Oltre un milione di occupati in più a fine 2024 rispetto al pre-Covid. Ad ottobre scorso si registrano in particolare +1,043 milioni di persone al lavoro rispetto a dicembre 2019 e una riduzione quasi simile del numero dei disoccupati (-1,009 milioni). Ma servono altri tre milioni di posti per portare l’Italia alla media Ue. Lo sottolinea il Rapporto Inapp 2024, presentato questa mattina alla Camera, dal titolo: Lavoro e formazione: necessario un cambio di paradigma.
I nuovi posti sono equamente distribuiti tra uomini (+532mila) e donne (+511mila) e l’aumento risulta maggiore al Sud. Ma resta aperta la questione giovanile: l’incremento del numero assoluto degli occupati si concentra nella coorte degli over 50, che negli ultimi due anni è diventata la componente più numerosa (41%) superando anche quella tra i 35 e i 49 anni.
C’è un altro record di cui l’Italia non dovrebbe andare fiera. Quello di coloro che sono in età di lavoro, ma non lavorano. Il tasso di inattività italiano supera quasi un terzo della forza lavoro (33,6%) e, dice Inapp nel Rapporto, “continua a rappresentare lo zoccolo duro del mancato utilizzo delle risorse umane in età di lavoro, superato di 10 punti la media Ue per i giovani under 35 e raggiunge il picco del 58.2% per le donne del Mezzogiorno”.
«L’aumento della difficoltà di reperimento di lavoratori qualificati da parte delle imprese (mismatch), riscontrato anche dalle indagini Excelsior Unioncamere-ministero del Lavoro, è stato imponente: 47,8% nel 2024, +22,5 punti percentuali rispetto al dato medio del 2019», sottolinea il presidente dell’Inapp, Natale Forlani, evidenziando che il fenomeno risulta amplificato da un complesso di fattori: la riduzione della popolazione in età di lavoro con la stima di circa 4 milioni di persone in meno entro il 2040; la carenza di competenze per i profili esecutivi; le offerte di lavoro che non riscontrano le disponibilità da parte delle giovani generazioni. «L’incidenza di questi fattori negativi è destinata a crescere per l’impatto dei cambiamenti demografici determinati dalla riduzione della popolazione in età di lavoro – circa 4 milioni di persone entro il 2040 nello scenario mediano delle stime Istat, già manifesto nell’esodo pensionistico delle generazioni anziane di gran lunga superiore rispetto alle coorti giovanili che entrano nel mercato del lavoro – e di quello delle tecnologie digitali sulle organizzazioni del lavoro e sulle professioni», afferma il presidente.
I salari italiani restano bassi, lontani dalle medie Ue e Ocse, per la bassa produttività e “la mancanza di investimenti nei comparti dei servizi privati ad alta intensità di occupazione”. «La contrattazione collettiva nazionale non appare in grado di incentivare la crescita dei salari reali se non vengono adottati altri indicatori: produttività, fabbisogno di lavoratori competenti, attrattività delle proposte salariali, potenziamento del secondo livello di contrattazione aziendale o territoriale», conclude Inapp.
«Sulla formazione dobbiamo scommettere tantissimo, soprattutto su quella professionale che viene svolta da soggetti qualificati – ha detto il ministro del Lavoro, Marina Calderone. – Oggi abbiamo risultati importanti: il 75% dei ragazzi che frequenta percorsi di formazione professionale alla fine trova un lavoro. L’altro 25% continua a studiare, come giusto che sia. Quando guardiamo invece ai giovani che frequentano i percorsi degli Its la percentuale di transito verso il lavoro è del 98%. Vuol dire che sono percorsi qualificati che danno immediatamente una risposta e un collocamento lavorativo, perché c’è un collegamnento con il mondo delle imprese».