci sono solo le metafore: l’unione tra le due catene è una manovra strategica. Gli stessi interessati hanno precisato che l’operazione s’è resa necessaria “per contrastare i rivenditori big-box come Walmart, Amazon e Costco, che possono utilizzare le loro dimensioni per vendere yogurt, cereali e pasta a prezzi inferiori dopo aver conquistato una quota sempre maggiore di consumatori”. Le società a questo scopo avrebbero “trasferito ai clienti fino a 500 milioni di dollari di risparmi derivanti dalla fusione”.
Questo non ha rasserenato le associazioni dei consumatori e le catene alimentari indipendenti: il rischio infatti è che siano limitate le scelte degli acquirenti su dove acquistare generi alimentari, specie nelle aree rurali e a basso reddito, alterando così la politica dei prezzi. Se la fusione andasse a buon fine infatti, la combinazione di Albertsons–Kroger e Walmart controllerebbe oltre il 70% in 167 città degli Stati Uniti. E in alcuni casi, come Salina, Kan. o Durango, Colorado, la quota supererebbe il 90%. Anche il Congresso non ha accolto del tutto favorevolmente la notizia, scatenando ulteriori pressioni ( a pronunciarsi nettamente a sfavore ad esempio la senatrice Elizabeth Warren) sull’amministrazione Biden per un più rigido controllo, considerando anche che i prezzi dei generi alimentari negli Stati Uniti sono aumentati di oltre l’11% a settembre rispetto a un anno fa.
Non sono critiche del tutto infondate: in quasi tre decenni di storia americana contemporanea il numero dei negozi al dettaglio è sensibilmente diminuito, passando dalla metà degli anni ’90 a quasi il 30%, a favore invece delle concentrazioni che però critica Warren: «mettono a rischio posti di lavoro e catene di approvvigionamento». La quota di mercato combinata dei quattro maggiori rivenditori di generi alimentari, inoltre, è triplicata dal 23% al 69% , scrive in un rapporto il Food and Water Watch, gruppo di difesa dei consumatori.